La tregua che dura da quasi trent’anni tra il governo marocchino e il movimento per l’indipendenza del territorio del Sahara Occidentale è da qualche giorno sul punto di crollare dopo una serie di scontri che hanno fatto scattare l’intervento delle forze armate di Rabat. Sulle ragioni del possibile riesplodere del conflitto non c’è molta chiarezza, visto anche che il Marocco limita fortemente l’accesso della stampa indipendente nella regione. Alla base del conflitto restano comunque tensioni e frustrazioni accumulate da tempo, soprattutto per via di un referendum sull’indipendenza promesso e mai organizzato, intrecciatesi di recente al deteriorarsi della situazione economica e alle spinte destabilizzanti che attraversano la regione nord-africana e sub-sahariana.

 

Fonti interne all’autoproclamata Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi hanno spiegato che venerdì scorso nella parte del territorio conteso controllata dal Marocco erano iniziate proteste a favore dell’indipendenza e a sostegno dei combattenti del Fronte Polisario. Una di queste manifestazioni sarebbe stata affrontata duramente dai militari marocchini, entrati nell’area cuscinetto, protetta da una missione delle Nazioni Unite (MINURSO), per liberare un’importante via di comunicazione con la Mauritania nei pressi della città di Guerguerat.

La decisione di Rabat ha violato di fatto i termini del cessate il fuoco, stipulato grazie alla mediazione ONU nel 1991 e che aveva messo fine a un conflitto trascinatosi fin dall’annessione del Sahara Occidentale da parte del Marocco nel 1975. Per tutta risposta, il Polisario avrebbe attaccato le posizioni marocchine e bombardato un muro di sabbia costruito dai militari per separare i due territori, quello occupato dalle forze di Rabat e quello sotto il controllo degli indipendentisti Sahrawi.

Le due parti si sono scambiate accuse reciproche per la violazione della tregua. Il governo marocchino ha però dichiarato sostanzialmente concluse le proprie operazioni nell’area con il prolungamento del muro difensivo che dovrebbe difendere le vie di collegamento con la Mauritania. Il primo ministro, Saad Eddine El Otmani, ha aggiunto che il Marocco continuerà perciò a rispettare i termini del cessate il fuoco del 1991, come avrebbe assicurato il sovrano, Mohammed VI, al segretario generale ONU, Antonio Guterres, in un colloquio telefonico avvenuto lunedì.

Al contrario, i vertici del Polisario, appoggiati dalla vicina Algeria, hanno dichiarato rotta la tregua, proclamato lo “stato di guerra” e annunciato la mobilitazione di migliaia di volontari pronti a combattere. L’inviato dell’organizzazione presso l’Unione Europea ha affermato in un’intervista all’agenzia di stampa Bloomberg che “non esiste alternativa percorribile a un ritorno alle ostilità” e che “il cessate il fuoco è terminato una volta per tutte”. Il parlamento di Algeri ha a sua volta approvato una risoluzione che condanna l’intervento marocchino e sollecita ancora una volta le Nazioni Unite a organizzare il referendum per l’indipendenza previsto dalla tregua vecchia di tre decenni.

Quello del Sahara Occidentale è uno dei conflitti “congelati” meno noti all’opinione pubblica internazionale e risale al ritiro della Spagna da questo territorio nel 1975. In un accordo stipulato a Madrid in quell’anno, a cui non presero parte i rappresentanti Sahrawi, venne dato il via libera all’annessione marocchina della regione in gran parte desertica. Contro la nuova potenza coloniale sarebbe scoppiata subito la guerriglia condotta dal Fronte Polisario, fondato nel 1973 per combattere contro la Spagna e sostenuto da Algeria e Libia.

Come già ricordato, nel 1991 fu trovata un’intesa per fermare le ostilità in previsione appunto di un referendum popolare sullo status del Sahara Occidentale. Oggi, il Marocco continua però a controllare militarmente circa l’80% del territorio e si oppone fermamente a qualsiasi soluzione che includa anche solo l’ipotesi indipendentista. Rabat ha potuto addormentare il conflitto e perpetuare lo status quo grazie all’appoggio di potenze come Stati Uniti, Francia e Spagna, ma anche dei regimi arabi mediorientali e della Turchia.

Questa regione riveste d’altra parte un grande interesse per il Marocco che può beneficiare delle sue ingenti risorse del sottosuolo e dei diritti di pesca nelle proprie acque. La vicenda del Sahara Occidentale rappresenta inoltre un fattore importante per la stabilità della monarchia marocchina, la quale utilizza la questione anche come un’arma di propaganda utile a dirottare altrove le tensioni sociali provocate dai problemi interni.

È perciò difficile che Rabat faccia concessioni al movimento indipendentista in assenza di pressioni esterne, soprattutto alla luce dei legami tra il Polisario e un paese rivale come l’Algeria. Infatti, la dichiarazione emessa dal palazzo reale dopo il colloquio tra il sovrano e il segretario generale ONU ha ribadito che gli “sforzi per raggiungere una soluzione realistica” della crisi dovranno comunque contemplare la permanenza del Sahara Occidentale sotto la sovranità del Marocco.

La situazione di quest’area dell’Africa nord-occidentale resta in ogni caso molto precaria anche a causa del continuo esplodere di fronti di crisi nelle aree limitrofe, dal Mali all’Algeria, fino alla Libia e, recentemente, all’Etiopia. La stessa retorica agguerrita del Polisario e l’apparente determinazione a riprendere le armi contro il Marocco sono poi il riflesso del deteriorarsi delle condizioni del popolo Sahrawi, peraltro condivise da quello marocchino e algerino, entrambi protagonisti negli ultimi mesi di mobilitazioni e iniziative di protesta contro i rispettivi governi, sia pure con diversi gradi di intensità ed efficacia.

Già di per sé, la situazione di buona parte dei Sahrawi appare estremamente precaria, soprattutto per le decine di migliaia di rifugiati che continuano a vivere in cinque campi profughi nel deserto algerino. Organi di stampa regionali svariati mesi fa avevano raccontato di come i leader del Polisario fossero sempre più sotto pressione per far fronte alla disperazione della popolazione Sahrawi, tanto più con il relativo venir meno dell’assistenza dell’Algeria, la cui classe dirigente è da un paio d’anni alle prese con il tentativo di contenere una rivolta popolare senza precedenti.

Queste dinamiche contribuiscono probabilmente a spiegare l’atteggiamento del Polisario, i cui leader, come hanno confermato alla stampa alcuni di essi che vivono in esilio in Europa, stanno preparando da qualche tempo una possibile ripresa del conflitto con il Marocco. Se è evidente che le responsabilità dello stallo e delle frustrazioni dei Sahrawi sono principalmente da attribuire alle forze occupanti e ai loro sponsor internazionali, così come all’impotenza dell’ONU, i segnali di avvertimento inviati anche ai leader del Sahara Occidentale possono avere così spinto il Fronte Polisario a rilanciare la campagna militare sfruttando uno scontro con i militari marocchini, in modo da compattare nuovamente la propria comunità attorno al miraggio del progetto indipendentista.

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