di Michele Paris

La pubblicazione questa settimana di alcuni documenti classificati di intelligence da parte del network panarabo Al Jazeera e del quotidiano britannico Guardian ha confermato il profondo stato di paranoia che caratterizza la posizione ufficiale del primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, circa il discusso programma nucleare iraniano. Sulla Repubblica Islamica, il premier di estrema destra, atteso da un delicato voto anticipato tra poche settimane, sostiene tesi più estreme anche dei servizi segreti di Tel Aviv, i quali sembrano infatti essere più preoccupati per la fissazione di Netanyahu che della presunta minaccia iraniana.

Il documento prodotto da Al Jazeera e dal Guardian è una comunicazione indirizzata nell’ottobre del 2012 dal Mossad alla propria controparte sudafricana, l’Agenzia per la Sicurezza dello Stato (SSA), per aggiornarla sui progressi del programma nucleare di Teheran.

Il cablo in questione sarebbe stato redatto circa tre settimane dopo la famosa quanto patetica apparizione dello stesso Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove mostrò un cartello con disegnata una bomba divisa in tre sezioni che avrebbero dovuto rappresentare altrettanti “stadi” nella preparazione di un ordingo nucleare da parte iraniana.

In quell’occasione, il premier di Israele aveva raccontato del superamento da parte di Teheran del secondo “stadio” di arricchimento dell’uranio, ovvero del 70% del procedimento per la costruzione di un’arma atomica. Inoltre, a detta di Netanyahu l’Iran avrebbe potuto completare le operazioni necessarie a questo fine in “pochi mesi o forse settimane”, al più tardi “entro la prossima estate [del 2013]”.

Il rapporto del Mossad citato dalla SSA sudafricana affermava invece che l’Iran “non sembra essere pronto ad arricchire l’uranio oltre il 20%”, senza indicare i tempi previsti per una possibile accelerazione del procedimento. Parallelamente, il servizio segreto israeliano riteneva che la Repubblica Islamica stava producendo “grandi sforzi” per attivare il reattore di Arak, potenzialmente destinato alla produzione di plutonio utilizzabile a scopi militari, ma che ciò non sarebbe avvenuto prima della metà del 2014.

Nello stesso documento si aggiungeva poi che l’Iran stava lavorando per rimediare alle carenze in “settori legittimi”, come quello dell’arricchimento, in modo da “ridurre i tempi necessari alla produzione di armi [nucleari]” a partire dal momento in cui sarebbe partito l’ordine dai vertici del regime.

Quest’ultima considerazione da parte del Mossad appare del tutto arbitraria, visto che non esisteva né esiste alcuna prova della volontà iraniana di lavorare a un ordigno nucleare, ma il riferimento a operazioni di arricchimento “legittime” - come quelle messe in atto da molti altri paesi - conferma il sostanziale rispetto di Teheran delle norme internazionali sul nucleare civile.

A simili conclusioni era giunta peraltro anche l’Intelligence Nazionale americana nel 2012, la quale nella sua analisi della situazione relativa all’Iran non aveva riscontrato prove dell’esistenza di un programma per costruire armi nucleari né dell’intenzione di resuscitare le ricerche in questo ambito, messe da parte fin dal 2003.

Le rivelazioni di Guardian e Al Jazeera sono state snobbate dai media conservatori israeliani, poiché sarebbero di seconda mano in quanto provenienti non direttamente dal Mossad ma dall’intelligence sudafricana, cioè da un paese che negli ultimi anni ha visto peggiorare i propri rapporti con Tel Aviv.

Tuttavia, l’analisi attribuita al Mossad da parte della SSA sudafricana conferma le differenze emerse più volte negli ultimi anni tra l’intelligence e Netanhyanu sull’avanzamento del programma nucleare iraniano e la presunta minaccia che esso rappresenterebbe per lo stato ebraico.

L’ex numero uno del Mossad, Meir Dagan, nel 2012 aveva ad esempio puntato il dito contro i guerrafondai come Netanyahu che avrebbero potuto trascinare Israele in una guerra rovinosa ancora prima di “esplorare tutti gli altri approcci” possibili nei confronti dell’Iran. Lo stesso Dagan, capo del Mossad fino al 2010, aveva rivelato di essersi opposto a un ordine di Netanyahu di preparare la sua agenzia per un imminente attacco militare contro l’Iran.

