Il 25 maggio 2020 George Floyd andò a comprare le sigarette all'angolo di Chicago Avenue, nel centro di Minneapolis. Era la festa del Memorial  Day è c'era moltissima gente in giro. Floyd rimase qualche minuto nel locale dove aveva preso le sigarette, incerto se chiedere al personale di dare un'occhiata al suo cellulare poi decise di rinunciare. Alla cassa c'era un ragazzo di una ventina d'anni che aveva preso i soldi di Floyd senza battere ciglio, salvo poi rincorrere il suo cliente chiedendogli indietro le sigarette accusandolo di avergli rifilato un biglietto da venti dollari falso.

 

Floyd era quasi arrivato alla sua macchina e non aveva nessuna intenzione di cedere anche perché c'era stato abbastanza tempo per verificare la banconota. Il ragazzo insisteva forse per paura di rimetterci di tasca sua e si era rivolto al 911 chiedendo l'intervento della polizia perché un uomo “palesemente ubriaco” stava “spacciando denaro falso” al Cup Foods, Bisognava fare “qualcosa” subito prima che il “falsario” avesse il tempo di fuggire. George Floyd capitava spesso al Cup Foods e non aveva mai avuto problemi con il personale.

Era venuto a Minneapolis dal Texas per cominciare una nuova vita dopo aver scontato un anno per aver ceduto meno di un grammo di cocaina ad un conoscente. Aveva lasciato con rammarico la Terza Guardia, il quartiere di Houston dove era cresciuto e che amava, per via della persecuzione della polizia che lo fermava con qualunque pretesto da quando era stato scarcerato. Da giovane George era una star del football e si stava facendo un nome sulla scena hip hop collaborando con vari artisti ed aveva riceuto elogi persino dai critici del New York Times.

Grazie al fisico imponente, a una voce intensa e a un modo tutto suo di tenere il tempo, era stato notato da giornalisti e musicali. Lo avevano ammesso alla Texas A\M University dove aveva giocato a Baseball per due fantastiche stagioni. Ma gli anni erano passati, dopo un matrimonio andato male e un divorzio, aveva trovato una nuova compagna ed erano nati due figli e provvedere a tutti era difficile. Floyd non riusciva a far quadrare i conti. Odiava il carcere e non voleva tornarci per nessun motivo.

L'amico Christopher Perry gli aveva offerto un lavoro e un alloggio oer qualche tempo a Minneapolis. Quando era arrivato nel Minnesota Floyd aveva preso la patente per mezzi pesanti e lavorava saltuariamente nei ristoranti. Tutti apprezzavano la sua gentilezza e la sua disponibilità a dare una mano a chiunque ne avesse bisogno. Le cose erano andate bene fino all'arrivo della terribile pandemia. Ma Floyd aveva fiducia: appena passata l'emergenza avrebbe trovato un lavoro e nel frattempo avrebbe tirato avanti con il sussidio di disoccupazione.

A Minneapolis invece di trovare una nuova vita George Floyd aveva trovato la morte. All'arrivo della polizia Derek Chauvin, un agente che aveva alle spalle 17 richiami per l'uso eccessivo della forza eccessivo di  forza, gli aveva messo al collo un chocker che gli stringeva la gola. Benché fosse disarmato Floyd era stato buttato a terra con la faccia sull'asfalto. Chauvin certo non s'aspettava che il video che lo immortalava con il ginocchio schiacciato sulla gola di Floyd per impedirgli di respirare avrebbe fatto il giro del mondo. Centinaia di persone avevano assistito alla scena. Andrew Baker, il medico legale chiamato ad effettuare gli esami autoptici aveva certificato che si era triatato di un omicidio. George Floyd aveva cercato disperatamente di respirare.

“I can't breah, I can't breath” lo avevano sentito implorare tutti quelli che stavano assistendo alla scena. L'agonia era  durata 9 interminabili minuti e 46 secondi. Il ginocchio di Chauvin era ancora premuto sulla gola della vittima all'arrivo dell'ambulanza. La morte di Floyd “tecnicamente” avvenne in ospedale e appena diffusa la notizia l'America era precipitata nella peggior crisi di nervi dal 1989.

Oggi Minneapolis ha un tasso di criminalità del 92% in più rispetto allo scorso anno. In base al sistema noto come ShotShutter in città si sono verificate 1400 sparatorie. E la strage continua tanto che Minneapolis è stata ribattezzata Murderpolis, la città degli assassini. Nella zona di St, Paul, che rappresenta il fulcro centrale, sono stati registrati 34 omicidi dall'inizio dell'anno. Si uccide una persona qualsiasi magari per derubarla o prendergli la macchina. Trovare un testimone di un evento tragico è la cosa più difficile del mondo. Qualunque giorno è buono per ritrovarsi nel Far West.

