di Michele Paris

Il primo turno delle elezioni presidenziali in Francia di domenica ha segnato il clamoroso tracollo del sistema sostanzialmente bipartitico che ha dominato il paese negli ultimi decenni. I candidati del Partito Socialista (PS) al governo e la destra gollista de I Repubblicani (LR) sono stati infatti eliminati a beneficio dell’ex ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, e della leader del Fronte Nazionale (FN) neo-fascista, Marine Le Pen.

Per una volta, i sondaggi di opinione della vigilia sono stati confermati dal voto. Macron e Le Pen si sono in pratica equivalsi, con l’ex Socialista che ha sfiorato il 24% e quest’ultima attestata attorno al 21,5%.

Il candidato gollista, François Fillon, non è riuscito a recuperare terreno a sufficienza dopo lo scandalo relativo a un finto lavoro ricoperto dalla moglie e retribuito con soldi pubblici. L’ex primo ministro si è fermato a poco meno del 20% dei consensi, determinando la prima eliminazione al primo turno delle presidenziali francesi di un candidato gollista da oltre tre decenni a questa parte.

Il collasso del PS francese è apparso chiaro invece dall’umiliante 6,3% raccolto da Benoît Hamon. Il vincitore a sorpresa delle primarie del suo partito era stato di fatto scaricato più o meno formalmente dai vertici Socialisti, schieratisi a favore di Macron, perché ritenuto troppo “progressista”.

A determinare l’affondamento di proporzioni storiche del Partito Socialista è stata però l’eredità del presidente uscente, François Hollande, e dei governi che ha presieduto negli ultimi cinque anni. Austerity, deregolamentazione del mercato del lavoro, guerra, stato di emergenza permanente ed erosione dei diritti democratici hanno caratterizzato l’esperienza di governo Socialista, trasformandosi in una batosta elettorale ancora peggiore di quella del 2002 che vide l’esclusione dal secondo turno dell’allora primo ministro, Lionel Jospin.

In molti hanno fatto notare come il ritiro della candidatura di Hamon a favore di Jean-Luc Mélenchon avrebbe potuto spingere quest’ultimo al ballottaggio. Il leader del Partito di Sinistra (PG) e del movimento “France insoumise” (“Francia ribelle”), creato ad hoc per le presidenziali, ha toccato domenica il 19,6% dopo essere riuscito a capitalizzare almeno in parte il diffuso sentimento anti-bellico e anti-liberista tra la popolazione francese.

Se la matematica del dopo voto indica che la confluenza dei voti di Hamon su Mélenchon avrebbe fatto di quest’ultimo il vincitore del primo turno, è altrettanto probabile che un eventuale accordo con il candidato Socialista, che pure era stato esplorato, gli avrebbe fatto perdere un numero considerevole di consensi, visto il discredito del partito di governo tra gli elettori più orientati a sinistra.

Dopo il primo turno di domenica, in ogni caso, i francesi si ritroveranno ora con la prospettiva di una nuova orgia neo-liberista, in caso di successo di Macron al ballottaggio, o dell’abisso della deriva neo-fascista.

Lo scampato pericolo di una sfida al secondo turno tra Mélenchon e Le Pen, oltre all’entusiasmo dei mercati, ha già scatenato la prevedibile campagna pro-Macron dei media e dell’establishment politico francese. Fillon e Hamon hanno già dato indicazione ai propri elettori di votare per il 39enne ex banchiere Rothschild. Mélenchon, invece, non ha per ora espresso apertamente la sua preferenza, sapendo forse che un “endorsement” a favore di Macron sfocerebbe nuovamente in un vicolo cieco per il potenziale movimento progressista coagulatosi attorno alla sua candidatura in questi mesi.

Emmanuel Macron è dunque il candidato di gran lunga preferito dai poteri forti in Francia e in Europa. La sua candidatura è stata costruita a tavolino dopo l’addio al Partito Socialista e la creazione dal nulla di un movimento (“En Marche !”) con nessun radicamento nel paese. Dietro a Macron c’è in sostanza l’élite finanziaria transalpina ed esponenti del Partito Socialista protagonisti della deriva neoliberista, nonché della virtuale distruzione, di questo partito.

Macron è riuscito a sfruttare il discredito del PS, le cui rovinose politiche economiche di questi anni ha peraltro contribuito a formulare, presentandosi come un candidato giovane, dinamico e svincolato dalle logiche di destra e sinistra. La sua rapida ascesa a favorito per l’Eliseo è stata possibile anche grazie all’implosione della candidatura di Fillon, legata in parte ai suoi orientamenti filo-russi, e alla costante promozione della sua immagine da parte dei media ufficiali.

Su questi aspetti il vincitore del primo turno è tornato nel suo discorso seguito alla chiusura delle urne. La retorica del rinnovamento della Francia, del superamento delle divisioni ideologiche e la lotta al nazionalismo del Fronte Nazionale nascondono tuttavia una realtà ben diversa e che è in definitiva ancora una volta quella del neo-liberismo sfrenato, in perfetta continuità con i mandati di Sarkozy e, ancor più, di Hollande.

Nelle due settimane che separano la Francia dal secondo turno, la candidata del FN cercherà perciò di approfittare della natura stessa del progetto politico di Macron, così da smascherare le forze che lo sostengono e di proporsi essa stessa come l’unica alternativa anti-establishment per gli elettori, soprattutto quelli appartenenti alle classi più disagiate.

La strategia dell’estrema destra francese è infatti sempre la stessa. Denuncia della globalizzazione, del capitalismo senza freni e dello smantellamento del welfare, il tutto indirizzato però verso l’ultranazionalismo, l’anti-socialismo, la xenofobia e il razzismo, in un mix che non può che tradursi in un disastro per lavoratori e classe media.

Praticamente tutti i sondaggi ufficiali danno ora Macron in netto vantaggio sulla Le Pen nel secondo turno. In media, l’ex ministro Socialista sembra dover ottenere più del 60% dei consensi nel voto del 7 maggio.

I veri equilibri elettorali potrebbero però essere almeno in parte diversi da quelli proposti dalla stampa, tanto che qualcuno prospetta una possibile sorpresa da qui a due settimane. A rappresentare un’incognita per le chances di successo di Macron è in primo luogo la sua stessa natura artificiosa e di controfigura dei grandi interessi economico-finanziari francesi.

Se, poi, in Francia e nel resto d’Europa c’è da attendersi una certa mobilitazione per evitare l’ascesa al potere della destra neo-fascista, le credenziali di Marine Le Pen e del Fronte Nazionale sono oggi notevolmente superiori rispetto ad esempio al 2002, quando Jean-Marie Le Pen accedette al ballottaggio dove venne schiacciato da Jacques Chirac.

Con il persistere della crisi del capitalismo francese e l’emergere di fortissime tensioni sociali, infatti, la classe dirigente transalpina ha progressivamente adottato buona parte dell’agenda di estrema destra del FN, finendo in definitiva per legittimarlo come un normale partito del panorama politico ufficiale.

A causa anche di queste dinamiche, di fronte a un favorito che, al di là delle apparenze, risulta legato a doppio filo con l’establishment respinto domenica dagli elettori francesi, nel vuoto della sinistra francese potrebbe infilarsi così con successo l’estrema destra e consegnare un risultato che, a tutt’oggi, i sondaggi sembrano escludere categoricamente.

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