Le proteste contro la brutalità della polizia negli Stati Uniti hanno preso nuovo vigore nel fine settimana in conseguenza di un altro assassinio di un americano di colore, accaduto questa volta ad Atlanta, in Georgia. Nel contempo, le dimostrazioni stanno stimolando un acceso dibattito nel paese e dando vita a svariate proposte di riforma delle forze di sicurezza. La mobilitazione popolare senza precedenti negli ultimi decenni continua tuttavia a non avere un chiaro obiettivo politico e rischia di svanire, se non sotto i colpi della repressione auspicata dall’amministrazione Trump, nelle paludi della “battaglia” esclusivamente razziale promossa dagli ambienti più o meno legati al Partito Democratico.

Già le manifestazioni che si erano allargate a macchia d’olio dopo l’uccisione di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio scorso avevano messo all’ordine del giorno la necessità di intervenire a livello federale e locale per limitare le violenze delle forze di polizia. Al Congresso di Washington, la maggioranza democratica nella Camera dei Rappresentanti aveva presentato un disegno di legge che, sia pure tutt’altro che radicale e con poche possibilità di essere appoggiato dai repubblicani, rappresenta un segnale di risposta della classe politica USA alle richieste provenienti dai dimostranti.

Negli ultimi giorni si sono mossi in maniera più incisiva anche sindaci, consigli comunali e governatori con azioni legislative che potrebbero ricevere un impulso dai fatti di Atlanta di venerdì scorso. In California, ad esempio, sono state proibite dal governatore democratico Gavin Newsom le manovre più estreme a cui ricorrono spesso gli agenti di polizia per immobilizzare i sospettati e che rischiano di provocare il soffocamento.

Nello stato di New York, invece, il governatore Andrew Cuomo, anch’egli democratico, ha firmato una nuova legge che proibisce questo stesso strumento a disposizione delle forze dell’ordine, mentre diventerà meno complicata la pubblicazione dei precedenti disciplinari degli agenti di polizia. A Washington, infine, il consiglio comunale ha approvato una misura per ora provvisoria che limita le protezioni di cui godono i poliziotti coinvolti in procedimenti penali.

La misura più significativa è stata registrata a Minneapolis, dove venerdì il consiglio comunale ha votato all’unanimità una risoluzione che promuove la stesura di un piano per individuare un nuovo sistema di gestione della sicurezza dopo che alcuni giorni prima era stato sciolto clamorosamente il dipartimento di Polizia della città. I membri del consiglio della metropoli del Minnesota e lo stesso sindaco democratico, Jacob Frey, hanno insistito prevedibilmente sul fattore “razziale” nel denunciare il sistema da riformare e nel prospettare quello che dovrebbe nascere.

I due argomenti preferiti che sarebbero emersi dalle proteste di queste settimane sono in effetti lo smembramento delle forze di polizia, per essere sostituite da progetti partecipativi delle varie comunità locali dai contorni non del tutto chiari, e la riduzione dei fondi destinati alla polizia così da mettere a disposizione maggiori risorse per programmi sociali. Se la prima ipotesi ha trovato pochi sostenitori negli ambienti ufficiali, ad eccezione della città di Minneapolis, la seconda risulta decisamente popolare anche tra molti politici, soprattutto democratici.

Ciò che sembra fare la differenza tra gli eventi attuali e quelli molto simili, anche se di portata minore, degli anni scorsi scaturiti da episodi di violenza delle forze di polizia è appunto il sostegno garantito alle proteste dal Partito Democratico americano, così come, entro certi limiti, da alcune grandi banche e corporations. I vertici militari, inoltre, hanno espresso più volte la loro opposizione a un intervento dell’esercito per reprimere le proteste, contraddicendo apertamente le indicazioni della Casa Bianca.

