di Michele Paris

La prevedibile vittoria dell’ex primo ministro francese, François Fillon, nel secondo turno delle primarie per le presidenziali del partito neo-gollista, Les Republicaines (LR), apre molto probabilmente la strada a una sfida per l’Eliseo tra due candidati schierati in maniera chiara alla destra dello scacchiere politico d’oltralpe. L’opinione diffusa, in Francia e altrove, è infatti che Fillon e la leader dei neo-fascisti del Fronte Nazionale (FN), Marine Le Pen, si sfideranno la prossima primavera nel ballottaggio che deciderà il successore alla guida del paese dell’ormai screditato presidente del Partito Socialista (PS), François Hollande.

Giunto a sorpresa al primo posto nel primo turno delle primarie del centro-destra una settimana fa, Fillon ha conquistato domenica più del 66% dei voti espressi, imponendosi in quasi tutti i dipartimenti e territori d’oltremare della repubblica. Il suo rivale, l’altro ex capo del governo e sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, si è fermato al 33,5% e ha sopravanzato Fillon solo nel suo dipartimento - la Gironda - e in quello centrale della Corrèze, nonché in tre territori d’oltremare (Polinesia Francese, Wallis e Futuna, Guyana).

L’affluenza a quelle che erano primarie aperte è stata superiore di circa il 4% rispetto al primo turno, quando già si era registrato un numero record di 4,2 milioni di votanti. A influire sulla partecipazione alle primarie dell’LR è stata probabilmente l’ostilità nei confronti del presidente in carica, il discredito di Juppé, identificato come il più emblematico rappresentate di un establishment corrotto ed elitario, e la percezione - decisamente ingannevole - di essere in presenza di un candidato di rottura in grado di attuare politiche più popolari di quelle adottate da governi e presidenti succedutisi negli ultimi anni.

Scorrendo anche solo superficialmente il suo programma e giudicando dalle prese di posizione pubbliche in queste settimane, la candidatura e la possibile vittoria di Fillon nelle presidenziali determinerebbero una nuova importante spinta verso destra degli equilibri politici in Francia, con più di un punto di contatto con l’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti.

L’orientamento nazionalista di Fillon, assieme a proposte come il licenziamento di mezzo milione di dipendenti pubblici e il taglio della spesa dello stato per oltre 100 miliardi di euro non lasciano molti dubbi su chi sarà a sostenere il peso del promesso “rilancio” dell’economia transalpina.

In campagna elettorale, Fillon ha inoltre corteggiato la destra cattolica francese, avanzando l’ipotesi di limitare l’accesso all’aborto e le adozioni da parte di coppie dello stesso sesso. I toni catastrofici contro il “fondamentalismo” islamista lasciano poi intendere da un lato un’ulteriore escalation militare in Medio Oriente e, dall’altro, la volontà di alimentare le divisioni tra la popolazione, attraverso la criminalizzazione degli immigrati di origine araba, in preparazione di nuove misure anti-sociali.

In fin dei conti, il successo imprevisto di Fillon nelle primarie del suo partito è il risultato di una strategia che è consistita fondamentalmente nel proporre una variante ancora più di destra delle iniziative avanzate da Juppé. Strategia vincente, almeno per il momento, vista la promozione e lo sdoganamento delle forze reazionarie in atto in Francia come altrove, soprattutto in assenza di un’alternativa percorribile a sinistra dopo il disastro degli oltre quattro anni di governo Socialista.

Che le politiche neo-liberiste promesse da Fillon, acceso ammiratore di Margaret Thatcher, non suscitino l’entusiasmo dei francesi, nonostante l’apparente popolarità evidenziata dalle primarie, è confermata da alcuni sondaggi. Il quotidiano Libération ha ricordato ad esempio domenica un’indagine che aveva rivelato come tra il 60% e il 70% degli interpellati si fosse detto contrario ad alcune misure previste dal programma di Fillon, come i licenziamenti di massa nel settore pubblico, l’eliminazione della tassa sui grandi patrimoni (ISF), l’innalzamento dell’età di accesso alla pensione a 65 anni e l’aumento dell’IVA per compensare la riduzione del carico fiscale delle aziende.

