di Michele Paris

L’ex generale dell’esercito americano e già direttore della CIA, David Petraeus, potrebbe essere sottoposto a una formale incriminazione da parte del Dipartimento di Giustizia per avere passato informazioni riservate alla sua biografa ed ex amante, Paula Broadwell. A rivelare questa possibilità è stata un’esclusiva di qualche giorno fa del New York Times, che ha riportato al centro del dibattito politico di Washington una vicenda dai molti lati oscuri e rimasta in sospeso da quasi tre anni.

La rilevanza dell’eventuale provvedimento giudiziario, ipotizzato domenica dallo stesso ministro della Giustizia (“Attorney general”) Eric Holder, risulta evidente dall’importanza del personaggio coinvolto. Petraeus era stato il comandante delle forze di occupazione americane in Iraq a partire dal 2007, mentre tre anni più tardi sarebbe stato chiamato dal presidente Obama per sostituire alla guida delle truppe USA in Afghanistan il generale Stanley McChrystal, rimosso dall’incarico dopo la pubblicazione di una sua intervista apertamente critica verso la Casa Bianca.

Nel 2011, poi, Petraeus si era ufficialmente ritirato dall’esercito per essere nominato, sempre da Obama, direttore della CIA, dove è rimasto dal settembre dello stesso anno al novembre di quello successivo, quando si dimise dopo la diffusione della notizia della sua relazione extraconiugale con Paula Broadwell.

Secondo la versione ufficiale, Petraeus era finito sotto l’occhio dell’FBI pressoché casualmente. A innescare i suoi guai sarebbe stata infatti l’iniziativa di una seconda donna, residente a Tampa, in Florida, la quale nella primavera del 2012 aveva notificato al “Bureau” la ricezione di una manciata di e-mail anonime nelle quali veniva minacciata per avere flirtato in maniera impropria con il generale Petraeus.

La seconda donna, Jill Kelley, era una funzionaria del Dipartimento di Stato incaricata di coordinare i rapporti con il Comando delle Forze Speciali e, assieme al marito, aveva conosciuto Petraeus e la moglie, Holly, quando quest’ultimo era a capo del Comando Centrale, la cui sede si trova nella città sulla costa occidentale della Florida.

La successiva indagine dell’FBI aveva appurato che la persona che minacciava Jill Kelley era appunto Paula Broadwell e l’analisi del suo account di posta elettronica aveva portato alla luce altre e-mail dal contenuto esplicito provenienti dall’allora direttore della CIA, rivelando così la relazione tra i due.

Nel PC della Broadwell sarebbero stati poi rinvenuti alcuni documenti classificati ma la donna ha sempre negato di averli ricevuti da Petraeus e lo stesso ex generale, pur ammettendo l’affaire, ha a sua volta negato la circostanza.

A parte questi fatti, il caso era apparso subito ricco di interrogativi, tutt’altro che risolti a oltre due anni di distanza. Ad esempio, l’FBI pare avesse concluso che non vi erano ragioni per aprire un procedimento legale contro Petraeus ben prima che la vicenda diventasse di dominio pubblico. La sicurezza nazionale, insomma, non era stata messa in nessun modo in pericolo dal presunto trafugamento di documenti segreti da parte dell’ex generale, ma l’indagine si è comunque trascinata per parecchi mesi.

Inoltre, i vertici del Dipartimento di Giustizia e la stessa Casa Bianca erano stati informati molto tardivamente del coinvolgimento di Petraeus nell’indagine, mentre l’allora leader di maggioranza alla Camera dei Rappresentanti, il deputato repubblicano Eric Cantor, ne aveva invece avuto notizia tempestivamente perché messo al corrente del caso da un agente dell’FBI amico di Jill Kelley. La vicenda, infine, era emersa sui giornali americani solo pochi giorni dopo la rielezione di Obama alla presidenza.

Dal 2012, dunque, gli investigatori federali stanno studiando la situazione di Petraeus e il già ricordato articolo del New York Times di qualche giorno fa ha rivelato che questi ultimi avrebbero finalmente raccomandato al Dipartimento di Giustizia di incriminare in maniera formale l’ex generale.

Dopo le dimissioni, Petraeus ha inziato a operare nel settore privato, pur continuando a svolgere il ruolo di consigliere per l’amministrazione Obama, in particolare sull’Iraq. L’indagine nei suoi confronti, secondo alcuni, gli ha però impedito finora di perseguire possibili incarichi di alto livello dopo che già nel 2012 si era parlato addirittura di una sua possibile candidatura alla Casa Bianca.

