La Corte Suprema degli Stati Uniti ha ripreso i lavori nella giornata di lunedì con uno schieramento probabilmente mai così a destra nella storia americana dopo la conferma nel suo nuovo incarico del giudice Brett Kavanaugh. Il percorso verso la nomina dell’ex membro del tribunale federale d’Appello del District of Columbia è stato com’è noto complesso e profondamente controverso, in seguito a una campagna disonesta e fuorviante condotta senza successo dal Partito Democratico e dagli ambienti “liberal” in generale.

 

La ratifica della nomina di Kavanaugh da parte del Senato di Washington era stata messa in serio dubbio qualche settimana fa dopo che la dottoressa Christine Blasey Ford, docente presso un’università della California, aveva accusato il prescelto di Trump di avere tentato di violentarla oltre trent’anni fa durante una festa a cui entrambi erano stati invitati.

 

 

L’accusa contro Kavanaugh era emersa pubblicamente alla vigilia delle fasi finali del voto di conferma del Senato, anche se almeno una senatrice democratica ne era venuta a conoscenza qualche mese prima. Questo particolare e la battaglia scatenata in seguito dal partito di opposizione al Congresso hanno mostrato l’intenzione, condivisa peraltro dai leader repubblicani, di fare della nomina di Brett Kavanaugh alla Corte Suprema un tema centrale della campagna per le elezioni di metà mandato, previste per il 6 novembre prossimo.

 

Alle accuse della dottoressa Ford ne erano seguite altre di donne anch’esse presumibilmente molestate più di tre decenni fa. I senatori democratici e alcuni repubblicani “moderati” avevano allora chiesto le testimonianze di Kavanaugh e della stessa Ford davanti alla commissione Giustizia, seguite da un’indagine dell’FBI. Quello che è alla fine andato in scena è stato uno degli spettacoli più degradanti della politica americana degli ultimi anni.

 

Il Partito Democratico e gli ambienti che ruotano attorno ad esso avevano cercato di convogliare la vicenda nel movimento “#MeToo”, dando per scontata la veridicità delle accuse della dottoressa Ford e calpestando il principio della presunzione di innocenza, anche se di un giudice autenticamente reazionario. I repubblicani e la Casa Bianca, da parte loro, hanno stretto le fila, puntando sulla mobilitazione della propria base elettorale ultra-conservatrice in vista del voto di novembre. Questi calcoli e il timore di vedere svanire la possibilità di nominare un giudice ultra-conservatore in caso di vittoria dei democratici hanno fatto in modo che le pressioni della leadership repubblicana sui colleghi di partito più recalcitranti si trasformassero in un voto in aula a favore di Kavanaugh nella giornata di sabato.

 

Quest’ultimo ha fatto segnare il margine più ristretto da quasi un secolo e mezzo a questa parte in un voto di conferma del Senato americano di un giudice della Corte Suprema (50-48). Dei tre repubblicani incerti, solo la senatrice dell’Alaska Lisa Murkowski non ha garantito il proprio appoggio a Kavanaugh. La sua decisione di astenersi, assieme al voto favorevole del democratico del West Virginia, Joe Manchin, ha comunque scongiurato anche l’ipotesi di un voto del vice-presidente Mike Pence per rompere un eventuale pareggio.

 

L’esito della votazione in aula nel fine settimana ha lasciato spazio a recriminazioni, accuse e polemiche politiche che proseguiranno nel corso delle ultime quattro settimane di campagna elettorale. Con la maggioranza al Congresso in bilico, sarà da valutare l’impatto del voto su Kavanaugh soprattutto per quei senatori democratici impegnati nella difesa di seggi in stati vinti da Trump nelle presidenziali del 2016 o, viceversa, per i repubblicani di stati dove aveva prevalso Hillary Clinton.

