Stragi deliberate di civili, distruzione di infrastrutture e abitazioni, carestie, epidemie di massa e appoggio a movimenti terroristici sono gli ingredienti della guerra criminale che da oltre tre anni l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi, in stretta collaborazione con gli Stati Uniti, stanno imponendo alla popolazione dello Yemen. Malgrado tutto ciò, mercoledì il dipartimento di Stato americano ha certificato ufficialmente che le due monarchie del Golfo Persico “stanno prendendo iniziative verificabili al fine di ridurre i rischi per civili e infrastrutture derivanti dalle operazioni militari”.

 

Per chiunque abbia anche solo superficialmente seguito fino a oggi il conflitto in Yemen, questa dichiarazione è del tutto assurda, oltre che profondamente cinica. Per gli yemeniti, costretti a fare i conti con una situazione disperata, suona inoltre come un’ulteriore beffa. Infatti, il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, ha approvato la condotta di Riyadh e Abu Dhabi proprio nel giorno in cui le forze armate dei due regimi assoluti, in collaborazione con mercenari e milizie varie, hanno intensificato l’offensiva nella città portuale di Hodeidah, sul Mar Rosso.

 

L’assedio a questa località strategica, nelle mani dei “ribelli” sciiti Houthi, era stata condannata dalla gran parte della comunità internazionale, poiché da qui transitano i rifornimenti di beni di primissima necessità destinati a milioni di persone, già a forte rischio di sopravvivenza a causa dell’embargo quasi totale applicato dall’Arabia Saudita nelle aree costiere sotto il proprio controllo.

 

Forze fedeli a Riyadh e al deposto governo yemenita del presidente-fantoccio, Abd Rabbo Mansour Hadi, hanno conquistato in questi giorni l’arteria stradale che collega Hodeidah alla capitale, Sana’a, mettendo in pericolo le aree dell’interno del paese e quelle controllate dagli Houthi.

 

La “certificazione” rilasciata questa settimana dal segretario di Stato americano, in ogni caso, è una formalità richiesta da una norma inserita dal Congresso di Washington nella legge di finanziamento che per l’anno 2019 ha stanziato la cifra record di 717 miliardi di dollari da destinare alle operazioni militari. Per rispondere in qualche modo al moltiplicarsi di critiche alla guerra in Yemen, senatori e deputati americani avevano appunto imposto al dipartimento di Stato di certificare che Arabia Saudita ed Emirati Arabi avevano fatto progressi nel proteggere i civili.

 

In caso contrario, sarebbero stati congelati i fondi che consentono agli Stati Uniti di rifornire in volo gli aerei da guerra delle due dittature del Golfo nelle operazioni di bombardamento sulla popolazione yemenita.

 

Che la prescrizione stabilita dal Congresso fosse ridicolmente inefficace era evidente fin dall’inizio, tanto che è stata superata con una semplice dichiarazione-farsa del segretario di Stato. Singolarmente, Pompeo ha accompagnato però la certificazione relativa allo Yemen con un rapporto, già pubblicato dall’agenzia di stampa AFP, nel quale egli stesso riconosceva il numero troppo alto di vittime civili nel conflitto in corso.

 

L’eventuale fine dei rifornimenti in volo assicurati dagli americani non avrebbe comunque fatto cessare la collaborazione degli USA nei crimini commessi in Yemen. Washington avrebbe tra l’altro potuto continuare in maniera indisturbata a vendere armi per decine se non centinaia di miliardi di dollari a Riyadh e Abu Dhabi, così come a fornire informazioni di intelligence per individuare gli obiettivi da bombardare e a impiegare le proprie forze speciali direttamente sul campo.

 

Se anche le rassicurazioni del dipartimento di Stato venissero prese sul serio, ci sarebbe da chiedersi quali sono i criteri con cui è stato giudicato l’impegno saudita nel limitare i massacri di civili in Yemen. Solo nel mese di agosto, le forze che fanno capo a Riyadh hanno commesso alcune delle stragi più atroci di una guerra già segnata da numerosissimi episodi raccapriccianti.

 

Una nuova ondata di orrore a livello internazionale aveva provocato ad esempio il bombardamento con un ordigno di fabbricazione USA di uno scuolabus il 9 agosto scorso nella località di Dahyan, sotto il controllo dei “ribelli” Houthi. In quell’occasione erano stati uccisi circa 40 bambini e 11 adulti. Il 23 dello stesso mese, poi, un altro bombardamento aveva causato la morte di oltre 20 bambini e quattro donne in fuga dalla città di Hodeidah.

 

Casi di questo genere hanno fatto registrare un’impennata negli ultimi tempi, a conferma anche dell’inutilità della speciale commissione con il compito di indagare sulle vittime civili in Yemen, creata dal regime saudita in seguito all’aumentare delle pressioni internazionali.

 

Il livello di criminalità di Arabia Saudita, Emirati Arabi e Stati Uniti nella loro condotta in Yemen trova riscontro anche nella gestione sia delle comunicazioni relative al conflitto, come appunto la “certificazione” di Mike Pompeo, sia del faticosissimo processo diplomatico in atto.

 

A questo proposito, le due monarchie del Golfo hanno sostenuto che l’offensiva di Hodeidah si è resa necessaria alla luce dello stallo dei negoziati mediati dall’ONU. Il tavolo convocato a Ginevra nei giorni scorsi era però saltato per l’assenza forzata dei rappresentanti Houthi, costretti a mancare l’appuntamento con la diplomazia dopo che il regime saudita aveva negato al loro volo l’autorizzazione a lasciare lo Yemen.

 

Da ricordare è anche una recente clamorosa indagine della Associated Press che ha dimostrato come in questi anni di guerra la “coalizione” guidata da Riyadh abbia intrattenuto rapporti più che sospetti con la filiale di al-Qaeda in Yemen (AQAP o al-Qaeda nella Penisola Arabica). Arabia Saudita ed Emirati hanno ad esempio pagato comandanti jihadisti per consentire l’ingresso delle loro forze armate in determinate località yemenite.

 

In altre occasioni, addirittura, combattenti di al-Qaeda sono stati arruolati per combattere a fianco della “coalizione” contro gli Houthi. Secondo la Associated Press, gli Stati Uniti erano al corrente di questi accordi e, spesso, hanno sospeso la campagna di bombardamenti con i droni che da anni conducono in Yemen in nome della lotta al terrorismo.

 

Con l’intervento di mercoledì, insomma, Washington ha dato il proprio sigillo ufficiale alla prosecuzione e all’intensificazione del massacro della popolazione yemenita, di cui gli USA sono tra i diretti responsabili, mettendo come sempre davanti alla vita di decine di milioni di civili i propri interessi strategici e quelli dei loro alleati.

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