di Michele Paris

La visita di questa settimana del presidente turco Erdogan in Russia ha segnato simbolicamente il riavvicinamento tra due paesi le cui relazioni erano precipitate solo pochi mesi fa a causa dei diversi obiettivi nel conflitto siriano. Quello di Erdogan è anche il primo viaggio all’estero dal fallito colpo di stato del 15 luglio scorso e si inserisce appunto in una fase di riallineamento strategico del proprio paese che sta mettendo in serio allarme gli alleati occidentali.

L’incontro tra Putin e Erdogan a San Pietroburgo è stato seguito dalle parole di entrambi i leader con le quali hanno tenuto a sottolineare la “normalizzazione” in corso dei rapporti bilaterali. Russia e Turchia avevano toccato probabilmente il punto più basso nelle loro relazioni dopo l’abbattimento nel novembre scorso di un velivolo da combattimento di Mosca al confine con la Siria da parte di un jet di Ankara.

Quell’episodio aveva spinto il Cremlino ad adottare provvedimenti economici punitivi contro la Turchia, così che gli scambi commerciali erano crollati di oltre il 60% nei primi mesi del 2016, mentre lo stop dei turisti russi si era concretizzato in un altro danno da centinaia di milioni di dollari per Ankara.

Già dal mese di giugno era apparsa però evidente la volontà di Erdogan di ristabilire relazioni amichevoli con la Russia. Ciò era dovuto in larga misura al deteriorarsi dei rapporti con l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti. Tra Turchia e USA persistono differenti vedute circa le modalità con cui giungere al rovesciamento del regime siriano.

Washington, ad esempio, continua a considerare i curdi siriani come alleati, mentre per Ankara il rafforzamento delle milizie appartenenti a questa etnia che operano oltre il confine meridionale rappresenta una minaccia esistenziale all’unità del paese, dal momento che esse sono considerate tutt’uno con il PKK, attivo sul fronte interno.

L’amministrazione Obama, che pure non si fa scrupoli nell’appoggiare formazioni armate jihadiste in Siria, ha inoltre espresso ripetutamente il proprio malcontento per il sostegno più o meno aperto garantito dalla Turchia all’ISIS.

In questo scenario, il tentato golpe del luglio scorso ha impresso un’accelerazione alla riconciliazione tra Russia e Turchia. Le vicende seguite al tentativo di rimuovere e, probabilmente, assassinare Erdogan da parte di alcune sezioni dell’esercito turco hanno chiarito come gli Stati Uniti abbiano avuto un ruolo nella rivolta o, quanto meno, l’abbiano vista con favore e come un’occasione per installare ad Ankara un regime più affidabile e disposto ad abbandonare il percorso di riavvicinamento a Mosca.

Se la visita di Erdogan a San Pietroburgo era programmata da prima del tentato colpo di stato, è difficile non accostare l’immagine dei due presidenti a colloquio con le rivelazioni emerse dopo il 15 luglio sulle informazioni trasmesse da Mosca al governo legittimo di Ankara circa l’imminenza di una sollevazione tra le file dell’esercito.

Ad ogni modo, i segnali di Erdogan agli Stati Uniti e all’Europa sullo stato delle loro relazioni sono stati abbastanza chiari nelle ultime settimane, soprattutto in merito alla richiesta di estradizione del leader islamico moderato, Fethullah Gulen, in esilio volontario negli USA e accusato da Ankara di avere organizzato il golpe.

In un’intervista concessa alla televisione pubblica russa, Erdogan nei giorni scorsi ha parlato della necessità di aprire una “nuova pagina” nelle relazioni bilaterali e, in maniera cruciale, ha sottolineato il ruolo decisivo di Mosca nella risoluzione della crisi in Siria. Proprio in quest’ultimo scenario verrà messa alla prova la solidità dell’impegno dei due presidenti, assieme alla risposta occidentale alla svolta strategica di Ankara.

Il governo turco ha già lasciato intendere di essere pronto a ristabilire contatti con Damasco e, ancora una volta, se questo è il reale intento di Erdogan si vedrà probabilmente a breve, visto lo stato della battaglia per Aleppo che sta portando le forze russe sempre più vicino ai confini con la Turchia.

L’evolversi della situazione in Medio Oriente crea ovviamente parecchi grattacapi agli Stati Uniti, dove i media e il governo stanno cercando, a livello ufficiale, di minimizzare la pace ritrovata tra Putin e Erdogan o di collocarla in un contesto segnato dal presunto isolamento dei due leader. Isolamento, peraltro, poco evidente nel caso di Erdogan, come ha dimostrato ad esempio la recente manifestazione oceanica tenuta in Turchia per condannare il tentato golpe del 15 luglio.

Lo scivolamento di Ankara verso Mosca infliggerebbe danni incalcolabili agli USA e alla NATO principalmente su due fronti: quello relativo allo sforzo per accerchiare e ridurre il peso internazionale della Russia e alla guerra orchestrata in Siria per rovesciare il regime di Assad. La prima preoccupazione, ovvero la più importante in prospettiva futura, ha trovato conferma martedì a San Pietroburgo con l’annuncio della ripresa dei progetti di costruzione del gasdotto “Turkish Stream” che dovrebbe portare il gas russo in Europa meridionale attraverso il Mar Nero e la Turchia.

Lo stop a questo piano, deciso da Putin in alternativa al naufragio del “South Stream”, era arrivato con il gelo dei rapporti tra Mosca e Ankara ed era stato salutato da molti in Occidente come un passo decisivo nel ridurre l’importanza della Russia per il mercato energetico europeo.

La ritrovata sintonia tra Putin e Erdogan ha incontrato generalmente l’ostilità della stampa e degli ambienti di potere in Occidente, i quali peraltro già dopo il golpe mancato avevano attaccato il governo turco per le epurazioni e il consolidamento del potere nelle mani del presidente. Non tutte le reazioni sono state però su questi toni.

Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, è stato tra quelli che hanno valutato positivamente l’incontro di San Pietroburgo, nonostante la conferma del ruolo della Turchia come partner fondamentale per la NATO. Il leader Social Democratico ha poi riconosciuto che la pace in Siria non potrà essere raggiunta senza il contributo della Russia.

La presa di posizione di Steinmeier rappresenta il punto di vista di quanti in Europa, malgrado l’allineamento ufficiale alle posizione americane, auspicano il ritorno a relazioni cordiali con la Russia, anche se ciò dovesse comportare un relativo ridimensionamento del rapporto con gli USA o la stessa NATO. Il capo della diplomazia di Berlino, d’altra parte, nel mese di giugno aveva criticato pubblicamente le provocazioni contro la Russia da parte dei membri dell’Alleanza nei paesi dell’est europeo.

Le nuove scelte strategiche di Erdogan, in definitiva, non nascono dal nulla o da una sua attitudine all’imprevedibilità e allo scontro, ma sono piuttosto il riflesso della sconsiderata politica estera americana in Medio Oriente, oltre che del ripensamento della fallimentare strategia del governo dell’AKP nella regione.

Quel che è certo, come ha dimostrato il tentato colpo di stato, è che Washington non intende stare a guardare passivamente gli sviluppi che riguardano un partner indispensabile come la Turchia. E la risposta americana al riallineamento strategico in atto non potrà che essere fatta, come sempre, di nuove provocazioni, maggiore destabilizzazione degli scenari mediorientali e un rinnovato impegno militare, soprattutto dopo che saranno mandate in archivio le elezioni presidenziali del prossimo mese di novembre.

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