La corsa contro il tempo del Congresso americano, per approvare una legge di bilancio definitiva ed evitare un nuovo “shutdown” degli uffici federali, sembra avere favorito il raggiungimento di un accordo bipartisan su cui il presidente Trump potrebbe alla fine decidere di mettere la propria firma, anche se in maniera apparentemente riluttante. Trump si è infatti detto “scontento” dei termini dell’intesa, ma nelle pieghe del testo negoziato ci sono svariate concessioni tutt’altro che insignificanti fatte dai democratici ai repubblicani e alla Casa Bianca.

 

 

La Camera dei Rappresentanti, il Senato e il presidente dovranno ratificare il budget governativo dell’anno in corso entro la mezzanotte di venerdì, in modo da evitare la seconda chiusura parziale delle agenzie federali americane in poco meno di due mesi. Tre settimane fa si era concluso il più lungo “shutdown” della storia USA – durato 35 giorni – provocato dallo scontro tra Trump e i leader del Partito Democratico sull’opportunità di stanziare quasi sei miliardi di dollari per la costruzione di un muro anti-migranti al confine con il Messico.

 

A causa della rabbia crescente tra gli 800 mila dipendenti pubblici in riposo forzato e senza stipendio o costretti a lavorare gratis per oltre un mese, la Casa Bianca aveva acconsentito ad approvare uno stanziamento provvisorio di fondi per riaprire il governo, mentre una speciale commissione di deputati e senatori di entrambi i partiti si dedicava alle trattative per cercare un punto d’incontro e chiudere una crisi politica sempre più grave.

 

Dopo che i lavori della stessa commissione sembravano essere sul punto di fallire, a inizio settimana è iniziato a circolare un certo ottimismo a Washington. I dettagli di un probabile accordo sono così emersi, mentre il presidente Trump era impegnato in un comizio nella città di confine di El Paso, dove ha nuovamente agitato lo spettro di un’inesistente invasione degli Stati Uniti da parte di criminali e assassini provenienti dai paesi latinoamericani.

 

Alcuni esponenti del Partito Repubblicano al Congresso, incluso il leader di maggioranza al Senato, Mitch McConnell, hanno invitato Trump a firmare la legge di bilancio che sta per essere finalizzata. Le perplessità della Casa Bianca dipendono dal fatto che nell’accordo non sono inclusi i 5,7 miliardi di dollari voluti dallo stesso presidente per la costruzione del muro.

 

Ciò consente ai democratici di rivendicare una vittoria contro Trump, a cui avrebbero negato i fondi per un’opera ritenuta cruciale dalla Casa Bianca. Nella proposta di legge ci sono però quasi 1,4 miliardi destinati ai lavori per una struttura da posizionare lungo 90 chilometri di confine in Texas. Questo progetto prevede una barriera in acciaio simile a quelle già esistenti in varie zone di frontiera con il Messico e proibisce invece l’utilizzo dei modelli in cemento già commissionati e presentati pubblicamente dall’amministrazione Trump.

 

Democratici e repubblicani si stanno così confrontando sulle sfumature semantiche per definire la struttura che, in qualsiasi caso, ostacolerà ulteriormente l’ingresso di disperati negli USA. L’opposizione del Partito Democratico contro il muro di confine è d’altra parte più formale che sostanziale, visto che i suoi negoziatori hanno accettato anche lo stanziamento di altri 1,7 miliardi che andranno a finanziare le attività di repressione contro i migranti, come il reclutamento di nuovi agenti di frontiera e l’adozione di strumenti tecnologici per contrastare i flussi.

 

Soprattutto, poi, la presunta fermezza dei democratici nell’opporsi al muro di Trump rischia di risultare inutile alla luce delle recenti manovre della Casa Bianca. Il presidente e il suo staff starebbero infatti vagliando le voci del bilancio federale per dirottare fondi già stanziati per determinati progetti verso la costruzione del muro potenzialmente lungo tutta la linea del confine meridionale con il Messico.

