di Sara Nicoli

Per l’amministrazione Bush è diventato il simbolo delle difficoltà a conciliare le esigenze della guerra al terrorismo con il diritto internazionale. Per buona parte del mondo arabo e musulmano è semplicemente uno scandalo e un affronto. Per la comunità internazionale un’imbarazzante realtà che sottolinea la sconfitta della politica Usa e chiama in correità i suoi alleati inchiodandoli a responsabilità enormi sul fronte della violazione dei diritti umani. Guantanamo compie cinque anni e assomiglia sempre più ad una struttura permanente dove il limbo giudiziario è la regola e le convenzioni internazionali sono carta straccia. Questa prigione di massima sicurezza è nata l’11 gennaio 2002, nella base della U.S. Navy a Guantanamo Bay a Cuba, quando furono deportati i primi 20 detenuti incappucciati, con le mani legate e i piedi incatenati. Le immagini delle loro divise color arancione e delle gabbie in cui venivano rinchiusi fecero presto il giro del mondo. A quattro mesi dall’attacco all’ America dell’11 settembre 2001, Bush aveva bisogno di mandare un segnale forte nella lotta al terrorismo e Guantanamo sembrava il più adeguato. Da allora, poco meno di 800 prigionieri sono passati da Camp Delta e dagli altri centri di detenzione di Guantanamo. Per 380 di loro - di cui 114 nel corso del 2006 – c’è stata la possibilità del trasferimento ai paesi d'origine e in molti casi la scarcerazione. Meno di 400 detenuti restano invece in una condizione segnata da molte incertezze. Il Pentagono, pressato più dai media che dalla politica, ha già stabilito che 85 di loro non costituiscono più un pericolo, ma non è riuscito a trovare Paesi disponibili ad accoglierli. Forse è un caso, forse no.Tutti gli altri dovrebbero venir processati. Il condizionale è d’obbligo perchè l’iter delle “commissioni militari”, i famigerati tribunali speciali che il presidente George W.Bush aveva creato dopo l’11 settembre, ha avuto una vita estremamente travagliata. La Corte Suprema degli Stati Uniti li ha bloccati due volte sul nascere, prima che potessero entrare in azione. L’amministrazione Bush ha reagito una prima volta dando vita a udienze per la revisione dei casi dei detenuti, poi ha deciso di far approvare nei mesi scorsi una legge dal Congresso. Adesso che la legge è stata varata, il Pentagono sta mettendo a punto le procedure per cominciare i processi, previsti a questo punto a partire da luglio. Entro la fine di gennaio potrebbero venir decise nuove incriminazioni. Ma varie iniziative legali si intrecciano negli Usa da parte di avvocati di detenuti e non è escluso che il destino di Guantanamo torni di nuovo all’attenzione della Corte Suprema.

In questi ultimi giorni, a far capire che il clima intorno all’amministrazione Bush circa Guantanamo sta radicalmente cambiando, ci si sono messi anche gli agenti dell’Fbi che hanno avuto modo di assistere agli interrogatori dei prigionieri che i militari, gli agenti della Cia e i contractor privati facevano. In realtà, gli uomini dell’Fbi quelle cose le hanno viste tempo fa e le hanno raccontate nel 2004, quando i loro capi decisero di compiere una sorta di ricerca fra i loro agenti che per ragioni di servizio erano “passati” per la prigione di Guantanamo. Erano poco meno di 500, quegli agenti, e ricevettero un questionario in cui gli si chiedeva di riferire su eventuali “interrogatori aggressivi” cui avessero assistito. Ventisei di loro risposero di sì, spiegarono cosa avevano visto e il quadro che ne uscì fu quello classico cui le notizie filtrate da Guantanamo in tutti questi anni ci hanno tragicamente abituato. Ecco così il soldato che si siede sul Corano di fronte all’interrogato che - dice l’agente dell'Fbi – “impazzisce di rabbia”, ecco un prigioniero con la faccia completamente “incartata” col nastro adesivo tipo mummia perché - spiega il contractor all’agente Fbi – sarebbe stato quello l’unico modo per farlo smettere di recitare ad alta voce versetti del Corano e così di seguito. Ciò che ha stupito e al contempo indignato del racconto serafico di questi uomini è stata la continua sottolineatura, agli agenti dell’Fbi, di aver compiuto quelle azioni sotto l’espressa autorizzazione del ministero della Difesa, anzi direttamente dall’allora ministro Donald Rumsfeld. Il che spiega perché, quando (nel 2004) l’Fbi consegnò allo stesso ministero il risultato della ricerca compiuta sui suoi agenti, non successe nulla. Adesso, che il vento sta girando, i fascicoli escono dai cassetti impolverati e parlano.

