La scrupolosa preparazione del summit di venerdì tra il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, e il leader della Corea del Nord, Kim Jong-un, ha finito per produrre un evento “storico” che, almeno in apparenza, si è risolto in un successo pressoché completo. Nel corso del summit lungo il confine tra le due Coree sono stati raggiunti una serie di accordi che dovrebbero gettare le basi per la risoluzione dei punti più critici nelle relazioni tra Seoul e Pyongyang, anche se, in realtà, le possibilità concrete di uno sblocco della crisi dipenderanno dall’esito delle imminenti trattative tra Corea del Nord e Stati Uniti.

 

 

L’importanza mediatica del terzo faccia a faccia tra le massime cariche dei due paesi divisi dal 38esimo parallelo è apparsa subito chiara nella notte italiana, quando le immagini di Kim che ha varcato per la prima volta il confine meridionale mettendo piede in Corea del Sud hanno fatto il giro del mondo. Il numero uno del regime nordcoreano ha stretto la mano a un sorridente Moon, per poi accompagnarlo per pochi passi dentro ai confini del suo paese, prima di tornare di nuovo verso sud e dirigersi alla “Casa della Pace”, dove hanno avuto luogo i colloqui formali.

 

Le questioni centrali affrontate dai due leader hanno avuto a che fare con l’impegno per la “denuclearizzazione” della penisola e per la firma di un trattato di pace “definitivo” e “solido” che sostituisca l’armistizio siglato alla fine della guerra nel 1953 e tuttora in vigore. La retorica della pace ha attraversato tutto il summit, con l’auspicio ostentato da entrambe le parti di superare definitivamente le tensioni e le minacce, tanto da ipotizzare addirittura una futura riunificazione.

 

La dichiarazione ufficiale al termine dell’incontro ha incluso altre importanti questioni, dalla riduzione degli armamenti dispiegati nella regione alla fine delle azioni “ostili”, dalla trasformazione del confine ultra-militarizzato in una zona di pace allo sviluppo di infrastrutture che colleghino i due paesi.

 

Inoltre, Kim e Moon hanno annunciato la creazione di un apposito ufficio che si occupi delle relazioni bilaterali, mentre dovrebbero essere riattivate le riunificazioni delle famiglie divise dal conflitto e interrotte le attività di propaganda da entrambe le parti. Un altro punto delicato affrontato dal vertice è la possibile ripresa dei negoziati a quattro, con l’inclusione non solo degli Stati Uniti ma anche della Cina.

 

Proprio gli elementi più significativi dell’intesa tra Kim e Moon – “denuclearizzazione” e trattato di pace – sono quelli su cui eventuali progressi si dovranno misurare in larga misura dalla volontà e dalle azioni non tanto delle due Coree quanto del governo americano. L’agenzia di stampa sudcoreana Yonhap ha infatti definito la dichiarazione sottoscritta dai due leader venerdì come una sorta di “linea guida” per le discussioni tra Kim e Trump nel probabile faccia a faccia che dovrebbe tenersi a fine maggio o all’inizio di giugno.

 

La stessa agenzia ha anche ammesso che i risultati ottenuti dal vertice inter-coreano non sono molto diversi da quelli usciti dai due precedenti nel 2000 e nel 2007, entrambi di fatto senza conseguenza significative. La differenza rispetto al passato sembra essere comunque la volontà mostrata da Kim e Moon di trasformare in atti concreti gli impegni presi.

 

A dare un impulso forse decisivo agli eventi di questi giorni era stata la recente dichiarazione dello stesso Kim sulla sua disponibilità a sospendere tutti i test missilistici e a smantellare il programma nucleare del suo paese. Questa apertura e gli impegni presi venerdì nello stesso ambito sono stati però giudicati con scetticismo praticamente da tutti i principali media che hanno dato conto dell’evento al confine tra le due Coree.

 

La rinuncia al nucleare da parte di Kim è in effetti l’incognita maggiore nel quadro diplomatico attuale. A livello generale, è ragionevole ipotizzare che il regime nordcoreano abbandonerà in maniera quanto meno riluttante un programma su cui ha investito enormemente e che può essere utilizzato come moneta di scambio in un prossimo negoziato internazionale. D’altra parte, eventuali resistenze non sono dovute tanto all’intenzione di Kim di utilizzare deliberatamente gli ordigni contro un qualche paese straniero, bensì dal timore, sull’esempio di casi come quello della Libia di Gheddafi, di esporsi all’aggressione americana senza alcun deterrente a disposizione.

 

I termini del processo di “denuclearizzazione” della Corea del Nord sono comunque ancora tutti da chiarire. L’amministrazione Trump sembra insistere sulla rinuncia preventiva al programma nucleare di Pyongyang prima di fare qualche concessione al regime, a cominciare dall’allentamento delle sanzioni economiche. La posizione ufficiale di Kim non è invece nota, ma la gran parte dei commentatori ipotizza la preferenza per un percorso graduale, condiviso anche da Seoul, con scambi reciproci di concessioni.

 

Al di là della retorica della pace, sulla distensione in atto hanno influito fattori legati principalmente a minacce di aggressioni militari, pressioni economiche e fattori strategici vitali nel quadro delle relazioni internazionali odierne.

 

Per quanto riguarda la Corea del Nord, in gioco c’è la sopravvivenza stessa del regime di Kim che Seoul e Washington saranno in sostanza chiamati a garantire in cambio di un atteggiamento più conciliante, non solo dal punto di vista formale ma anche e soprattutto sul piano strategico.

 

Se è difficile al momento prevedere l’esito del processo appena avviato, la questione chiave per gli Stati Uniti rimane quella di sottrarre la Corea del Nord all’influenza della Cina, sia attraverso l’uso della forza o, come sembra accadere in questo frangente, con manovre diplomatiche.

 

Per questa ragione, gli eventi di questi giorni sono osservati con estrema apprensione a Pechino, da dove si teme che possa venir meno la funzione di cuscinetto che la Corea del Nord ha svolto dal 1953 tra la Cina e le forze armate americane stanziate in Corea del Sud.

 

Se vi siano le condizioni per una simile clamorosa svolta strategica da parte di Pyongyang è ancora tutto da verificare. Gli ulteriori colloqui tra le due Coree annunciati venerdì contribuiranno a chiarire le idee in proposito, anche se il primo vero banco di prova sarà l’ingresso a tutti gli effetti nei negoziati degli Stati Uniti e il sempre più probabile storico faccia a faccia tra Kim e il presidente americano Trump.

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