Nelle elezioni tenutesi lo scorso 26 Novembre in Honduras, paese centroamericano noto soprattutto per trovarsi alla testa degli indici delittivi planetari e per ospitare una delle basi militari statunitensi più grandi del mondo, il Presidente uscente, Juan Horlando Hernandez, si è autonominato vincitore delle elezioni.

 

 

Candidatosi grazie ad una deroga dala Costituzone, le elezioni non le ha vinte con i voti ma con l’aiuto del Tribunale Supremo Elettorale, che ha invertito lo spoglio dei voti trasferendo d’imperio il candidato della sinistra, Salvador Nasralla, dal ruolo di vincitore quello di sconfitto.  Eppure, persino il candidato arrivato in terza posizione, il liberale Luis Zelaya, si è congratulato con Nasralla, riconoscendolo come vincitore legittimo.

 

Tutto è stato organizzato dai militari e dall’oligarchia locale, che hanno costruito una farsa di fronte alla quale il silenzio internazionale è scandaloso. Con lo spoglio delle schede elettorali in corso e il candidato dell’opposizione in netto vantaggio (otre cinque punti), quando risultava altamente improbabile invertire l’esito che si andava prefigurando, un provvidenziale black-out elettrico ha interrotto per cinque ore le operazioni di conteggio dei voti. Alla riapertura delle stesse, come per un miracolo contabile, in vantaggio c’era il presidente uscente. Cinque punti bruciati in cinque ore. Le truffe hanno una loro contabilità.

 

Di fronte alla inevitabile reazione popolare contro la truffa anche le Forze Armate hanno voluto offrire il loro contributo alla causa, occupando le strade e stroncando con la repressione le proteste degli elettori defraudati. Sette morti e diversi feriti, centinaia di arresti e stato d’assedio per 10 giorni sono il bilancio provvisorio di questo nuovo colpo di Stato.

 

La tecnica del trasferimento di voti da un candidato all’altro non è nuova. Venne alla luce in modo fragoroso con Al Gore alle elezioni statunitensi del 2000, quando in Florida (Stato decisivo e all’epoca governato da suo Fratello Jeb e gestito dalla comunità terroristico-mafiosa dei cubano-americani), durante le operazioni di spoglio ci fu un’altro strano black-out elettorale che durò tutta la notte. Scomparvero 600.000 voti e al mattino dopo il risultato parziale, che prima del black-out vedeva in vantaggio il candidato democratico, venne invertito a favore del rampollo repubblicano. Toccò poi anche in questo caso alla Corte Suprema avallare il tutto. Da questo dettaglio si capisce forse chi abbia ispirato la mossa di questi giorni a Tegucigalpa.

 

Nel silenzio interessato dei media internazionali e con la complicità delle cancellerie internazionali, si è quindi consumato un furto di elezioni, avallato dagli osservatori della Unione Europea che si sono girati altrove mentre l’imbroglio si consumava. L’Organizzazione degli Stati Americani c’ha messo del suo, sommando silenzio a silenzio e rendendo l’osservazione un gioco a mosca cieca. In fondo, Messico e Perù, che degli osservatori facevano parte, hanno una certa consuetudine nel truccare le elezioni per impedire alla sinistra di vincere, dunque la situazione deve essergli sembrata assolutamente normale. E poi l’Honduras non è il Venezuela e gli ordini di Washington non si discutono.

 

Per l’Honduras non ci sono novità, la ricetta è sempre la stessa. Quando vince la sinistra, la colonia militare statunitense ha sempre pronte due soluzioni: o interviene con un colpo di Stato, come successe nel 2009 contro il Presidente Zelaya, oppure, ad evitare sforzi successivi, adotta la strategia preventiva, che consiste nel furto delle elezioni. Proprio questa seconda opzione è stata applicata nell’occasione.

 

Si può sottolineare come il colpo di Stato che rovesciò il legittimo presidente Zelaya venne effettuato con l’ok dell’Amministrazione Obama (Segretario di Stato Hillary Clinton) e quello di ieri con Trump (dove il segretario di Stato risulta un lavoro precario). In questo senso la continuità coloniale è garantita. Come quella democratica.

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