Il presidente turco Erdogan ha annunciato l’inizio del dispiegamento di truppe del proprio paese in Libia a sostegno del Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Tripoli riconosciuto dalle Nazioni Unite. La decisione, com’è noto, arriva in seguito alla stipula di un’intesa tra lo stesso Erdogan e il primo ministro libico, Fayez al-Sarraj, e rischia di infiammare ancora di più un quadro diplomatico e militare già caldissimo in cui si confrontano le principali potenze regionali e non solo.

Gli scenari che si stanno delineando nel paese nord-africano evidenziano il chiaro fallimento degli sforzi diplomatici, in particolare dell’Unione Europea, e il rapido precipitare della situazione verso un conflitto di vasta portata. L’intervento della Turchia ha a sua volta avuto un’accelerazione in parallelo al rilancio dell’offensiva contro Tripoli delle forze del cosiddetto Esercito Nazionale Libico (LNA), guidato dal generale Khalifa Haftar.

 

Il 12 dicembre scorso, Haftar aveva annunciato la “battaglia decisiva” per la sorte della Libia, provocando la risposta del governo di Ankara e il già citato accordo tra Erdogan e il GNA di Tripoli. Ad alimentare le tensioni è stato poi il bombardamento attribuito all’LNA nella giornata di sabato di un’accademia militare alla periferia meridionale della capitale che ha provocato la morte di una trentina di persone. Lunedì, le forze di Haftar hanno anche assunto il controllo della città costiera di Sirte, strappandola al GNA che l’aveva a sua volta sottratta ai militanti dello Stato Islamico (ISIS) nel 2016.

Il movimento verso Tripoli di Haftar e dei suoi uomini è visto da molti nella comunità internazionale come l’unico sbocco alla crisi libica che possa riportare un minimo di stabilità in un paese cruciale dal punto di vista strategico ed energetico. Dietro all’ex generale di Gheddafi, nonché ex “asset” della CIA, ci sono paesi come Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma anche Russia e Francia.

La ragione immediata dell’appoggio di svariati regimi arabi a Haftar è rappresentata dall’obiettivo di impedire a un governo, come quello di Sarraj, tenuto in piedi da formazioni islamiste in parte riconducibili ai Fratelli Musulmani, di estendere il proprio controllo su tutto il territorio libico. Sui motivi della presa di posizione di Russia e Francia pesano invece soprattutto questioni legate all’influenza e al controllo delle risorse energetiche del paese, in particolare nell’ambito della rivalità con alcuni dei governi-sponsor di Sarraj, a cominciare dall’Italia.

La posizione della Turchia si inserisce ugualmente in questo contesto. La sponda opposta del teatro libico include infatti i più accesi oppositori di Ankara, così come del Qatar, e della galassia della Fratellanza Musulmana. Ciò non esaurisce tuttavia le necessità strategiche di Erdogan nel sostegno a Tripoli. In gioco, per la Turchia, c’è anche e soprattutto la partita energetica nel mar Mediterraneo orientale dalla quale, con Haftar eventualmente al potere in una Libia unificata, rischierebbe di rimanere esclusa.

Uno dei capitoli più significativi dell’accordo tra Ankara e Tripoli, oltre alle questioni militari, prevede appunto la creazione di una “zona economica esclusiva” che va dalla costa meridionale turca sul Mediterraneo a quella settentrionale della Libia, all’interno della quale i due paesi si auto-garantirebbero i diritti di esplorazione dei giacimenti di gas naturale in essa presenti, nonché la possibilità di costruire eventuali gasdotti.

Questa iniziativa aveva scosso pesantemente la regione, già in subbuglio per l’intreccio di nuovi interessi energetici e questioni territoriali esplosive come quella di Cipro. Il governo greco, dopo l’intesa Ankara-Tripoli, aveva ad esempio espulso l’ambasciatore libico e presentato un esposto alle Nazioni Unite, mentre a inizio anno la stessa Grecia, assieme a Israele e al governo di Cipro riconosciuto internazionalmente, ha promosso la stipula di un accordo per la costruzione di un gasdotto alternativo diretto verso l’Europa occidentale.

Simili dinamiche confermano come la Libia sia un terreno di scontro tra paesi alleati, primi fra tutti quelli appartenenti alla NATO. La situazione è ovviamente conseguenza della finta rivoluzione contro Gheddafi orchestrata nel 2011 da Parigi, Londra e Washington, seguita dalla dissoluzione delle strutture statali del paese più avanzato dell’intero continente africano. Il relativo disimpegno degli Stati Uniti, forzato dagli eventi che portarono all’assalto al consolato americano di Bengasi nel 2012 e all’uccisione dell’allora ambasciatore Christopher Stevens, ha inoltre favorito la disintegrazione della società libica e le forze centrifughe oggi all’opera.

Il ruolo della Turchia, ancora una volta, inserisce un ulteriore elemento destabilizzante poiché determina un ribaltamento degli equilibri consolidati da qualche tempo in Medio Oriente e, per la precisione, in Siria, dove un barlume di speranza per una risoluzione del conflitto si è intravisto grazie alla collaborazione tra Ankara e Mosca. Proprio la presunta presenza di “mercenari” russi al fianco delle forze di Haftar o, comunque, l’appoggio a quest’ultimo del Cremlino è stato determinante nell’ingresso di Erdogan in Libia.

I riflessi di questo divergere di interessi libici tra Erdogan e Putin saranno tutti da verificare, anche se, con l’arrivo delle prime truppe turche a Tripoli, appare concreto il rischio di uno scontro diretto tra Russia e Turchia. Ciò che sembra inequivocabile, come si accennava all’inizio, è piuttosto la marginalizzazione della diplomazia e degli stessi governi europei.

A questo proposito, lunedì il ministero degli Esteri del governo Sarraj ha deciso il rinvio della missione europea in Libia, in programma per il giorno successivo e a cui avrebbero dovuto partecipare il nuovo responsabile della politica estera UE, Josep Borrell, e i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Gran Bretagna e Italia. Sul tavolo, oltre alle questioni più urgenti emerse dagli sviluppi sul campo, avrebbero dovuto esserci anche le prospettive della conferenza di pace per la Libia da tenersi a Berlino, al momento però sempre più improbabile.

A livello formale, il rinvio della visita a Tripoli è stato spiegato con il sovrapporsi di situazioni di crisi nell’area Medio Oriente-Africa settentrionale, ma, “più probabilmente”, come ha spiegato il sito Analisi Difesa citando “fonti libiche solitamente ben informate”, perché “nessuno in Libia ha più interesse a dialogare con gli europei, la cui missione peraltro non aveva proposte concrete da avanzare”.

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