La “riforma” del fisco americano del presidente Trump e il persistere di una serie di scappatoie legali hanno fatto in modo che decine di grandi corporation siano riuscite a non versare nemmeno un dollaro di tasse federali in relazione ai loro redditi del 2018. Tra queste compagnie figurano una sessantina di quelle comprese nell’indice “500” di Fortune, ovvero quelle più importanti del paese, le quali in molti casi hanno anche incassato decine o centinaia di milioni di dollari in sgravi fiscali, godendo perciò di aliquote addirittura negative.

 

 

I dati sono il frutto di uno studio realizzato dall’Institute on Taxation and Economic Policy (ITEP) di Washington e pubblicato nei giorni scorsi alla vigilia della scadenza prevista negli USA per la presentazione della dichiarazione dei redditi 2018. I nomi delle corporation che hanno sottratto al fisco americano enormi profitti in maniera del tutto legale includono Amazon, Chevron, Delta Airlines, General Motors, Goodyear, Halliburton, IBM, Netflix e Whirlpool. Complessivamente, le 60 compagnie incluse nella lista “Fortune 500” hanno registrato nel 2018 un utile netto di quasi 80 miliardi di dollari per le sole operazioni sul mercato statunitense.

 

Quasi tutte hanno potuto reclamare il diritto a ricevere rimborsi fiscali, anche se, come ha spiegato lo studio dell’ITEP, in praticamente tutti i casi essi saranno utilizzati come crediti con l’erario americano per abbattere il carico fiscale dei prossimi anni. Scorrendo l’elenco delle compagnie prese in considerazione si resta sbalorditi nel leggere le cifre dei rimborsi, soprattutto considerando l’entità dei profitti dichiarati.

 

La holding dell’energia elettrica Duke Energy, ad esempio, ha incassato in rimborsi fiscali ben 647 milioni di dollari, che vanno ad aggiungersi a un utile per il 2018 di oltre tre miliardi. 346 milioni sono andati invece al gigante delle assicurazioni Prudential Financial, a fronte di 1,44 miliardi di profitti. Tra le corporation con il livello più alto di rimborsi spicca anche il produttore di macchine agricole Deere con 268 milioni (2,15 miliardi di utili).

 

Altri nomi più noti a livello internazionale si aggiungono all’elenco. Amazon, ad esempio, oltre a estrarre quasi 11 miliardi di profitti da una manodopera super-sfruttata, per il 2018 vanta un credito con il fisco USA pari a 129 milioni. IBM, come altre corporation, ha approfittato del trasferimento all’estero di gran parte dei suoi guadagni, così che gli utili provenienti dal mercato americano ammontano ufficialmente ad appena 500 milioni di dollari sui quasi 9 miliardi complessivi. Grazie a questo inganno, il colosso dell’informatica avrà un rimborso fiscale superiore ai 340 milioni, corrispondente perciò a un’aliquota negativa del 68% circa.

 

Clamoroso e decisamente emblematico del carattere predatorio di queste compagnie è infine il caso della holding dell’editoria Gannett. Questa azienda ha cioè un credito con il Tesoro USA superiore alla quota dei suoi profitti per il 2018 – rispettivamente 11 e 7 milioni di dollari – con un’aliquota di conseguenza negativa di oltre il 160%.

 

Questi numeri disegnano una realtà nella quale le grandi compagnie americane arricchiscono enormemente azionisti e top manager senza che venga loro richiesto letteralmente un solo dollaro di tasse. Non solo, questo processo di arricchimento si traduce in un aggiuntivo trasferimento di risorse da lavoratori e normali contribuenti, costretti in sostanza a pagare in forma diretta somme enormi ad aziende che fanno segnare profitti altrettanto ingenti.

 

Questa realtà non è evidentemente nuova né limitata agli Stati Uniti. Essa risulta però accentuata in modo consistente dal pacchetto di tagli alle tasse per gli americani più ricchi approvato dal Congresso USA a fine 2017 su iniziativa della Casa Bianca. In base a questa “riforma”, l’aliquota base teorica per le corporation, quando applicata, è scesa dal 35% al 21%. Questa riduzione non è stata poi accompagnata, come imponeva la logica, dall’abolizione dei meccanismi di evasione legalizzata per compensare il mancato gettito, ma essi sono rimasti intatti, generando così un doppio beneficio per le corporation americane.

 

Secondo una valutazione dello stesso Congresso di Washington, il solo abbassamento dell’aliquota per le grandi aziende, prevista dalla “riforma” fiscale di Trump, porterà nelle casse di queste ultime quasi 1.400 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. Per contro, lavoratori e classe media hanno visto spesso aumentare il loro carico fiscale, a causa principalmente della cancellazione o della riduzione di alcune detrazioni, a cominciare da quelle previste per gli interessi sui mutui.

 

Come dimostrano i dati sugli sgravi fiscali descritti in precedenza, le condizioni create dall’abbassamento dell’aliquota sulle corporation al 21% non esauriscono i benefici goduti da queste ultime. Lo studio dell’ITEP riassume la vera realtà per alcune di esse, ovvero le 60 grandi aziende incluse nell’indice stilato da Forbes. Con un’aliquota al 21%, queste compagnie avrebbero dovuto pagare in tasse federali nel 2018 una somma pari a 16,4 miliardi, mentre hanno invece ricevuto complessivamente 4,3 miliardi di rimborsi fiscali.

 

Questo dato determina una voragine nelle casse federali americane di 20,7 miliardi in riferimento al 2018, testimoniando tutta la portata distruttiva, anti-sociale e classista della “riforma” di Trump e, in generale, del costante abbattimento delle tasse per corporation e redditi più alti negli ultimi decenni.

 

Di fronte a numeri simili, è chiaro che solo l’esistenza di una classe politica e di una stampa ufficiale al servizio dei grandi interessi economici e finanziari può permette di far passare per acquisito il concetto della mancanza di risorse da destinare al rafforzamento della rete del welfare, all’educazione pubblica, al rinnovamento delle infrastrutture e ad altri bisogni.

 

I buchi di bilancio prodotti dal mancato pagamento delle tasse da parte delle corporation, così come dalle spese militari fuori controllo, alimentano piuttosto l’isteria bipartisan di quanti chiedono o minacciano sempre maggiori tagli ai programmi pubblici negli Stati Uniti. I dati diffusi in questi primi mesi del 2019 indicano infatti livelli record raggiunti dal deficit federale sia su base mensile che annuale. Nella prossima campagna elettorale, essi saranno con ogni probabilità al centro della retorica soprattutto repubblicana, come conferma la recente proposta di bilancio della Casa Bianca che include centinaia di miliardi di dollari di tagli indiscriminati alla spesa sociale americana.

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