Già invischiato nel pantano della Brexit, il governo conservatore britannico di Theresa May è precipitato in una nuova crisi nei giorni scorsi, culminata nel clamoroso licenziamento del ministro della Difesa, Gavin Williamson. L’allontanamento di quest’ultimo dal gabinetto è legato a una fuga di notizie dall’interno del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, relativamente a una questione tra le più calde sul fronte geopolitico internazionale, quella della collaborazione dei governi occidentali con il gigante cinese Huawei nel lancio della nuova rete 5G.

 

Williamson avrebbe rivelato al quotidiano filo-conservatore e pro-Brexit Daily Telegraph la decisione, presa settimana scorsa dallo stesso Consiglio, sul via libera condizionato alla partecipazione di Huawei alla costruzione delle infrastrutture necessarie all’implementazione del 5G. L’uscita della notizia aveva generato sgomento a Downing Street, principalmente perché arrivata nel pieno delle pressioni del governo americano per escludere Huawei dalla rete 5G del Regno Unito e degli altri principali alleati di Washington.

 

 

La vicenda ha innanzitutto evidenziato il carattere esplosivo della questione Huawei-5G, tale da richiedere una riunione segreta dell’organo esecutivo più importante del paese. Parallelamente, la volontà del governo May di tenere nascosta al pubblico la decisione appena presa e il provvedimento con pochi precedenti nei confronti del presunto responsabile della fuga di notizie sono anche il sintomo dell’estrema tensione esistente tra Londra e Washington.

 

La May intendeva mantenere il segreto sul via libera parziale a Huawei, in modo da prendere tempo fino a quando non sarebbero stati fissati in modo ufficiale alcuni paletti alla partecipazione della compagnia cinese alla gara per il 5G, così da evitare o quanto meno rimandare la più che probabile risposta indispettita dell’amministrazione Trump, se non addirittura possibili ritorsioni.

 

La cautela del governo conservatore era dovuta anche alla retorica sempre più minacciosa degli Stati Uniti. Nelle ultime settimane, da Washington erano giunti avvertimenti a non utilizzare la tecnologia di Huawei, perché ciò avrebbe potuto anche mettere in discussione la collaborazione all’interno della NATO. Ufficialmente, i timori di Washington sono da collegare a quella che sarebbe la natura stessa della corporation cinese, considerata uno strumento di Pechino per penetrare i sistemi di comunicazione e di sicurezza dei paesi occidentali.

 

Secondo quanto riportato dal Telegraph, il Consiglio per la Sicurezza Nazionale del governo conservatore avrebbe deciso di consentire a Huawei di fornire componenti “non cruciali” dell’infrastruttura 5G, in un chiaro tentativo di attenuare l’opposizione degli USA. Il fatto stesso che il Regno Unito, così come altri paesi alleati di Washington, abbia finito sostanzialmente per ignorare le minacce della Casa Bianca testimonia dell’importanza economica e strategica della rete 5G e, soprattutto, del contributo al suo sviluppo da parte della tecnologia Huawei.

 

La rivelazione del Telegraph ha comunque scatenato le prevedibili reazioni americane. Lunedì, un vice-assistente al segretario di Stato USA, Robert Strayer, ha definito “rischioso” senza eccezioni qualsiasi utilizzo della tecnologia Huawei nelle reti 5G. Se gli alleati degli Stati Uniti dovessero collaborare con la compagnia cinese in questo ambito, Washington si riserverebbe di “riconsiderare l’opportunità della condivisione di informazioni”. Questa affermazione va riferita al sistema di sorveglianza globale che riunisce i cosiddetti “5 Occhi”, basato sullo scambio reciproco di informazioni e di cui fanno parte USA, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda.

 

Le misure minacciate dall’amministrazione Trump hanno giustificato la tempestiva indagine interna sulla fuga di notizie al Telegraph, affidata al potente segretario del gabinetto britannico, Mark Sedwill. Quest’ultimo sembra avere avuto accesso anche ai dati telefonici e informatici dei membri del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e, alla fine, ha individuato il responsabile nel ministro della Difesa Williamson.

 

La rapidità dell’indagine e la decisione di liquidare la presunta fonte della rivelazione sono anche il segnale dello stato del governo May. Non è da escludere che il caos Brexit, le profonde divisioni nel Partito Conservatore e il conseguente insolito tasso di insubordinazione all’interno del gabinetto abbiano spinto il primo ministro a prendere una decisione drastica per mostrare il suo controllo sul governo, tanto più alla vigilia delle delicatissime elezioni locali di questa settimana. Williamson, inoltre, viene dato dalla stampa d’oltremanica come uno dei possibili aspiranti al posto della May, anche se della premier è stato fino a questa settimana un fedele alleato, o, per lo meno, egli intendeva promuoversi come ago della bilancia in una futura sfida per la leadership del partito.