Mancano una manciata di giorni al primo anniversario della morte di Floyd, avvenuta davanti ad una folla enorme. La polizia ha ucciso altri soggetti disarmati dopo Floyd. Minneapolis è piena di altarini che ricordano persone uccise. Jamal Samar e James Wase sono stati ammazzati da sconosciuti ad otto giorni di distanza l'uno dall'altro.

Nessuno ha visto e se avesse visto non direbbe nulla alla polizia per paura di ritorsioni. Quattordici agenti si sono dimessi dopo la morte di un ragazzo colpito dal taser in dotazione alle forze dell'ordine. Altri si ripropongono di fare lo stesso.

C'era comunque un'attesa spasmodica per l'inizio del processo contro Derek Chauvin, il poliziotto accusato di aver ucciso George Floyd. Si calcola che almeno 23 milioni di persone abbiano seguito le fasi del dibattimento iniziato l'8 marzo. La prima battuta d'arresto c'era stata già il primo giorno. Si dovevano ancora perfezionare i capi d'accusa.

Il 9 marzo finalmente i procuratori avevano deciso di incriminare Chauvin per omicidio involontario di secondo grado con due aggravanti di terzo grado. La giuria era stata selezionata pochi giorni prima. I testimoni per l'accusa erano stati convocati a dicembre.

Le precedenti violazioni a carico di Chavin non sono state discusse in aula in modo da far credere che l'imputato avesse massacrato Floyd perché in preda al panico, almeno secondo il New York Times. Per la prima volta in una contea del Minnesota si decideva il destino di un bianco che aveva assassinato un nero. Chauvin rischiava quaranta anni di carcere non solo per aver commesso un omicidio ma per averlo fatto alla presenza di minori e andando oltre il potere consentitogli.

Come tutti si aspettavano Chauvin era stato condannato e subito si erano scatenate manifestazioni di giubilo da parte della folla. Una grande euforia collettiva prematura. In primo luogo non è stato emesso un verdetto preciso. A Chauvin, che indossava una camicia candida, erano state messe le manette appena pronunciata la condanna ma non si sa ancora quanto carcere Chauvin dovrà scontare. D'altra parte, non si era mai saputo neppure il nome di chi ha pagato un milione di dollari di cauzione per permettergli di circolare libero fino all'inizio del processo.

La barriera costruita davanti al tribunale per arginare l'esultanza della folla in vista della condanna era costata un altro milione di dollari. Bianchi e neri insieme avevano espresso una gioiosa soddisfazione poi a qualcuno è venuto un dubbio: e se Chauvin decidesse di appellarsi nonostante i filmati che lo inchiodano? O addirittura chiedere un nuovo processo? E su quali basi? Perbacco, per un motivo assai semplice: l'accusa riguarda un omicidio di secondo grado e per di più “involontario”. Gli avvocati avranno novanta giorni di tempo per ricorrere in appello adducendo una serie di motivi tra i quali che la giuria sia stata condizionata dall'intesa copertura mediatica e anche dall'esoso risarcimento di 27 milioni di dollari concesso (anche non ancora versato) alla famiglia Floyd.

Ha scritto l'australiano Sunday Herald: “ basta un qualsiasi Derek Floyd a mettere fine alla diseguaglianza razziale e alla brutalità della polizia in America?”. In effetti meglio non galoppare troppo con la fantasia. Ha scritto ABC che per un imputato la pubblicità preliminare è orribile. Dunque non è ancora l'ora di cantar vittoria.

Molto probabilmente l'appello non salverà Chauvin dalla galera i difensori tireranno in ballo anche le manifestazioni di piazza che avrebbero reso più precaria la posizione del loro assistito e le magliette con le frasi “I CAN'T BREATH”, “IN GINOCCHIO”, ecc. In finale tutto il processo andrebbe rivisto o addirittura annullato per via delle troppe persone schierate contro una persona sola. “Il mio papà è un eroe che ha cambiato il mondo”, aveva detto Gianna, sei anni, una delle figlie di George Floyd”. Vedremo come andrà l'appello perché la posta in gioco doveva essere ottenere giustizia per la morte di uomo. Adesso c'è il rischio che a cambiare il mondo potrebbe essere Derek Chauvin, e certamente non in meglio.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy