di Fabrizio Casari

Dopo 35 anni di carcere negli Stati Uniti, Oscar Lopez Rivera, leader indipendentista di Porto Rico, veterano della guerra in Vietnam e medaglia di bronzo al valor militare, è stato indultato dal presidente Obama. I trentacinque anni in carcere -13 dei quali in isolamento - Lopez Rivera li ha scontati per il delitto di sognare una patria libera dal protettorato statunitense. Nel 1981, infatti, ritenuto leader delle Forze Armate di Liberazione Nazionale, un gruppo clandestino che lottò per l’indipendenza dell’isola, venne accusato di “sedizione cospirativa” e condannato a 55 anni di carcere.

Nel 1988, accusato di un tentativo di fuga, ricevette una ulteriore condanna di 15 anni, il che elevò a 70 anni di carcere la pena complessiva. Una pena abnorme, per qualunque legislazione, a maggior ragione per quella statunitense. Oscar Lopez Rivera non ha mai commesso reati di sangue.

Fu solo nel 1999 che il Presidente Bill Clinton ritenne di dover muovere clemenza nei confronti di Oscar Lopez Rivera. Gli propose l’indulto per lui ma non per i suoi due compagni incarcerati. Lopez Rivera, semplicemente, rifiutò.

Nel 2011 decise di chiedere il perdono presidenziale a Barak Obama, visto che il Parole Board (l’organo amministrativo che stabilisce la possibilità per il detenuto di essere scarcerato sulla base della condotta tenuta e delle garanzie future circa il comportamento una volta libero ndr) aveva negato la possibilità di un provvedimento di scarcerazione a breve o medio termine. Se l’esponente indipendentista portoricano non avesse fatto richiesta di grazia a Obama, la sua scarcerazione sarebbe stata possibile solo nel 2023, ovvero quando Lopez Rivera compirà 80 anni.

Una vicenda, quella di Lopez Rivera, che ai meno giovani ricorderà quella di George Jackson e dei “Fratelli di Soledad", mentre dai meno adulti potrà essere considerata per molti aspetti simile a quella di Silvia Baraldini, incarcerata con una condanna spaventosa per reati associativi che non avevano prodotto nessun spargimento di sangue. Come nel caso di Oscar Lopez Rivera, anche la Baraldini rifiutò di voltare le spalle ai suoi compagni e fu per questo che la sua detenzione, nonostante le sue precarie condizioni di salute, si estese fino a quando il governo italiano riuscì a farla rientrare in patria.

Porto Rico, oltre ad essere un protettorato USA, è in sostanza una base militare della US Navy, visto che le sue installazioni coprono i quattro punti cardinali dell’isola, tristemente nota per essere stata una sorta di poligono militare statunitense. In particolare Viques, dove per anni, nonostante le ripetute proteste della popolazione (duramente represse), vennero testati proiettili all’uranio impoverito che determinarono una impennata straordinaria di linfomi, oltre che a vittime innocenti di errori di mira nelle esercitazioni. I soliti “danni collaterali”, insomma.

Per la liberazione del militante indipendentista si sono pronunciati numerose associazioni, avvocati, giornalisti e organizzazioni umanitarie, ma Obama ha avuto bisogno di quasi 6 anni per chiudere il dossier vergognoso della carcerazione dura di un uomo il cui unico obiettivo è sempre stato la richiesta d’indipendenza del suo paese.

Tra le figure più importanti  che si sono mobilitate per la libertà di Lopez Rivera, c’è quella del Comandante Daniel Ortega, Presidente del Nicaragua, che ha ripetutamente richiesto a Obama un provvedimento di clemenza. Le occasioni più recenti sono state l’anniversario della Rivoluzione Sandinista, il 19 Luglio del 2016 e, ultima in ordine di tempo, il suo intervento di pochi giorni orsono alla chiusura dei lavori del Foro di Sao Paulo, l’organismo che riunisce la sinistra di tutto il continente latinoamericano.

Qui, il Comandante Ortega ha rivolto un suo accorato appello a Obama affermando: “Mi appello al Presidente Obama affinché liberi il patriota di Puerto Rico, Oscar Lopez Rivera. Obama ha dato continuamente indulti, l’ultimo per il fine anno 2016. Bene, prima di lasciare la Casa Bianca, chiedo al Presidente Obama che liberi Oscar Lopez Rivera”. Così è stato, Obama ha voluto accogliere la richiesta di Ortega e dei numerosi intellettuali e giuristi che per decenni hanno considerato la pena inflitta al patriota portoricano un insulto al buon senso e alla ragionevolezza.

L’indulto di Obama a Lopez Rivera, così come quello a Manning, la “gola profonda” di Wikileaks, aggiungono comunque indubbio valore all’uscita di scena di una presidenza che avrebbe però potuto e dovuto operare in questo senso ben prima dei suoi ultimi giorni. Anche solo per sfuggire alle malevoli interpretazioni che vedono le due misure più come trappole politiche per il presidente entrante che non come espressione autentica di generosità e ravvedimento da parte di quello uscente.

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