Secondo una recente rivelazione dell’agenzia di stampa Associated Press, sono - o, per lo meno, erano - in corso discussioni all’interno dell’amministrazione Trump attorno a un possibile intervento militare diretto da parte delle forze armate americane per risolvere a proprio favore lo scontro che li oppone da anni al Venezuela.

 

La notizia è stata presentata ufficialmente come un’idea improbabile che sarebbe passata per la mente del presidente USA, sia pure in più di un’occasione, prima di essere bocciata dai cosiddetti “adulti nella stanza”, cioè i principali rappresentati della fazione “moderata” del governo di Washington.

 

In realtà, l’ipotesi avanzata dietro le quinte da Trump sembra essere stata quanto meno oggetto di serio dibattito con i vertici militari e dell’intelligence degli Stati Uniti. I fatti raccontati dalla Associated Press risalgono a quasi un anno fa, ma la diffusione della notizia in concomitanza con la retorica nuovamente minacciosa nei confronti di Caracas, dopo le recenti elezioni presidenziali, conferma ancora una volta il rischio di possibili colpi di mano promossi da Washington nel paese sudamericano.

 

 

Le sanzioni economiche e finanziarie già applicate contro il Venezuela e la minaccia di restringere le esportazioni di petrolio, nel tentativo di far crollare definitivamente l’economia del paese, chiariscono a sufficienza le intenzioni di Washington e la disponibilità a ricorrere a misure estreme. Inoltre, i crescenti legami di Caracas con Pechino rendono ancora più urgente la risoluzione del caso venezuelano e, di conseguenza, decisamente plausibile il ricorso in qualche modo alla forza militare.

 

Trump avrebbe per la prima volta avanzato l’idea di un’iniziativa militare nel mese di agosto dello scorso anno durante una riunione a cui partecipavano, tra gli altri, il segretario di Stato, Rex Tillerson, e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, generale H. R. McMaster. Il presidente aveva chiesto se non fosse stato possibile semplicemente “invadere il Venezuela” in risposta al caos che era anche allora in corso nel paese.

 

Tillerson e McMaster, entrambi poi licenziati nei mesi successivi, dopo avere assorbito lo shock della richiesta, erano riusciti a convincere il presidente che l’operazione sarebbe risultata estremamente rischiosa e onerosa e avrebbe incontrato l’opposizione anche di governi latinoamericani amici degli Stati Uniti.

Secondo le testimonianze raccolte dalla Associated Press, Trump aveva portato gli esempi delle riuscite invasioni americane di Grenada e Panama negli anni Ottanta a supporto della sua proposta, senza minimamente preoccuparsi delle differenze di peso, dimensioni e popolazione tra questi paesi e il Venezuela.

 

Di questo scambio di opinioni era trapelato qualcosa a livello pubblico il giorno successivo. Trump era infatti apparso di fronte alla stampa con lo stesso Tillerson e l’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, Nikki Haley, affermando che una delle opzioni a disposizione di Washington per intervenire nella crisi venezuelana era appunto quella militare. Grazie alle ultime rivelazioni della Associated Press è dunque oggi possibile sapere che quelle dichiarazioni pubbliche di Trump non erano una semplice uscita di un presidente impulsivo e imprevedibile, bensì riflettevano discussioni concrete avvenute ai massimi livelli del governo americano.

 

Non solo Trump ne aveva parlato con Tillerson e McMaster, ma con ogni probabilità anche con altri esponenti dei vertici militari meglio disposti di questi ultimi. Ciò aiuterebbe a spiegare la decisione di Trump, qualche giorno più tardi, di esporre l’ipotesi anche al presidente colombiano, Juan Manuel Santos, i cui rapporti con il leader venezuelano Nicolas Maduro erano e restano estremamente tesi.

 

Nel mese di settembre, Trump era tornato nuovamente alla carica con l’idea dell’invasione del Venezuela, questa volta parlandone nel corso di un summit con alcuni capi di stato e di governo latinoamericani a margine dell’annuale assemblea generale dell’ONU a New York.

 

Trump aveva ammesso che il suo staff gli aveva raccomandato di non sollevare l’argomento, ma il presidente repubblicano aveva ugualmente chiesto ai presenti di ripensare la loro opposizione al progetto. Nessuno, tuttavia, avrebbe mostrato la propria approvazione a una guerra diretta di Washington contro il Venezuela. Anche dopo questo terzo episodio, Tillerson e McMaster erano riusciti a far desistere Trump dal suo proposito e, almeno ufficialmente, la questione sarebbe stata messa da parte.

 

Se, in effetti, l’ipotesi di un’invasione di un paese come il Venezuela appare a prima vista difficilmente comprensibile, la realtà prospettata da Trump è tutt’altro che fantasiosa. Ciò è tanto più vero se si pensa allo spostamento a destra del baricentro della sua amministrazione negli ultimi mesi con l’uscita di scena di personalità relativamente moderate e l’ingresso di “falchi” e “ultra-nazionalisti”.

 

La stessa retorica dei membri dell’amministrazione Trump e, come si è visto, del presidente continua a non escludere del tutto l’opzione militare per provare a dare la spallata definitiva al governo Maduro.

 

È evidente in ogni caso che Washington preferisca un’iniziativa golpista guidata da fazioni anti-governative di settori delle forze armate venezuelane, a cui fornire appoggio logistico, finanziario e politico. La Casa Bianca, nel rispondere in questi giorni alle domande della stampa sulla rivelazione della Associated Press, non ha tuttavia escluso esplicitamente il ricorso diretto alla forza, ma ha confermato che gli USA intendono “considerare tutte le opzioni a propria disposizione” per “ristabilire democrazia e stabilità in Venezuela”, ovvero per deporre il presidente Maduro e la sovranità del Venezuela e riconsegnare il paese alle forze filo-americane.

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