 

Questa ipotesi l’aveva avanzata già nel fine settimana il capo di gabinetto di Trump, Mick Mulvaney, e lo stesso presidente l’ha confermata alla stampa martedì. Una decisione di questo genere permetterebbe alla Casa Bianca di evitare un’autorizzazione del Congresso, visto che il trasferimento di denaro avverrebbe tramite uno o più decreti presidenziali. Trump sarebbe giunto a valutare questa opzione dopo avere messo da parte un’altra ipotesi che era circolata nelle scorse settimane, quella cioè di dichiarare lo stato di emergenza al confine per via dei migranti, così da auto-assegnarsi un potere quasi assoluto, compreso appunto quello di scavalcare il Congresso e gestire a piacimento fondi già stanziati per altri scopi.

 

Essendo quest’ultima azione palesemente incostituzionale, essa era stata criticata anche da svariati leader repubblicani, se non altro perché innescherebbe complesse cause legali e fisserebbe un precedente utilizzabile in futuro anche da presidenti democratici. La nuova ipotesi appare invece meno controversa, visto che non implica nessuna dichiarazione di emergenza, ma appare a molti ugualmente di molto dubbia legalità.

 

L’altra questione più dibattuta e su cui i democratici hanno alla fine ceduto è quella del tetto massimo del numero di posti disponibili nelle strutture detentive dedicate ai migranti “irregolari” fermati dalle autorità di frontiera. I democratici avevano per alcuni giorni condotto una battaglia tardiva su questo punto, cercando di limitare le politiche repressive dell’amministrazione Trump dirette in particolare contro donne e minori che cercano di entrare negli Stati Uniti.

 

L’intenzione era quella di limitare il numero di posti a poco più di 16 mila, in modo da concentrare l’attenzione degli agenti di frontiera sui casi reali di criminalità. L’accordo stabilisce invece una quota di 40 mila che potrebbe salire facilmente a 49 mila o addirittura a quasi 59 mila grazie alla discrezione con cui il Dipartimento della Sicurezza Interna è in grado di gestire i fondi di cui è in possesso. Molti dei migranti in stato di fermo sono o saranno ospitati in strutture detentive gestite da società private a scopo di lucro.

 

Se l’accordo bipartisan sul bilancio andrà in porto o meno dipenderà dunque dalla decisione di Trump di firmarlo o respingerlo. L’ambiguità del presidente nell’accogliere la notizia dei progressi nei negoziati al Congresso rivela la cautela con cui deve manovrare, da un lato, tra le pressioni dei leader del partito che spingono per una risoluzione dello stallo politico e, dall’altro, le critiche dell’estrema destra repubblicana che vede ogni minimo arretramento sulla questione dell’immigrazione come un vero e proprio tradimento.

 

I margini di manovra della Casa Bianca potrebbero comunque essere ora più ampi grazie ai recenti segnali favorevoli provenienti dal fronte del cosiddetto “Russiagate”. Questa settimana sono arrivate infatti le prime anticipazioni circa i risultati dell’indagine della commissione Intelligence del Senato di Washington sulle presunte collusioni tra Trump e il governo di Mosca per favorire la sua elezione alla presidenza degli Stati Uniti nel 2016.

 

L’operato della commissione è considerato cruciale ai fini della vicenda del “Russiagate”, perché essa è l’unico organo politico che ha condotto un’indagine in maniera autenticamente bipartisan. Senatori di entrambi i partiti hanno in sostanza affermato che nulla sarebbe emerso sull’esistenza di una cospirazione tra la campagna elettorale di Trump e il Cremlino per manipolare il voto del 2016, nonostante un lavoro durato due anni e oltre duecento testimonianze ascoltate.

 

Se i leader democratici hanno espresso qualche cautela e assicurato di volere persistere nei procedimenti di indagine contro il presidente, in merito ad esempio alle sue dichiarazioni dei redditi mai rese pubbliche o ai pagamenti a favore di ex amanti per evitare scandali, queste linee di indagine non hanno nulla a che vedere con le collusioni russe.

 

L’ultimo fronte aperto in questo ambito rimarrebbe quello che vede protagonista il procuratore speciale, Robert Mueller, per conto del dipartimento di Giustizia. Anche l’ex direttore dell’FBI sembra però vicino a dichiarare concluse le proprie indagini e, a giudicare dalle informazioni fin qui trapelate, non dovrebbe prevedibilmente essere emersa nemmeno in questo caso alcuna prova concreta di accordi sospetti tra Donald Trump e il governo russo.

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