 

In ogni caso, per democratici e “liberal” la battaglia sulla nomina di Kavanaugh ha avuto a che fare esclusivamente con la denuncia di violenze sessuali vere o immaginate e con il diritto delle presunte vittime a essere credute anche in assenza di prove concrete a carico degli accusati. Il tentativo del Partito Democratico di far naufragare la candidatura alla Corte Suprema di Kavanaugh si è così concentrato su una campagna sostanzialmente anti-democratica che ha lasciato ai repubblicani il ruolo del tutto inappropriato di difensori del diritto.

 

L’impegno e la mobilitazione contro la scelta di Trump per la Corte Suprema avrebbero dovuto piuttosto svilupparsi in almeno altre due direzioni per mostrare l’effettiva illegittimità della nomina di Kavanaugh. La prima e più importante avrebbe implicato la denuncia delle tendenze reazionarie e irriducibilmente “pro-business” di questo giudice. Qualche senatore democratico aveva in realtà evidenziato alcune delle inclinazioni di Kavanaugh, ad esempio sull’aborto, ma ciò non si era mai trasformato in una campagna di opposizione massiccia alla sua nomina.

 

Le ragioni per evidenziare i precedenti anti-democratici della carriera legale e politica di Kavanaugh sarebbero state invece molteplici. Negli ultimi vent’anni, il neo-giudice della Corte Suprema ha sempre preso le difese dei grandi interessi economici e finanziari, ha legittimato l’espansione dei poteri dell’esecutivo e ha favorito il confondersi dei confini tra religione e stato laico.

 

Negli anni Novanta, Kavanaugh aveva fatto parte anche del team del procuratore speciale Kenneth Starr, le cui indagini avevano portato al procedimento di impeachment contro Bill Clinton per il caso Lewinski. Dopo le presidenziali del 2000, inoltre, era tra i legali di George W. Bush che presentarono ricorso alla Corte Suprema per bloccare il riconteggio delle schede in Florida e impedire di fatto la vittoria di Al Gore. Grazie allo stesso Bush, Kavanaugh avrebbe poi ottenuto un incarico al dipartimento di Giustizia, dove collaborò alla stesura dei pareri legali destinati a giustificare le torture commesse dalla CIA negli interrogatori di presunti terroristi in prigioni clandestine all’estero e nel lager di Guantanamo.

 

L’altro motivo che a tutti gli effetti avrebbe potuto delegittimare la nomina di Kavanaugh è la sua clamorosa performance nel corso della testimonianza al Senato seguita alle accuse di tentato stupro. Il giudice della Corte Suprema in pectore aveva in quell’occasione attaccato duramente i membri del Partito Democratico e denunciato una congiura della sinistra nei suoi confronti.

 

Kavanaugh aveva cioè violato la norma che impone ai giudici candidati alla Corte Suprema di mantenere almeno la forma dell’imparzialità, teoricamente imprescindibile per ottenere un incarico che dovrebbe essere al di sopra delle divisioni politiche. Con la sua condotta, al contrario, Kavanaugh ha apertamente e preventivamente affermato la sua faziosità e il suo essere uno strumento politico della destra repubblicana all’interno della Corte.

 

Il tribunale costituzionale americano avrà ora una solida maggioranza di cinque membri ultra-conservatori (Kavanaugh, John Roberts, Clarence Thomas, Samuel Alito e Neil Gorsuch), contro i quattro progressisti o, per meglio dire, moderati (Ruth Bader Ginsburg, Stephen Breyer, Sonya Sotomayor ed Elena Kagan). L’ingresso di Kavanaugh ha infatti cancellato la presenza, costante in epoca moderna, di almeno un giudice “centrista” le cui posizioni potevano propendere a seconda dei casi verso destra o verso sinistra.

 

Ciò farà in modo che la Corte Suprema sarà in maniera sempre più evidente uno degli strumenti per l’attuazione della contro-rivoluzione sociale e politica in atto, accelerata sensibilmente dopo la crisi finanziaria globale del 2008. Ben lontano dal rappresentare il garante dei principi costituzionali, infatti, questo tribunale contribuisce attivamente ormai da tempo alla costante erosione dei diritti democratici negli Stati Uniti d’America.

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