di Michele Paris

L’annuncio dei risultati provvisori delle elezioni presidenziali a Haiti, tenute il 20 novembre scorso, è stato seguito da proteste di piazza e scontri con le forze di polizia, nonché da prevedibili denunce di brogli formulate dai candidati dichiarati perdenti. A superare da subito la soglia del 50% dei voti, utile per evitare il secondo turno di ballottaggio, è stato il semi-sconosciuto imprenditore Jovenel Moïse, candidato promosso dal discusso presidente uscente, Michel Martelly, dopo che già si era imposto nel voto, successivamente annullato, dell’ottobre 2015.

Secondo la commissione elettorale haitiana, Moïse ha ottenuto il consenso di oltre il 55% dei votanti, ben davanti al secondo classificato tra gli altri 26 sfidanti, Jude Célestin, della Lega Alternativa per il Progresso e l’Emancipazione Haitiana (LAPEH). Célestin, fermatosi a poco meno del 20%, era finito dietro Moïse anche tredici mesi fa, ma aveva boicottato un secondo turno elettorale che, a causa di brogli diffusi, sarebbe stato poi cancellato.

I risultati preliminari resi noti questa settimana possono essere contestati e lo saranno con ogni probabilità da parte dei candidati sconfitti, visto che le segnalazioni di abusi e brogli sono già numerose in tutta l’isola caraibica. Se le autorità non rileveranno però irregolarità tali da modificare l’esito del voto, i risultati saranno ratificati il 29 dicembre e il nuovo presidente verrà insediato ai primi di febbraio.

A protestare maggiormente in questi giorni sono i sostenitori del partito Fanmi Lavalas dell’ex presidente Jean-Bertrand Aristide, primo capo dello stato di Haiti eletto democraticamente e due volte deposto da golpe organizzati da Washington. La candidata di questo partito, Maryse Narcisse, nonostante la popolarità tra i poveri haitiani di Aristide, il quale aveva invitato a votare per lei, avrebbe raccolto solo il 9% dei suffragi.

Il risultato del voto del 20 novembre, se confermato, rappresenta così una vittoria per il presidente uscente Martelly e il suo partito Tèt Kale (“teste calve”). Martelly è un ex cantante del genere musicale haitiano Kompa e non ha mai nascosto le sue simpatie per la dittatura dei Duvalier che ha guidato con l’isola con il pugno di ferro fino al 1986.

Il suo mandato è stato segnato fondamentalmente da tre fattori: i legami con il governo americano, l’impegno a favorire le attività del business domestico e internazionale nel suo paese e le accuse di corruzione. A ciò va aggiunta l’inclinazione all’autoritarismo, evidente dalla decisione di governare per decreto dopo lo scioglimento nel gennaio 2015 del parlamento, rinnovato con il voto popolare solo nell’agosto seguente.

Nel febbraio 2016, al termine del suo mandato, Martelly si era infine dimesso malgrado non fosse stato ancora eletto il suo successore a causa della già ricordata cancellazione del voto nell’ottobre precedente. I poteri provvisori di capo di stato erano stati allora trasferiti al presidente del Senato, Jocelerme Privert, del partito di centro-sinistra Inite, a cui appartiene anche l’ex presidente René Préval.

Dopo un’ennesima grave crisi politica, era stata raggiunta un’intesa per organizzare le presidenziali in data 9 ottobre, ma l’arrivo dell’uragano Matthew aveva determinato lo spostamento al 20 di novembre. La devastazione provocata da questa nuova catastrofe naturale a Haiti ha influito sul voto, in particolare sull’affluenza, risultata di poco superiore al 20%. Inoltre, in molti tra le decine di migliaia di persone colpite dall’uragano hanno perso i loro documenti d’identità, necessari per presentarsi ai seggi, ma solo una minima parte ha fatto richiesta per ottenerne di nuovi prima delle elezioni.

A scoraggiare i votanti sono state anche le restrizioni imposte dal governo per evitare disordini durante la consultazione, così come lo schieramento di quasi diecimila poliziotti e più di tremila caschi blu del contingente ONU (MINUSTAH) stanziato sull’isola.

Se anche i dati provvisori diffusi nei giorni scorsi dovessero essere corretti, è evidente che l’astensione - volontaria o più probabilmente forzata - ha riguardato gli elettori più poveri e disperati, cioè la maggioranza a Haiti, con ovvie ripercussioni sugli equilibri tra i candidati. La vittoria di Moïse sembra essere stata perciò assicurata soprattutto dal voto delle classi più benestanti, come confermano i festeggiamenti andati in scena a Pétionville, sobborgo ricco della capitale, Port-au-Prince.

I sospetti sui brogli sono comunque giustificati, se non altro alla luce della storia elettorale haitiana. Come molti altri in precedenza, il voto dell’ottobre 2015 era stato ad esempio caratterizzato da clamorose illegalità e per questo rimandato più volte prima di essere annullato definitivamente. Osservatori locali ai seggi e candidati dell’opposizione avevano denunciato manipolazioni per favorire Jovenel Moïse, il quale comunque, a differenza dell’elezione del 20 novembre scorso, si era fermato a poco meno del 33%.

Va ricordato, però, che gli Stati Uniti, l’Unione Europea e l’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) avevano ratificato l’esito del voto, dichiarandolo regolare. Memorabile fu in particolare la dichiarazione del capo degli osservatori UE, l’euro-deputata del Partito Socialista Spagnolo Elena Valenciano, la quale aveva definito le elezioni “un respiro di speranza per la democrazia haitiana”.

Come sarebbe emerso in seguito, le massicce frodi elettorali erano state attuate soprattutto per mezzo dei cosiddetti “mandataires”, cioè osservatori affiliati ai partiti che avevano ricevuto appositi permessi per votare liberamente e di fatto senza verifiche nei seggi che erano stati incaricati di controllare invece che nel loro luogo di residenza.

Queste autorizzazioni si erano moltiplicate a dismisura, tanto che se ne sarebbero contate più di 900 mila, spesso vendute per pochi dollari. In questo modo, un “osservatore” aveva la possibilità di votare più volte in seggi diversi. Nelle elezioni appena concluse i permessi di questo genere sono scesi a circa 126 mila, ma in molti hanno comunque segnalato episodi più che sospetti.

Se i dati preliminari saranno confermati, in ogni caso, il prossimo presidente di Haiti sarà dunque Jovenel Moïse. Quest’ultimo non ha praticamente nessuna esperienza politica, ma è proprietario di una piantagione di banane nel nord dell’isola. Inoltre, nel 2014 Moïse ha fondato una joint venture con il governo per coltivare ed esportare frutta da Haiti verso l’Europa grazie a un prestito da 6 milioni di dollari approvato dall’amministrazione del presidente Martelly.

In precedenza era stato segretario della Camera di Commercio del paese e, almeno secondo le informazioni diffuse in campagna elettorale, è stato protagonista di un progetto che ha assicurato fonti di energia eolica e solare a dieci “comunità” haitiane.

Se Moïse resta per il momento un oggetto misterioso dal punto di vista politico, quel che è certo è che la sua ascesa è dovuta interamente ai legami con il presidente uscente Martelly e che di quest’ultimo seguirà il percorso una volta assunti i poteri. Ciò sembra garantire, nonostante le promesse, che la disperata situazione economica e sociale della grande maggioranza degli abitanti del paese più povero dell’emisfero occidentale non vedrà miglioramenti significativi nemmeno nel prossimo futuro.

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