Il successore di Dagan, Tamir Pardo, in una discussione privata giunta alla stampa avrebbe da parte sua sostenuto che la minaccia principale per Israele non era l’Iran, bensì la questione palestinese.

Le divisioni all’interno della classe dirigente israeliana sono emerse pubblicamente anche lo scorso mese di gennaio, quando i giornali hanno riportato un’iniziativa del Mossad per avvertire l’amministrazione Obama che possibili nuove sanzioni contro l’Iran avrebbero fatto naufragare i negoziati sul nucleare in corso tra Teheran e il gruppo dei cosiddetti P5+1 (USA, Cina, Russia, Francia, Gran Bretagna e Germania).

Netanyahu, al contrario, continua a essere il più acceso oppositore delle trattative sul nucleare e non perde occasione per dipingere l’Iran e il suo inesistente programma militare come una minaccia “esistenziale” per Israele. Nuove invettive contro Teheran sono previste anche nel controverso intervento che il premier terrà al Congresso USA il prossimo 3 marzo dopo essere stato invitato dallo “speaker” repubblicano della Camera dei Rappresentanti, John Boehner, senza avere avvertito l’amministrazione Obama.

L’isteria del primo ministro del Likud rischia dunque di fare apparire “moderati” anche i vertici di un’agenzia come il Mossad, all’interno della quale sembrano esserci serie preoccupazioni per i pericoli che possono derivare da una simile campagna contro la Repubblica Islamica.

L’ossessione di Netanyahu per l’Iran rischia in primo luogo di scatenare un conflitto dall’esito molto dubbio e nel quale Israele, pur con il più che probabile appoggio americano, sarebbe esposto alla ritorsione non solo di Teheran, ma anche di Hamas a Gaza e, soprattutto, di Hezbollah in Libano, nonostante l’impegno della milizia sciita in Siria al fianco di Assad.

Inoltre, la denuncia incondizionata del premier di qualsiasi ipotesi di accordo sul nucleare iraniano sta già mettendo a repentaglio i rapporti con Washington, probabilmente al livello più basso da decenni a questa parte. Anche se al momento appare uno scenario quasi fantascientifico, l’eventuale venir meno della relazione speciale con gli Stati Uniti accentuerebbe in maniera catastrofica il già crescente isolamento internazionale di Israele.

Netanyahu, comunque, al di là della sua effettiva percezione del pericolo rappresentato dall’Iran per un paese, come Israele, che detiene centinaia di testate nucleari non dichiarate, continua ad agitare lo spettro di una Repubblica Islamica con armi atomiche per ragioni di natura essenzialmente politica.

Durante questi anni alla guida del paese, Netanyahu ha presieduto al progressivo discredito della classe politica indigena, dovuta principalmente alla repressione del popolo palestinese, resa drammaticamente evidente dalla continua appropriazione illegale di porzioni di territorio che dovrebbero far parte di un futuro nuovo stato arabo e dai crimini commessi a Gaza e in Cisgiordania.

Oltre a ciò, i vari governi Netanyahu hanno determinato un drastico aggravamento delle differenze sociali ed economiche in Israele, producendo tensioni senza precedenti, esplose qualche anno fa in insolite manifestazioni di protesta in varie città del paese.

Nonostante Netanyahu sia già oggi il secondo primo ministro più longevo della storia di Israele, dopo David Ben Gurion, e abbia concrete chances di conquistare un quarto mandato dopo le elezioni di marzo, la sua permanenza al potere resta dunque caratterizzata da un profondo stato di crisi, evidenziato anche dalle manovre politiche degli ultimi anni e dalla decisione di sciogliere anticipatamente il parlamento (Knesset) per due volte consecutive (2012 e 2014).

Per questa ragione, la destra israeliana e Netanyahu hanno bisogno di creare uno stato di emergenza permanente, in modo sia da promuovere le proprie presunte credenziali in materia di sicurezza nazionale sia da dirottare verso l’esterno le tensioni esplosive che si vanno accumulando minacciosamente sul fronte domestico.

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