di Carlo Musilli

“La Brexit aprirà un buco nero tra i 20 e i 40 miliardi di sterline nelle nostre finanze, i nostri ministri dovranno rivedere la riforma delle pensioni” e si spalancheranno le porte a “una nuova austerity”. È questo l’ultimo appello del premier David Cameron in vista del referendum con cui il 23 giugno gli elettori britannici decideranno se il futuro del Regno Unito sarà dentro o fuori dall’Unione europea.

Per convincere gli incerti a votare contro l’uscita, sulle colonne del Sunday Telegraph il numero uno di Downing Street dipinge scenari foschi: “Se voterete 'Leave' – sostiene Cameron – molti dei nostri progetti salteranno. Dovremo rinegoziare un trattato con la Ue: potrebbero volerci dieci anni e sarebbero dieci anni persi per la Gran Bretagna. Se voterete 'Remain', avrete un Paese stabile. Vi assicuro che se resteremo nell'Ue avremo le risorse finanziarie per mantenere i benefit ai pensionati. E potremo proiettarci verso la creazione di più lavoro, più case e più opportunità per i vostri bambini e i vostri nipoti”.

In realtà, in caso di Brexit le prospettive sarebbero addirittura peggiori di queste: la Sterlina rischia di svalutarsi molto più di quanto non abbia già fatto (c’è chi ipotizza la parità con l’Euro), mentre il PIL britannico, oggi in crescita, entrerebbe in una lunga fase recessiva che lo porterebbe a scendere del 3% entro il 2020 e del 5% entro il 2030 (stime Ocse). La Confindustria inglese, inoltre, ritiene che l’addio a Bruxelles causerebbe la perdita di un milione di posti di lavoro. Di fronte a previsioni di questo tipo, i timori di Cameron appaiono più che fondati. La domanda però è un’altra: per quale ragione la maggioranza degli elettori britannici, stando ai sondaggi, non ha paura? Perché milioni di persone si ostinano a voler uscire dall’Ue?

Innanzitutto, quando si fa riferimento al fronte pro-Brexit non bisogna pensare a Londra. L’odio britannico contro l’Europa non arde nella capitale (che in caso di uscita perderebbe il ruolo di principale centro finanziario continentale), ma in tutto il resto del Regno e soprattutto in provincia, nei centri minori, nelle campagne. È qui che attecchisce più facilmente la falsa storia dell’Ue come zavorra costosa, fonte d’immigrati che rubano il lavoro e mettono in pericolo i diritti sociali degli onesti sudditi di Sua Maestà.

Questa rappresentazione si nutre di bugie inventate ad arte e diffuse al solo scopo di seminare il panico. Il sito infacts.org ha raccolto i cinque miti più fuorvianti usati in mala fede dalla propaganda pro-Brexit: primo, la Turchia sta per entrare nell’Unione europea; secondo, la Gran Bretagna si ritrova spesso in minoranza nelle votazioni europee; terzo, l’Ue ha più bisogno dell’UK di quanto l’UK abbia bisogno dell’Ue; quarto, i contribuenti britannici pagano 350 milioni di sterline a settimana a Bruxelles; quinto, uscire dall’Europa è l’unico modo per salvare il servizio sanitario nazionale britannico, perché ci saranno meno immigrati e più soldi da spendere. Sono tutte affermazioni false e molto facili da smentire - basta documentarsi un minimo - ma potrebbero bastare a convincere la maggioranza degli inglesi.

Poi, certo, esistono le panzane estemporanee, come quella distillata da Nigel Farage, leader del partito euroscettico Ukip, secondo cui restando nell’Ue aumenteranno gli assalti sessuali alle ragazze inglesi. Altre leggende metropolitane parlano di un milione e mezzo di clandestini in Gran Bretagna e di 700 reati commessi ogni settimana da cittadini comunitari.

Quello che nessun sostenitore della Brexit dice mai è che, in caso di uscita dall’Ue, il Regno Unito perderebbe il suo accesso preferenziale al mercato europeo, a cui oggi è legata circa la metà del commercio britannico. Lo shock economico che ne seguirebbe sarebbe gravissimo e il Paese si ritroverebbe di certo con molto meno denaro di oggi.

Un’altra verità su cui milioni di britannici chiudono gli occhi è che gli immigrati comunitari non sono affatto un peso per il sistema sanitario inglese. Al contrario, lo supportano: sia perché pagano più tasse di quanto non sfruttino i servizi (essendo mediamente più giovani della media della popolazione), sia perché, udite udite, in Gran Bretagna un medico su 10 è un immigrato comunitario. Basterebbe solo questo dato per capire quanto il Regno Unito abbia bisogno dell’Europa.

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