Il numero crescente di separazioni forzate di immigrati minorenni dai loro genitori e le immagini di bambini e ragazzi, rinchiusi in appositi centri di detenzione in territorio americano, stanno provocando un’escalation di proteste nei confronti dei metodi simil-nazisti impiegati dall’amministrazione Trump per far fronte alla presunta invasione in atto dei confini degli Stati Uniti.

 

Il sentimento diffuso di repulsione suscitato dalla persecuzione dei migranti, inclusi quelli che vivono e lavorano in America, è inoltre sempre più sfruttato politicamente dal Partito Democratico. Molti dei suoi leader e membri del Congresso hanno alzato il tono della polemica con la Casa Bianca e intrapreso azioni apparentemente eclatanti nel fine settimane per condannare le politiche migratorie del governo.

 

 

I democratici sono però tutt’altro che immacolati se si tratta di migranti. Le politiche reazionarie e le espulsioni di massa decise dall’amministrazione Obama hanno rappresentato la base da cui è scaturita l’accelerazione xenofoba di Trump, mentre l’impalcatura legale del pugno di ferro odierno era stata in buona misura creata negli anni Novanta da un presidente e un Congresso a maggioranza democratica.

 

Uno degli aspetti più raccapriccianti continua a essere appunto quello delle separazioni famigliari. In concomitanza con la festa del papà, celebrata domenica negli USA, i media d’oltreoceano hanno dato spazio a numerose storie di genitori detenuti e figli strappati con la forza. Secondo i dati del governo, tra la metà di aprile e la fine di maggio quasi duemila minori migranti sarebbero stati divisi da uno o entrambi i genitori. Il numero reale potrebbe essere però anche di molto superiore, come ha ammesso ad esempio la senatrice repubblicana, Susan Collins.

 

Questa pratica, di cui si stanno facendo carico gli agenti di frontiera e degna dei metodi della Gestapo, aveva avuto il via libera da una dichiarazione del ministro della Giustizia, Jeff Sessions, nel mese di aprile che annunciava “tolleranza zero” nei confronti di ingressi “illegali” di migranti negli Stati Uniti.

 

La linea dura decisa dall’amministrazione Trump ha però dovuto fare i conti da subito con una crescente opposizione popolare. La necessità della Casa Bianca di promuovere iniziative xenofobe, che guardano alla propria base elettorale di estrema destra, ha così creato un problema politico che ha spinto lo stesso presidente ed esponenti del suo staff a cercare di prendere in qualche modo le distanze dalle separazioni forzate dei migranti dai loro figli.

 

Ad esempio, Trump e altri all’interno dell’amministrazione continuano ad attribuire la colpa delle separazioni a una legge approvata in passato da una maggioranza democratica. L’affermazione è stata bollata come falsa dalla stampa filo-democratica negli USA, ma la realtà appare più sfumata.

 

In particolare, il riferimento va alla legge, approvata nel 1993 durante l’amministrazione Clinton e da un Congresso a maggioranza democratica, che rendeva un reato federale il tentativo di rientrare “illegalmente” negli USA da parte dei migranti clandestini espulsi. Questo crimine o presunto tale è uno dei motivi che fanno scattare la detenzione di coloro che cercano di attraversare il confine e la conseguente separazioni dai figli minori eventualmente con loro.

 

Sempre il Partito Democratico e il presidente Clinton erano stati i responsabili anche del cosiddetto “Illegal Immigration Reform and Immigrant Responsibility Act” del 1996 che determinava un ulteriore giro di vite nei confronti dei migranti. Obama, infine, ha deportato nei loro paesi di origine qualcosa come 2,7 milioni di persone durante i due mandati alla Casa Bianca, un numero cioè superiore a quello registrato complessivamente da tutte le amministrazioni che lo avevano preceduto.

 

In molti nel Partito Democratico hanno comunque attaccato duramente l’amministrazione Trump sul fronte migranti. Alcuni deputati e senatori nella giornata di domenica hanno anche visitato o cercato di visitare centri di detenzione per minori in Texas e nel New Jersey, confidando evidentemente in una massiccia esposizione mediatica. Visti i precedenti del partito oggi all’opposizione, l’offensiva contro la Casa Bianca di questi giorni serve solo a capitalizzare politicamente l’opposizione popolare contro la persecuzione dei migranti in vista delle elezioni di “metà termine” a novembre.

