di Michele Paris

Il presidente iraniano, Hassan Rouhani, si appresta a visitare il Pakistan tra venerdì e sabato con un’agenda ricca di significato e che si inserisce nel progressivo riallineamento strategico in corso negli ultimi anni in Asia centrale. Nel concreto, al centro dell’incontro tra Rouhani e il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, ci sarà il rafforzamento dei legami commerciali e, soprattutto, la collaborazione sul fronte energetico, visti i problemi cronici di Islamabad in questo ambito.

La missione del presidente della Repubblica Islamica ha anche a che fare con i rinnovati sforzi di Teheran per costruire relazioni più solide non solo in Medio Oriente, ma anche in Asia centrale e orientale, dopo l’accordo sul suo programma nucleare del luglio scorso e lo smantellamento delle sanzioni internazionali.

Oltre alle possibili forniture di petrolio e gas naturale, le discussioni del fine settimana torneranno alla decennale questione del gasdotto che dovrebbe collegare i due paesi confinanti. La sezione in territorio iraniano di quest’opera - definita “gasdotto della pace” - è stata realizzata già da qualche anno, ma quella in Pakistan si è arenata, nonostante l’annuncio della ripresa dei lavori già tre anni fa, a causa delle sanzioni che gravavano su Teheran e dei problemi economici di Islamabad.

Gli Stati Uniti fanno poi pressioni da tempo sul governo pakistano per abbandonare il progetto, anche se gli sviluppi più recenti suggeriscono un probabile, anche se lento, superamento degli ostacoli. A chiarire ancora una volta le intenzioni del Pakistan è stato in questi giorni il ministro del Petrolio, Shahid Khaqan Abbasi, il quale ha assicurato che il suo governo “è certamente e senza dubbio impegnato nella realizzazione del gasdotto”.

Determinante per portare a buon fine la vicenda sembra essere l’impegno cinese in Pakistan, rilanciato dalla visita dello scorso anno del presidente, Xi Jinping, durante la quale fu promesso un pacchetto di prestiti e progetti d’investimento pari a 45 miliardi di dollari. Pechino ha infatti avviato recentemente i lavori per la costruzione di una parte del gasdotto in territorio pakistano, lasciando a Islamabad solo un centinaio di chilometri da completare per ultimare il collegamento con il confine iraniano.

Se le questioni energetiche riceveranno prevedibilmente la maggior parte delle attenzioni durante la visita di Rouhani, esse non esauriranno le discussioni. Per il nuovo ambasciatore iraniano a Islamabad, Mehdi Honardoost, dovranno essere gettate le basi per portare gli scambi commerciali bilaterali a cinque miliardi di dollari l’anno, obiettivo fissato nel maggio 2014 nel corso di un incontro a Teheran tra il premier pakistano Sharif e lo stesso Rouhani. A sua volta, secondo l’agenzia di stampa iraniana Fars, nei giorni scorsi il ministro pakistano per il Commercio aveva ordinato la preparazione di una “strategia complessiva” per accrescere gli scambi con il vicino.

Non solo, un’altra iniziativa sembra prospettarsi con implicazioni ben più ampie. Per il quotidiano di Karachi, The Express Tribune, la Banca Centrale pakistana avrebbe dato cioè indicazione ai “trader” locali di utilizzare l’euro invece del dollaro nelle transazioni con l’Iran. La decisione sarebbe stata presa per evitare imprevisti alla luce delle rimanenti sanzioni finanziare applicate alla Repubblica Islamica, ma non può che essere vista con una certa apprensione negli Stati Uniti.

La visita di Rouhani, in definitiva, conferma la tendenza del Pakistan a cercare di svincolarsi dall’alleanza che, per quanto disagevole, ha legato e continua a legarlo agli USA. Ugualmente, i rapporti molto cordiali intrattenuti con Teheran e l’impegno a rafforzarli sembrano apparentemente scontrarsi con quello privilegiato mantenuto storicamente con un alleato cruciale di Washington: l’Arabia Saudita.