Petraeus gode di ottime relazioni con importanti membri ed ex membri del governo e del Congresso, sia democratici che repubblicani. In particolare, l’ex direttore della CIA ha costruito un solido rapporto con l’ex segretario di Stato, Hillary Clinton, sempre più probabile candidata alla presidenza per i democratici nel 2016.

I suoi rapporti con la politica di Washington hanno fatto in modo in questi giorni che vari leader di entrambi gli schieramenti siano intervenuti pubblicamente per difenderlo. La senatrice democratica Dianne Feinstein, ex presidente della commissione per i Servizi Segreti, ha affermato ad esempio in diretta TV che Petraeus ha già “sofferto a sufficienza” e non dovrebbe essere perciò incriminato.

Ancora più accesi sono stati gli interventi in favore di Petraeus dei senatori repubblicani John McCain, Lindsey Graham e Richard Burr, tutti, come la stessa Feinstein, tra i più convinti accusatori di Bradley (Chelsea) Manning o Edward Snowden, rispettivamente condannato e incriminato con lo stesso capo d’accusa che potrebbe gravare sull’ex generale per avere rivelato informazioni classificate.

Allo stesso tempo, alcune testate americane hanno anche sostenuto che la condivisione con giornalisti o scrittori fidati di taluni documenti classificati da parte di esponenti di spicco dell’apparato della sicurezza nazionale è una pratica tutt’altro che insolita e praticamente mai episodi del genere sono oggetto di indagini federali.

La stessa amministrazione Obama, come peraltro quelle che l’hanno preceduta, favorisce “fughe di notizie” mirate quando intende far trapelare determinate informazioni con scopi ben precisi o per sondare la reazione dell’opinione pubblica a determinate situazioni.

Tutto nella vicenda di Petraeus, in definitiva, fa pensare a motivi più seri dietro all’indagine di quelli legati alla consegna di documenti riservati alla sua amante/biografa o, tantomento, alla stessa relazione extraconiugale intrattenuta con quest’ultima, fermo restando che Petraeus, in un sistema veramente democratico, meriterebbe di essere al centro di inchieste per reati ben più gravi visto il suo ruolo di spicco nella gestione della macchina da guerra - e di morte - degli Stati Uniti.

I molti punti oscuri della vicenda non permettono tuttavia un’analisi adeguata delle dinamiche all’interno della classe dirigente USA che hanno determinato la caduta di una personalità così importante. Lo stesso indugiare del Dipartimento di Giustizia circa l’opportunità di aprire un procedimento formale ai suoi danni sembra confermare l’esistenza di forze contrastanti che esprimono posizioni divergenti sull’intero caso.

Petraeus, oltretutto, continua a rifiutare un accordo con gli investigatori federali per ammettere le sue responsabilità ed evitare un vero e proprio processo, mostrandosi al contrario disponibile a dibattere in aula le circostanze della sua incriminazione.

Ancor più delle ambizioni politiche, in ogni caso, a segnare la sua sorte potrebbero essere state altre controversie che lo hanno visto protagonista negli anni scorsi. Limitandosi necessariamente a quanto è di dominio pubblico, va ricordato almeno che David Petraeus e l’allora primo consigliere di Obama in materia di anti-terrorismo, John Brennan, avevano avuto serie divergenze attorno alla campagna di assassini mirati condotta con i droni in Pakistan, Yemen e altrove.

Mentre il primo intendeva espandere la flotta di droni assegnata alla CIA, Brennan preferiva limitare il ruolo dell’intelligence in questo settore dell’anti-terrorismo, per lasciarlo soprattutto nelle mani delle forze armate, teoricamente sottoposte a regole più trasparenti e quindi più facilmente controllabili dal potere civile. Brennan, com’è noto, a inizio 2013 è diventato direttore della CIA dopo le dimissioni di Petraeus e un breve interregno del vice di quest’ultimo, Michael Morell.

Petraeus, infine, qualche settimana fa era stato accreditato dalla stampa americana di posizioni relativamente critiche sugli interrogatori della CIA con metodi di tortura. L’ex generale si era anche rifiutato di sottoscrivere una risposta alla diffusione del rapporto sulle torture, recentemente pubblicato dalla commissione di controllo sui Servizi Segreti del Senato, promossa da altri ex direttori della CIA per difendere gli interrogatori.

Anche su questo argomento, Petraeus potrebbe essersi scontrato con i vertici dell’agenzia di Langley e con la stessa Casa Bianca, dove lavorava John Brennan, visto che questi ultimi avevano tutti più o meno apertamente combattuto il lavoro di indagine della commissione e la pubblicazione del rapporto sui crimini della CIA.

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