Nel 1919, Woodrow Wilson, il presidente che aveva guidato gli Stati Uniti dopo la prima guerra mondiale, fu colto da un ictus. Gli americani hanno avuto presidenti con magagne di tutti i tipi. Donnaioli, disertori, alcolisti e via dicendo. L'unico taboo, rimasto tale dai tempi di George Washington ad oggi, è la malattia mentale. Nel caso di Wilson, che aveva avuto il Nobel per la Pace, alla fine del suo mandato mancavano ancora diciassette mesi e nessuno si accorse che era diventato completamente inabile e che fu la moglie Edith a prendere in mano le redini del paese. Con piglio deciso, la First Lady dissuase il presidente a candidarsi al terzo mandato come lui avrebbe voluto nonostante l'incapacità medica. Respinse qualunque tentativo dei parlamentari di vedere Wilson dicendo che il presidente aveva bisogno di riposo e l'opinione pubblica non seppe mai nulla della malattia e meno che mai che si fosse aggravata.                                                                                                                                  

Può capitare di sentire  raccontare in giro di malattie “presidenziali”  come il narcisismo di Donald Trump o la  paranoia di Hillary Clinton ma per un

esponente politico confessare di aver visto uno psicologo sarebbe una disfatta. Se si tratta del presidente poi un disturbo mentale sarebbe un bacio mortale. Diceva David Axelrod, uno dei consiglieri di Obama: “Posso sbagliarmi ma per un 'Comandante in Capo' la malattia mentale porterebbe ad una crisi politica insormontabile”. Il presidente deve apparire come un uomo vincente, gentile ed eroico insomma. Ovviamente il narcisismo è tollerato perche se un uomo non è narcisista non è  abbastanza ambizioso per guidare il paese.

Quando Ronald Reagan, verso la metà del secondo mandato, apparve un po' confuso e manifestò chiari segni riconducibili all'Alzheimer, non ci fu nessuna comunicazione in merito. Il presidente passò un breve periodo in ospedale e George H. Bush prese il comando, ma non si parlò mai di salute mentale. D'altra parte lo stesso Reagan aveva proclamato nel 1983 “La Settimana Nazionale dell'Alzheimer” per promuovere una maggior consapevolezza sulla patologia senza però accennare a sé stesso.

A distanza di tanti anni fa però un certo effetto pensare che la controversa politica estera di Reagan fosse frutto di una mente piena di crepe dovute al disagio mentale. Fu il figlio Ron a scoprire gli altarini rivelando che durante gli ultimi anni passati alla Casa Bianca l'allegro giullare era affetto da demenza senile ma la cosa era stata nascosta. Il medico personale di Reagan. John Hutten, disse di non aver mai notato sintomi di senilità. Sicuramente il fatto che un presidente degli Stati Uniti sia  cognitivamente compromesso è diverso al confronto con la demenza nelle case di cura.

Date le premesse appaiono sorprendenti i consigli del senatore repubblicano e  medico neurologo, Greg Murphy, rivolti a Joe Biden affinché si sottoponga a test che escludano una diagnosi di demenza. All'epoca della campagna elettorale l'età di Biden e di Trump avevano già suscitato perplessità e Trump aveva messo a tacere ogni critica sottoponendosi ad un test che dimostrava che fosse in grado di intendere e volere. Su Biden invece l'australiano Advertiser ha scritto che soffre di morbo di Alzheimer.

Certo non farà molto piacere agli americani, se la cosa fosse confermata, ritrovarsi alle prese con un presidente  con problemi cognitivi durante la pandemia non del tutto debellata. Che Biden abbia l'Alzheimer lo ha scritto anche il New York Observer basandosi  sulle esternazioni di  Greg Murphy ma il diretto interessato afferma di non aver alcun bisogno di fare altri test dopo il check up al quale si era sottoposto nel 2019, che dimostrò che fosse in ottima forma.

Gli anni non gli pesano e assicura di reggere bene il ritmo che il suo incarico politico impone. Dice anche di non aver mai manifestato sintomi psicotici o di una qualunque altra anomalia mentale, eppure il britannico Sun ha parlato di demenza senile che affligge il presidente degli Stati Uniti usando titoli  a caratteri cubitali. Biden ha quasi  ottanta anni e non è colpa sua, sostiene il tabloid inglese, se ha imboccato l'oscuro viale della confusione mentale.

Altre elucubrazioni sulla salute mentale del Comandante in Capo USA sono state espresse dal leader del più grande partito politico australiano - oltre che miliardario - Greg Palmer, che si dice certo che Biden non arriverà a fine mandato con tutte le rotelle a posto. Quando parla ripete sempre le stesse frasi senza accorgersene, come faceva Ronald Reagan, che solo nel 1994 ammise di avere problemi dovuti all'età.  Molti produttori di !mirabilia” presidenziali, ovvero di quegli oggettini inutili come le “palle di neve” con dentro la Casa Bianca in miniatura o le T-shirts con scritte che dubitano del comprendonio del  presidente, stanno facendo soldi a palate. Anche i fumetti che raffigurano Biden in pose strampalate stanno avendo molto successo.

