di Michele Paris

I primi atti ufficiali da presidente di Donald Trump hanno subito messo in chiaro gli orientamenti ultra-reazionari della nuova amministrazione Repubblicana, ben decisa a perseguire la promessa deregolamentazione del business assieme a misure anti-democratiche a cui si oppongono decine di milioni di americani. Alla promessa fatta a inizio settimana di facilitare gli affari delle grandi aziende e ai decreti presidenziali per sbloccare la costruzione di due discussi oleodotti, si sono aggiunti mercoledì i primi passi nell’ambito della lotta all’immigrazione e per la costruzione del famigerato muro di confine con il Messico.

Le ultime iniziative erano state anticipate attraverso i soliti “tweet” di Trump che annunciavano mercoledì come un “grande giorno” per la sicurezza nazionale. Oltre al muro, tra le misure per cui il neo-presidente ha dato indicazione c’è il taglio dei fondi federali alle amministrazioni delle cosiddette “città santuario”, quelle cioè che garantiscono protezione ai migranti che non hanno i requisiti legali previsti per vivere sul territorio americano

Nei prossimi giorni sono previste poi misure per limitare il numero di immigrati e rifugiati a cui sarà consentito l’ingresso negli Stati Uniti. La Casa Bianca avrebbe intenzione di congelare per alcuni mesi l’emissione di visti di ingresso per cittadini siriani e di altri paesi mediorientali e africani, in attesa della definizione di un meccanismo più stringente per la valutazione dei requisiti e dei precedenti di coloro che chiedono ospitalità. Questa misura dovrebbe sostituire, almeno per il momento, il divieto d’ingresso a tutti gli stranieri di fede musulmana che era stato propagandato da Trump durante la campagna elettorale per la Casa Bianca.

Trump potrebbe chiedere poi alle agenzie governative preposte di rafforzare il controllo della frontiera meridionale e avviare una campagna sul territorio nazionale per stanare e rimandare nei loro paesi di origine il maggior numero possibile di immigrati “illegali”.

Il Washington Post ha scritto mercoledì che dietro a queste prime decisioni relative ai fenomeni migratori ci sono con ogni probabilità i membri della nuova amministrazione con le inclinazioni più populiste, per non dire fasciste. Tra di essi figurano il “capo stratega” della Casa Bianca ed ex direttore del sito web di estrema destra Breitbart News, Stephen Bannon, il candidato alla carica di ministro della Giustizia, senatore Jeff Sessions, e il consigliere politico del presidente, Stephen Miller.

Tutte le iniziative prese e da prendere rappresentano un attacco ai diritti degli immigrati e confermano come Trump intenda fare di questa sezione più debole della popolazione un capro espiatorio e assieme un diversivo dei problemi economici e sociali degli Stati Uniti.

È necessario ricordare, comunque, che l’accanimento anti-migratorio di Trump non è che la prosecuzione dei metodi impiegati negli ultimi otto anni dall’amministrazione Obama, responsabile, tra l’altro, del maggior numero in assoluto di deportazioni della storia americana.

La firma sui decreti presidenziali citati è avvenuta significativamente nel corso di una visita del presidente Repubblicano presso la sede di Washington del dipartimento della Sicurezza Interna, deputato al controllo delle frontiere e alla cui guida il Senato ha confermato qualche giorno fa l’ex generale dei Marines, John Kelly.

Per quanto riguarda il muro con il Messico, sono in molti a credere che la sua costruzione risulterà problematica, sia per ragioni logistiche che economiche, visto anche che il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ha escluso che il suo governo lo finanzi, come chiede invece Trump. Il solo annuncio di mercoledì rappresenta però un messaggio difficilmente equivocabile circa gli orientamenti del nuovo inquilino della Casa Bianca.

Le misure che dovrebbero accelerare invece la costruzione di due oleodotti negli USA rischiano di scatenare nuove manifestazioni di protesta dopo che già negli ultimi mesi e anni entrambi i progetti erano stati contestati duramente da ambientalisti e nativi americani.

Uno dei due oleodotti è il Dakota Access (DAPL) e nei mesi invernali del 2016 i lavori per il completamento dell’opera erano stati di fatto bloccati da un accampamento di tribù indiane e ambientalisti. I manifestanti erano stati spesso fermati con metodi violenti dalle forze di polizia locali e dalle guardie private delle compagnie impegnate nella costruzione dell’infrastruttura.

Alla fine, l’amministrazione Obama aveva sospeso le operazioni, ordinando una revisione del progetto di un’opera che dovrebbe attraversare falde acquifere cruciali e terre considerate sacre per alcune tribù di indiani d’America.

L’intervento di Obama era stato in realtà un modo per passare la risoluzione della vicenda nelle mani del nuovo presidente, il quale non ha mai nascosto la sua intenzione di far ripartire i lavori. La sua amministrazione è d’altra parte composta da negazionisti del cambiamento climatico, fermi sostenitori delle fonti di energia inquinanti e, soprattutto, politici e imprenditori legati alle compagnie petrolifere.

Sul DAPL, inoltre, nell’amministrazione Trump abbondano i conflitti di interesse. Lo stesso presidente possiede azioni della compagnia costruttrice, la Energy Transfer Partners, mentre il prossimo segretario all’Energia, l’ex governatore del Texas Rick Perry, sedeva nel suo consiglio di amministrazione. Ancora, uno dei beneficiari dell’oleodotto sarà il petroliere Harold Hamm, cioè uno dei principali finanziatori della campagna elettorale di Trump.

L’altro oleodotto è il Keystone XL, il quale dovrebbe portare il petrolio estratto dalle super-inquinanti sabbie bituminose dell’Alberta, in Canada, alle raffinerie americane nel Golfo del Messico. Anche questo progetto era stato al centro di infinite proteste per il potenziale inquinante di eventuali incidenti, fino a che l’amministrazione Obama aveva deciso di bloccarne la costruzione nel 2015.

Questi provvedimenti di Trump fanno parte di una strategia deliberata per smantellare le regolamentazioni ambientali e relative alla sicurezza dell’industria energetica e non solo. Con il pretesto di facilitare le attività del business privato e la creazione di posti di lavoro, la nuova amministrazione intende favorire i profitti delle grandi aziende facendone pagare i costi e le conseguenze ai lavoratori e alle comunità americane.

Questa agenda classista mascherata da propaganda populista e nazionalista è apparsa chiara anche in seguito agli incontri di inizio settimana del presidente Repubblicano, prima con i vertici delle più importanti compagnie manifatturiere americane e successivamente con gli amministratori delegati di General Motors, Ford e Fiat Chrysler.

In entrambi i casi, Trump ha promesso uno snellimento di quelli che vengono definiti impedimenti burocratici al business, assieme a un drastico taglio delle tasse che gravano su corporation che, peraltro, con manovre più o meno legali pagano già una parte irrisoria del loro teorico carico fiscale.

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