 

Le implicazioni del caso Huawei sono comunque di portata più ampia e la sensibilità di esso è confermata dall’equilibrio emerso all’interno del Consiglio per la Sicurezza Nazionale sulla partecipazione della compagnia cinese alla rete 5G britannica. Per il Guardian, cinque membri del Consiglio erano a favore di Huawei e altrettanti contrari, così che la decisione finale è dipesa dalla posizione presa dal primo ministro May.

 

La spaccatura nel governo riflette le diverse posizioni sui rapporti che un Regno Unito fuori dall’Unione Europea dovrà intrattenere con la Cina. L’indagine sulla fuga di notizie si è infatti subito concentrata sui membri del Consiglio ritenuti su posizioni anti-cinesi. Oltre allo stesso Williamson, essi sarebbero la sua sostituta, l’ex ministro per lo Sviluppo Internazionale, Penny Mordaunt, quello degli Esteri, Jeremy Hunt, dell’Interno, Sajid Javid, e del Commercio, Liam Fox. Alcuni di essi sono visti come possibili sfidanti della May in una corsa alla leadership conservatrice e l’appena rimosso ministro della Difesa Williamson, nel negare fermamente le accuse nei suoi confronti, ha parlato di una “resa dei conti” tra lui e il segretario del gabinetto, Mark Sedwill.

 

Considerando anche che quella su Huawei sarebbe la prima fuga di notizie trapelata senza autorizzazione dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale, la vicenda costituisce un punto cruciale per la classe dirigente britannica. Essa si intreccia al complicatissimo processo in atto sulla Brexit e, in particolare, alle strategie commerciali e relative alla sicurezza che Londra intenderà adottare una volta tagliati i ponti con Bruxelles. Tutti questi aspetti acquistano ulteriore peso in un quadro internazionale segnato da una crescente instabilità, principalmente a causa delle rivalità nell’accaparramento di mercati e risorse, e dalle prime avvisaglie di pericolose guerre commerciali.

 

Da un lato, come spiegato in precedenza, negli scenari attuali la tecnologia Huawei risulta indispensabile per lo sviluppo del 5G nel Regno Unito. Dall’altro, questa necessità deve fare i conti con il carattere fondamentale che almeno una parte della classe politica britannica assegna all’alleanza con gli Stati Uniti, soprattutto se Londra vorrà mantenere un profilo da grande potenza una volta uscita dall’UE.

 

Non solo, dietro alla questione Huawei e al 5G c’è il futuro delle relazioni con la Cina e la partecipazione ai progetti di sviluppo economico, finanziario e infrastrutturale promossi da Pechino. Il Regno Unito è uno dei paesi occidentali che più ha mostrato interesse verso i piani cinesi, tanto che già nel 2015, malgrado l’opposizione americana, era diventato uno dei membri fondatori della Banca Asiatica per le Infrastrutture e gli Investimenti (AIIB), considerata l’alternativa alle istituzioni finanziarie internazionali di fatto controllate da Washington, come la Banca Mondiale.

 

Proprio nei giorni scorsi, inoltre, il governo May aveva inviato a Pechino il “Cancelliere dello Scacchiere”, Philip Hammond, per partecipare al secondo forum sulla “Nuova Via della Seta” cinese (“Belt and Road Initiative”), dove ha parlato in maniera decisamente entusiastica del potenziale dei rapporti tra i due paesi. L’ambiziosa iniziativa cinese e la partecipazione a essa di paesi alleati degli USA sono fortemente osteggiate dalla Casa Bianca e, come dimostra la polemica su Huawei, i diktat di Washington hanno tuttora un peso determinante sulle decisioni della classe politica britannica.

 

Questa realtà mette Londra di fronte a un grave dilemma, in parte alla base anche delle lacerazioni prodotte dalla Brexit. Il Regno Unito, da una parte, punta a rafforzare la sua alleanza storica con gli Stati Uniti per poter continuare a perseguire le ambizioni da potenza internazionale dopo avere allentato i legami con l’Europa. Questo obiettivo, tuttavia, contrasta con l’altro, ritenuto ugualmente determinante, di saltare sul carro cinese e sfruttarne gli effetti positivi.

 

Ciò comporterà inevitabili tensioni con Washington, nonché ulteriori preoccupazioni per la classe dirigente britannica, ben consapevole che qualsiasi arretramento sul fronte cinese andrà a beneficio di altri paesi, a cominciare da quelli europei, potenzialmente concorrenti e già in prima linea nel cercare di stabilire o consolidare i rispettivi rapporti economici e commerciali con Pechino.

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