La monarchia assoluta sunnita è il tradizionale rivale dell’Iran sciita per la supremazia nella regione e le frizioni tra i due paesi sono aumentate considerevolmente dopo la firma dell’accordo sul nucleare a Ginevra tra Teheran e le potenze del gruppo dei P5+1.

L’Arabia Saudita assicura aiuti finanziari consistenti al Pakistan e nel paese del Golfo Persico vivono e lavorano circa due milioni di cittadini pakistani, le cui rimesse verso la madrepatria rappresentano un’altra importante fonte di entrate.

Il Pakistan non ha perciò nessuna intenzione di incrinare i rapporti con il regime saudita, come dimostrano le recenti visite a Riyadh del premier Nawaz Sharif e del capo delle forze armate, generale Raheel Sharif, o la partecipazione a una recente esercitazione militare nel regno con altri paesi musulmani. Tuttavia, i tentativi di mantenere un atteggiamento quanto meno equidistante tra Arabia Saudita e Iran appaiono evidenti.

Un esempio per molti clamoroso di ciò si era avuto nelle prime fasi della guerra di aggressione scatenata dall’Arabia Saudita in Yemen per fermare l’avanzata dei “ribelli” Houthi sciiti. In quell’occasione, pur appoggiando formalmente l’operazione di Riyadh, il governo pakistano aveva respinto gli inviti a partecipare in maniera diretta a un conflitto che viene universalmente considerato come una guerra per procura volta a colpire gli interessi iraniani.

D’altra parte, se la crescente freddezza tra Islamabad e soprattutto Washington è la diretta conseguenza delle scelte di politica estera del governo USA, a cominciare dalla promozione di una partnership strategica in funzione anti-cinese con l’India, ovvero l’arcinemico storico del Pakistan, i rapporti di quest’ultimo paese con l’Iran sono storicamente buoni nonostante le difficoltà dei decenni più recenti.

L’Iran, ad esempio, fu il primo paese a riconoscere la sovranità del Pakistan dopo l’indipendenza nel 1947 e negli anni della Guerra Fredda garantiva a quest’ultimo il proprio appoggio nell’ambito della rivalità e nei conflitti con l’India. Le differenze emersero se mai in seguito, in particolare riguardo l’Afghanistan e il sostegno di Islamabad ai Talebani e al fondamentalismo sunnita. I rapporti non sono mai tuttavia precipitati, anche perché un quinto della popolazione pakistana è di fede sciita, e le relazioni commerciali hanno continuato a espandersi. Nel 1999, poi, i due paesi riuscirono anche a siglare un trattato di libero scambio.

Il riassetto della politica estera pakistana è infine ancora più chiaro dal già ricordato rafforzamento dei rapporti con la Cina, peraltro alleato storico di Islamabad. L’intenzione di Pechino è quella di integrare il Pakistan nella propria strategia di espansione economica rivolta a molti paesi dell’Asia centrale e sud-orientale, in modo anche da rompere o prevenire l’accerchiamento americano, pianificato formalmente dall’amministrazione Obama con l’offensiva strategica nota come “svolta” asiatica.

La classe dirigente pakistana, da parte sua, non può che guardare a Teheran e a Pechino con grande interesse visti i potenziali vantaggi in termini di investimenti e di sicurezza energetica che si prospettano, dal momento che la rete infrastrutturale del paese, così come, più in generale, la situazione economica interna, è in stato di semi-sfacelo.

L’evoluzione degli equilibri a cui si sta assistendo è dunque determinata principalmente dai cambiamenti registrati in Medio Oriente, dall’emergere di nuove opportunità sul fronte economico e dalle manovre degli Stati Uniti in Afghanistan e per contrastare la crescita cinese. I relativi effetti, però, il Pakistan dovrà mostrare di saperli gestire con estrema cautela, alla luce sia della posizione strategica cruciale che continua a ricoprire nello scacchiere dell’Asia centrale sia, proprio per questa ragione, dell’esposizione alle consuete manovre delle potenze globali e regionali.

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