Da qualche giorno, i governi di Giappone e Corea del Sud sono protagonisti di un aspro confronto che rischia di sfuggire di mano e di agitare ancora di più le acque in Asia nord-orientale. Le ragioni dello scontro affondano le radici nell’eredità tossica dell’occupazione nipponica della penisola di Corea durante la prima metà del secolo scorso, ma si intrecciano chiaramente anche alle frequenti dispute strategiche e commerciali tra le principali potenze del pianeta in un clima generale segnato da tensioni e rivalità crescenti.

 

Situazioni simili tra i due paesi si sono registrate spesso in passato, ma il quadro attuale sembra essere particolarmente grave, come ha confermato mercoledì il presidente sudcoreano, Moon Jae-in, definendo la diatriba con Tokyo una “emergenza senza precedenti” nella storia delle relazioni bilaterali.

 

 

Da mesi, il governo giapponese si aspetta un intervento da quello di Seoul per rimediare a una serie di sentenze di tribunali sudcoreani che hanno imposto ad alcune aziende giapponesi di risarcire cittadini della Corea del Sud perché sfruttati come manodopera forzata durante il periodo coloniale (1910-1945). La questione del lavoro forzato imposto dagli occupanti è evidentemente molto sentita in Corea, così come quella delle cosiddette “donne di conforto”, costrette a prostituirsi per i militari giapponesi. A questo proposito, numerose cause legali sono state avanzate a Seoul nel corso degli anni, ma il governo di Tokyo ritiene che la polemica più recente e quelle precedenti non abbiano ragione di essere, perché Giappone e Corea del Sud avrebbero risolto in modo definitivo la questione con l’accordo del 1965 che prevedeva risarcimenti per le vittime nel quadro del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

 

Con l’aumentare delle frustrazioni, il governo giapponese del primo ministro ultra-conservatore, Shinzo Abe, settimana scorsa ha adottato le prime misure ritorsive. Tre sostanze esportate dal Giappone alla Corea del Sud e utilizzate, tra l’altro, in telefoni cellulari, televisori e semiconduttori, sono state sottoposte a restrizioni, causando potenzialmente pesanti inconvenienti per i produttori di elettronica della penisola.

 

I provvedimenti di Tokyo non intendono bloccare le esportazioni, ma impongono alle compagnie produttrici di sottoporre una richiesta specifica alle autorità giapponesi per ogni singolo contratto stipulato con un cliente sudcoreano. Ciò potrebbe allungare i tempi delle esportazioni fino a 90 giorni, con possibili inconvenienti per la catena di approvvigionamento di colossi sudcoreani, come Samsung, ma anche di altri paesi, come Apple, che acquistano microchip o altri componenti da Seoul.

 

Lo stesso Abe ha spiegato che la vicenda dei risarcimenti per i lavori forzati è una delle ragioni dei provvedimenti commerciali presi dal suo governo. In questo ambito, secondo Tokyo la Corea del Sud non rispetterebbe i propri “impegni internazionali”. Inoltre, il Giappone ha accusato Seoul di non applicare i dovuti controlli alle proprie esportazioni. Quest’ultima denuncia si riferisce a presunte violazioni delle restrizioni applicate alle merci che possono entrare in Corea del Nord e, nello specifico, a materiali sensibili come il fluoruro di idrogeno, finito illegalmente a Pyongyang e teoricamente utilizzabile per la produzione di armi chimiche.

 

La controversia in atto ha scatenato reazioni insolitamente dure da entrambe le parti, con commenti stizziti e aperte minacce apparse in rapida successione sui media dei due paesi. Il ministro dell’Industria sudcoreano, Sung Yun-mo, in risposta alle accuse del Giappone ha invitato le autorità di questo paese a “smettere immediatamente di fare dichiarazioni senza fondamento”. Il presidente Moon, a sua volta, ha definito le restrizioni all’export nipponico di natura “politica” e studiate appositamente per colpire l’economia sudcoreana. Moon ha anche chiesto il “ritiro urgente” delle misure, per poi avvertire che i due paesi rischiano di ritrovarsi “in un vicolo senza uscita”.

 

Il governo sudcoreano ha anche prospettato un intervento come mediatore del principale alleato di entrambi i paesi, gli Stati Uniti, dal momento che le ritorsioni commerciali giapponesi minacciano di penalizzare alcune compagnie americane. Per Seoul, anzi le implicazioni potrebbero avere una dimensione internazionale e, forse per questa ragione, la Corea del Sud sta valutando di portare il caso all’attenzione dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO). La risposta di Tokyo è stata però secca, poiché questo organo non dovrebbe occuparsi di contese riguardanti i controlli alle esportazioni, bensì soltanto la libera circolazione delle merci.