 

Le difficoltà dell’amministrazione Trump sono d’altro canto sempre più evidenti. Da un lato, consiglieri ed ex consiglieri del presidente, come i neo-fascisti Stephen Miller e Stephen Bannon, hanno rilasciato dichiarazioni pubbliche per difendere fermamente e in maniera arrogante le politiche migratorie della Casa Bianca.

 

Dall’altro, però, voci non esattamente ostili al presidente, inclusa addirittura la sua consorte Melania, hanno preso chiare posizioni contro la politica delle separazioni dei minori dai genitori immigrati. La mobilitazione apparentemente contro Trump in questi ambienti, di cui fanno parte individui con storie spesso non edificanti per quanto riguarda la difesa dei diritti umani, indica in primo luogo diffusi malumori per il crescente discredito del presidente nel paese e le possibili conseguenze elettorali.

 

Per questa ragione, le uscite della “first lady” o, ad esempio, della responsabile dell’implementazione delle politiche migratorie da stato di polizia, la numero uno del dipartimento degli Interni, Kirstjen Nielsen, rappresentano il tentativo, diretto probabilmente dalla Casa Bianca, di gettare acqua sul fuoco delle polemiche. Negando l’evidenza, la Nielsen ha “twittato” nel fine settimana che l’amministrazione Trump non prevede a livello ufficiale la separazione automatica delle famiglie di stranieri che si presentano ai confini americani.

 

Queste dichiarazioni stridono con una realtà drammatica e che rivela le pratiche di fatto illegali delle autorità di frontiera. I giornali americani hanno tra l’altro raccontato di detenzioni anche di migranti presentatisi nei punti di frontiera deputati alle richieste di asilo. In altri casi, queste richieste non vengono nemmeno prese in considerazione, come impone invece la legge.

 

Un altro capitolo della crisi politica che si sta consumando attorno ai migranti negli Stati Uniti è infine quello legislativo. Sia i leader repubblicani sia quelli democratici intendono spegnere la polemica ed evitare il diffondersi delle manifestazioni di protesta apparse sporadicamente nei giorni scorsi attraverso l’approvazione di una legge al Congresso che limiti gli eccessi dell’amministrazione Trump.

 

Tra Camera e Senato le bozze di legge sono tuttavia molteplici e rischiano di perdersi tra le dispute interne alle varie fazioni dei due partiti. A ciò va aggiunta la solita confusione della Casa Bianca, da dove sono arrivati segnali contrastanti sul possibile appoggio del presidente a una delle proposte legislative avanzate dai repubblicani.

 

Al di là dei prossimi sviluppi, gli attacchi contro i migranti da parte dell’amministrazione Trump continueranno in un modo o nell’altro anche in futuro. Pur non essendoci una vera e propria crisi migratoria in America, né tantomeno un’invasione di stranieri, l’attitudine repressiva e xenofoba resta un punto cardine dell’agenda ultra-nazionalista di Trump, così come dei movimenti e dei governi populisti da questa parte dell’Atlantico.

 

La strategia della destra è quella di ostentare credenziali anti-establishment  cercando di dividere la popolazione o, meglio le fasce più deboli di essa, lungo linee razziali e di appartenenza nazionale, con l’obiettivo di generare disorientamento e creare le basi per l’implementazione di politiche di classe in fin dei conti poco o per nulla differenti da quelle dei partiti di orientamento apertamente liberista.

 

In questa prospettiva, da manuale della destra populista è apparsa un’intervista rilasciata domenica alla ABC dal già ricordato ex consigliere di Trump, Stephen Bannon. Dopo avere ribadito che gli USA stanno affrontando una “crisi lungo il confine meridionale” e che l’amministrazione repubblicana “non deve giustificarsi” per le sue politiche autoritarie, Bannon ha sostenuto che “le élites” stanno cospirando con i migranti e che l’immigrazione illegale “penalizza soprattutto la working-class ispanica e di colore”, provocando “una compressione delle retribuzioni”, ma anche “la distruzione dell’assistenza sanitaria e del sistema scolastico” americano.

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