D’altra parte, Hollande e i primi ministri Socialisti nominati a partire dal 2012 hanno scelto senza riserve la via dell’austerity e della distruzione delle protezioni sociali e dei diritti del lavoro per far fronte alla crisi del capitalismo francese. Misure che hanno fatto esplodere lo scontro sociale, evidente nelle proteste oceaniche della scorsa estate contro la cosiddetta “loi travail”, a cui si è risposto con l’implementazione di uno stato di emergenza di fatto permanente, sia pure giustificato dagli attentati terroristici di Parigi e Nizza.

Le politiche di Hollande, oltre che ad aver messo a rischio l’unità del PS, hanno fatto precipitare i livelli di gradimento suoi e del suo partito, condannando la “sinistra” francese alla marginalità e, forse ancora peggio, a muoversi ancor più verso destra nell’illusione di evitare una batosta elettorale che si annuncia clamorosa.

La “nomination” del centro-destra francese assegnata a Fillon e, ancor più, il suo eventuale ingresso all’Eliseo, prospettano anche un’accelerazione delle divisioni e delle rivalità in Europa e in Occidente. In questo senso, la possibile elezione di Fillon si inserirebbe in un quadro già segnato dal successo di forze centrifughe come la “Brexit” e la presidenza Trump negli USA, per non parlare di un successo del NO nell’imminente referendum costituzionale in Italia.

Fillon sembra infatti intenzionato a normalizzare le relazioni con la Russia, mentre non nasconde l’ambizione di fare della Francia la potenza dominante nel continente, gettando così le basi, almeno in prospettiva futura, per un peggioramento dei rapporti con paesi come Stati Uniti, Gran Bretagna e Germania.

Sui giornali francesi si sta discutendo infine delle possibilità di vittoria di Fillon in un eventuale testa a testa con Marine Le Pen nel secondo turno delle presidenziali, dando ragionevolmente per scontato che il candidato Socialista, chiunque esso sia, non riesca ad accedere al ballottaggio.

Alcuni all’interno dell’FN hanno già espresso preoccupazione per la candidatura di Fillon, più difficilmente attaccabile rispetto a un Juppé – disposto a qualsiasi compromesso con la “sinistra” – o a un Sarkozy, gravato dal bilancio dei suoi cinque anni all’Eliseo. Come ha spiegato lunedì un’analisi del voto sempre di Libération, Fillon ha forti credenziali di destra che “riducono lo spazio di manovra del Fronte”, essendo l’ex premier un “cattolico conservatore” che rivendica a pieno la “sovranità” francese e, allo stesso modo dell’estrema destra, si dice favorevole al riavvicinamento alla Russia di Putin.

Con Fillon alla guida del centro-destra nelle presidenziali, tuttavia, il dibattito in Francia nei prossimi mesi si sposterà sempre più a destra e, com’è puntualmente avvenuto negli ultimi anni, ciò finirà per favorire proprio il Fronte Nazionale. Già l’implementazione di politiche da stato di polizia e contro gli immigrati del governo Socialista hanno legittimato le posizioni più autoritarie dell’FN, contribuendo a dare a quest’ultimo una facciata di credibilità.

A ciò vanno poi aggiunti gli sforzi del Fronte per ripulire la propria immagine, evitando l’ostentazione delle posizioni e dei simboli più provocatori, ma anche arruolando personalità con storie politiche apparentemente lontane dall’estrema destra.

Se, inoltre, la candidatura di Fillon potrebbe privare la Le Pen e i suoi di alcune armi per attaccarlo, è altrettanto vero che le politiche economiche ultra-liberiste del leader dell’LR, di fronte al sostanziale vuoto a sinistra, apriranno altri spazi di manovra per permettere alla destra populista, razzista e xenofoba di proporsi come unica forza che si batte per la giustizia sociale e i diritti dei francesi comuni.

Per queste ragioni, come già qualcuno paventa in Francia e non solo, l’eventuale sfida per l’Eliseo tra Fillon e Le Pen potrebbe avere connotati almeno in parte diversi dal ballottaggio del 2002 tra Jacques Chirac e Jean-Marie Le Pen, rendendo più difficile l’aggregazione delle forze “democratiche e repubblicane” attorno al candidato gollista e trasformando forse il voto in un confronto più equilibrato del previsto.

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