Gli stessi orientamenti sono in parte visibili a proposito della “comune” auto-gestita creata in alcuni quartieri della città di Seattle, nello stato di Washington. Il presidente Trump ha scritto un tweet minaccioso nei giorni scorsi intimando alle autorità locali di mettere fine all’esperimento, ma fino ad ora sembra esserci poco interesse a intervenire, sia da parte del sindaco sia del governatore, entrambi democratici. Questa sorta di protezione per il momento garantita agli attivisti della cosiddetta Capitol Hill Autonomous Zone (CHAZ) è dovuta in larga misura al fatto che a svolgere un ruolo di spicco in essa è il gruppo Black Lives Matter (BLM), protagonista assoluto, almeno per i media ufficiali, delle manifestazioni in atto.

Quest’ultimo fattore offre lo spunto per qualche considerazione interessante sugli attuali scenari americani. L’aspetto più importante e, probabilmente, meno confortante è che determinate forze legate al “sistema” stanno cercando di incanalare le dimostrazioni contro la brutalità della Polizia USA verso un epilogo inoffensivo, principalmente attraverso iniziative di legge o proposte di “riforma” in larga misura di facciata.

Simili sforzi sono da ricondurre al Partito Democratico e a organizzazioni della società civile che a esso fanno riferimento, come la stessa Black Lives Matter. In questo senso, il tentativo di cavalcare le proteste serve anche a proseguire la lotta contro l’amministrazione Trump, dopo i fallimenti del “Russiagate” e del procedimento di impeachment, in modo da trasformare la mobilitazione in corso in uno strumento elettorale per portare Joe Biden alla Casa Bianca.

La genuinità degli scrupoli del Partito Democratico per la battaglia contro i metodi violenti della polizia è facilmente immaginabile se si pensa che, durante i due mandati di Obama alla Casa Bianca e con una maggioranza democratica al Congresso, le forze dell’ordine negli Stati Uniti hanno ucciso in media più di mille persone ogni anno. Allo stesso tempo, l’ultima amministrazione democratica guidata da un presidente di colore aveva rafforzato i programmi che prevedono il trasferimento di equipaggiamenti militari ai dipartimenti di polizia americani e quasi sempre preso le parti degli agenti accusati di omicidi e violenze nelle rare occasioni in cui questi ultimi erano oggetto di incriminazioni.

Questa realtà è confermata dal fatto che Black Lives Matter è un prodotto dell’establishment liberal e attinge da contributi non esattamente disinteressati di entità riconducibili a Wall Street o ad altri grandi interessi economici legati al sistema di potere, come la Ford Foundation. L’obiettivo è quello di evitare una mobilitazione unitaria contro il sistema e le forze di Polizia come strumento della classe che detiene il potere negli Stati Uniti. Analizzando i dati, d’altra parte, emerge come gli afro-americani siano proporzionalmente la minoranza che registra il maggior numero di morti per mano della polizia, ma in senso assoluto sono i bianchi le vittime più numerose. Anche alle manifestazioni, secondo alcune indagini, sarebbero sempre i bianchi a partecipare in numero più consistente.

A far parte e a trovare interesse nelle manifestazioni allargatesi in fretta in queste settimane sono quindi, come minimo, centinaia di migliaia di americani delle classi più oppresse e senza distinzione di razza, finalmente in grado di intravedere un’alternativa al vicolo cieco di una politica bloccata e dai caratteri oligarchici.

La vera sfida non sembra essere perciò tanto o non solo tra i dimostranti e le autorità, quanto tra la massa scesa nelle strade di centinaia di città americane, che nutre speranze di cambiamento soprattutto in ambito economico e sociale, e quei gruppi organizzati che perseguono un disegno politico limitatissimo e riconducibile ai soli termini razziali del problema.

Gli eventi di questi giorni segnano in ogni caso una salutare inversione di tendenza rispetto alla deriva reazionaria che ha segnato il clima politico americano degli ultimi decenni. Il predominio di ambienti che rappresentano solo un’altra faccia della classe dirigente rischia tuttavia di neutralizzare il potenziale rivoluzionario o, per lo meno, le speranze di cambiamento in senso progressista e di favorire un colpo di mano delle forze di estrema destra, fomentate ogni singolo giorno dal presidente Trump e dalla sua amministrazione.

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