 

Proprio gli Stati Uniti stanno osservando con una certa apprensione lo scontro tra Giappone e Corea del Sud. Il ministro degli Esteri sudcoreano, Kang Kyung-wha, mercoledì ha sentito telefonicamente il segretario di Stato USA, Mike Pompeo, al quale ha ricordato come la disputa in corso rischia di avere effetti indesiderati sulla “cooperazione trilaterale” in Asia orientale, che include appunto i tre paesi alleati, di fronte alle sfide poste da Cina e Corea del Nord.

 

Per il momento il dipartimento di Stato americano ha manifestato solo generiche preoccupazioni per l’escalation del confronto tra Seoul e Tokyo. A pesare sull’atteggiamento apparentemente distaccato di Washington contribuisce forse la nomina solo recente dell’assistente al segretario di Stato per l’Asia Orientale e il Pacifico, David Stilwell. Quest’ultimo sarà però protagonista di una trasferta nella regione fino al 21 luglio e senza alcun dubbio affronterà la questione sia con il governo giapponese sia con quello sudcoreano.

 

La posizione americana appare comunque delicata. In primo luogo, un atteggiamento di cautela è di rigore per evitare l’impressione di voler prendere le parti di uno dei due alleati. Soprattutto, poi, i metodi ritorsivi a cui sta ricorrendo il Giappone e a cui Seoul minaccia di rispondere a breve sono esattamente gli stessi che l’amministrazione Trump utilizza da due anni e mezzo per intimidire alleati e rivali nel tentativo di avanzare i propri interessi. Tra i destinatari di queste iniziative ci sono oltretutto il Giappone e la Corea del Sud.

 

Più in generale, le nuove tensioni che si stanno innestando su attriti storici in Asia nord-orientale sono il riflesso degli sconvolgimenti prodotti dalle politiche nazionaliste perseguite dalla Casa Bianca. La promozione di interessi economici, commerciali e strategici esclusivi da parte americana in un quadro di crisi dell’ordine capitalistico internazionale ha in qualche modo incoraggiato a livello globale le ambizioni di grandi e medie potenze, col risultato di fare riesplodere tensioni latenti.

 

A questa pericolosa corsa partecipano da tempo anche la Corea del Sud e, soprattutto, il Giappone di Abe, impegnato fin dal suo ritorno al governo nel 2012 a dare impulso alle ritrovate tendenze imperialistiche della classe dirigente del suo paese. Le probabilità che Tokyo faccia marcia indietro nella disputa con Seoul sono poi limitate anche dal fatto che il Giappone andrà alle urne il prossimo 21 luglio per il rinnovo del Senato e Abe intende vincere facendo leva sui sentimenti nazionalisti. Al governo serve una netta vittoria che assicuri i numeri necessari a mandare in porto una riforma che metta sostanzialmente fine al carattere pacifista della Costituzione giapponese.

 

Le ansie americane per quanto sta accadendo tra Giappone e Corea del Sud sono principalmente da collegare al pericolo che lo scontro tra i due alleati possa rompere il fronte anti-cinese utile a Washington per fare pressioni e contenere la crescita di Pechino. I timori sono amplificati anche dalla concomitanza delle trattative per raggiungere un accordo commerciale con la Cina, riesumate proprio in questi giorni dopo il faccia a faccia tra Trump e Xi Jinping al recente G20 di Osaka. Negli ultimi anni, Pechino ha consolidato la partnership economica e commerciale con la Corea del Sud, mentre anche col Giappone i rapporti appaiono più distesi dopo le scintille degli anni scorsi.

 

Gli scricchiolii della strategia nippo-coreana degli USA si sentono d’altra parte da tempo, tanto che già l’amministrazione Obama aveva faticato non poco a ottenere la ratifica di un trattato tra Seoul e Tokyo per la condivisione di informazioni di intelligence, ideato sempre in funzione anti-cinese. L’accordo bilaterale era stato siglato solo sul finire del 2016 ma, ancora nei mesi successivi, erano emerse le resistenze di entrambi i governi a implementarne le condizioni.

 

Come ha avvertito il presidente sudcoreano Moon, il confronto con Tokyo potrebbe essere di lunga durata e il suo governo ha infatti già annunciato stanziamenti di fondi per assistere le aziende colpite dalle restrizioni all’export giapponese. I rappresentanti dei due governi si incontreranno comunque nella giornata di venerdì per un primo round di colloqui. Le premesse non sembrano però incoraggianti, visto che Tokyo ha già tenuto a precisare che le discussioni consisteranno in una semplice spiegazione delle misure adottate dal Giappone alla propria controparte sudcoreana.

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