E’ forse questo, al punto in cui sono ora le cose, l’aspetto più interessante della storia. La pubblicazione della ricerca compiuta dall’Fbi, infatti, è avvenuta nell’ambito di un processo che alcuni ex detenuti assistiti dall’Aclu, l’associazione per la difesa delle libertà civili, stanno intentando proprio contro Rumsfeld, in quanto responsabile di ciò che loro hanno subito sulla propria pelle: documenti in più, dunque, che gli avvocati dei detenuti presenteranno al giudice. Naturalmente, però, la scoperta che le malefatte di Guantanamo erano state a suo tempo documentate anche dall'Fbi, (che le aveva «doverosamente» trasmesse al ministero della Difesa e che questo non aveva fatto nulla) solleva parecchie questioni. Anche perché la legge che di fatto autorizza la tortura, quella che George Bush si è fatto approvare in extremis dal Congresso ancora a maggioranza repubblicana, a quel tempo non era ovviamente ancora in vigore.
Interrogato in proposito, il portavoce del Pentagono Bryan Whitman ha detto che si tratta di “roba vecchia”, che su di essa il ministero della Difesa ha compiuto a tempo debito “accurate indagini” e che nei casi in cui è stato accertato che le accuse erano “sostanziate” sono stati presi dei “provvedimenti disciplinari”. Ma se qualcuno pensa che ora che Rumsfeld non è più alla guida del Pentagono quella roba vecchia possa essere riesaminata si sbaglia di grosso. La risposta del portavoce, in questo senso, non lascia adito a dubbi: “Un riesame? – ha commentato Whitman - Non vedo perché, è già stata accuratamente indagata a suo tempo, no?”

Guantanamo resta dunque una ferita aperta. Bush ha ripetuto più volte nei mesi scorsi, soprattutto ai critici in Europa, di aver intenzione di chiudere Guantanamo, ma ha anche avvertito di non poter compiere passi del genere prima che venga stabilito cosa fare con quelli che l’America ritiene terroristi e “combattenti nemici”. Lo scorso agosto, con una mossa a sorpresa, il presidente ha fatto trasferire a Guantanamo anche i 14 detenuti esponenti di Al Qaida di maggior spessore custoditi dagli Usa, che si trovavano nelle prigioni segrete della Cia. Tra loro ci sono anche la “mente” e il “braccio armato” dell’attacco all’America, Khalid Sheikh Mohammed e Ramzi Binalshibh, e per loro potrebbero aprirsi corsie preferenziali per i processi.

La base navale intanto si è abituata a essere un carcere tropicale permanente che uno sprezzante Rumsfeld difese davanti al mondo con indecorosa faccia tosta. “Ci accusano delle gabbie, ma si dimenticano di dire che a Cuba c’è il sole e un clima gradevole”. Le strutture sono ormai assai diverse da quelle, provvisorie, di cinque anni fa e sono ora non molto diverse da quelle di un qualunque carcere federale negli Usa. Una cittadella per i processi sta prendendo forma su un lato della baia mentre una nuova area di detenzione, Camp 6, è stata inaugurata di recente. Doveva essere una prigione di media sicurezza, ma tre suicidi e una rivolta nei mesi scorsi hanno spinto l'ammiraglio Harry Harris, comandante della base, a ordinare un nuovo giro di vite: a Guantanamo, ha spiegato, la “media sicurezza” non esiste. E neppure una mezza civiltà.

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