L'unica cosa certa è Joe Biden ha qualche anno più di tutti i suoi predecessori ma anche i più giovani avevano armadietti pieni di farmaci anti-depressivi, ansiolitici o altri rimedi per sanare turbe psicologiche. Per rimediare ai guai che  spesso creati proprio da loro. Sono secoli che gli americani tentano di capire come funziona la testa degli uomini eletti alla guida del paese, anche se sarebbe bastato dare un'occhiata a Trump per intuire che era affetto da una specie di schizofrenia rabbiosa e che eleggerlo era stata una follia. Ma ci sono esperti che sostengono che l'incarico  di Comandante in Capo è talmente stressante che alla fine la mente si ammala. Franklyn Pierce, ad esempio, era talmente provato che non fu più in grado di adempiere agli obblighi coniugali e il governo iniziò a traballare.

Di John Adams girava voce che fosse completamente pazzo e Abram Lincon tentò più volte il suicidio. In  seguito ci furono molti presidenti costretti a vedersela con disturbi mentali di tutti i tipi. Una ricerca del 2008 aveva rivelato che il 49% degli uomini eletti alla Casa Bianca ad un certo punto delle loro vite erano scoppiati. Nel 2012, un'altra ricerca ha permesso di scoprire che Lyndon Baines Johnson si servì dell' incidente del Tonkino per dare nuovo vigore alla guerra del Vietnam. Come il suo predecessore, John Kennedy, avrebbe  dovuto dare le dimissioni per i tanti peccatucci sessuali e le molestie ai danni delle collaboratrici avvenute anche in presenza della moglie. Dopo l'offensiva del TET Johnson decise di mettere fine alla sua carriera politica ma molti impiegati dell'amministrazione dissero di essersi sentiti umiliati dall'abitudine del presidente di urinare e defecare davanti a loro. Non un grande segnale di buona salute mentale.

Johnson aveva avuto due amanti “ufficiali” e una delle due, Alice Glass, non volle più vederlo per via delle visioni diverse sulla guerra. La stanza ovale non è un luogo adatto alla fornicazione ma Johnson la usò più volte a questo scopo, Prima di lui John Kennedy se ne servì per dare delle feste allietate da ragazze giovani e spensierate. Di presidenti che avrebbero ceduto alla concupiscenza della carne ce ne sono stati svariati, ma Kennedy e Johnson appartengono a quella categoria di uomini, che abbonda anche tra i cittadini comuni, incapaci di contenere la propria esuberanza sessuale.

Gene Baker, consigliere della Casa Bianca, rivelò che Kennedy ebbe una donna in comune  con l'algido Gerald Ford, ancora lontano dagli allori. Alla Casa Bianca c'era  una stanza da bagno dove le ospiti potevano darsi una rinfrescata e incipriarsi il naso. Ma c'erano anche armadietti pieni di medicinali psicotropi di cui sia Kennedy che Johnson facevano uso smodato. Scrisse Arthur Schelessingher, consigliere di Kennedy, che il presidente registrava ogni conversazione con Johnson, che mostrava chiari segnali di paranoia. Prima di essere ucciso Kennedy aveva iniziato a prendere derivati delle amfetamine per alleggerire la giornata. Era un uomo esuberante che gli americani idolatravano e, in un'epoca in cui si praticavano ancora lobotomie, nessuno accennò mai  alla sua passione per i farmaci.

Gli addetti stampa di Johnson si accorsero presto che l'uomo aveva un'anima tormentata caratterizzata da manie depressive e forse fu questo il motivo che lo spinse a non ricandidarsi.

Ebbe così inizio l'epopea di Richard Nixon, più che un presidente un fenomeno da baraccone. Aveva sviluppato una fobia del comunismo già da senatore e fece approvare una legge che prevedeva la registrazione di tutti i membri dei Partito Comunista esistenti in America. Nixon era un uomo scaltro, che durante la campagna presidenziale  gli avversari avevano soprannominato “Tricky Dick”, Dick il furbo. Fu eletto e fece un viaggio in Cina mentre in Vietnam almeno trecento soldati costretti a “servire la patria” morivano ogni settimana, Giurava di volere la pace ma mandava la polizia nelle università con il permesso di sparare e la polizia non se lo fece ripetere due volte. Nel frattempo ingurgitava farmaci di ogni tipo, l'armadietto dei medicinali  nel suo ufficio abbondava di rimedi contro l'epilessia e le crisi convulsive.

Una delle migliori trovate di Nixon fu chiamare alla Casa Bianca Elvis Presley. Il bizzarro incontro tra i due fu immortalato da una foto. Nixon regalò all'artista un distintivo che inneggiava alla guerra alla droga. Certo si rivelò molto utile per Elvis, che con il distintivo poteva entrare dovunque senza essere perquisito. Fu la moglie Priscilla a dire che alla Casa Bianca Elvis aveva assunto barbiturici e che Nixon era certamente su di giri. Il presidente diceva di odiare le droghe solo per prendere di mira i neri e i simpatizzanti di sinistra, secondo gli stessi membri del suo staff. Chi  ha conosciuto Tricky Dick intuiva di non potersi fidare perché avrebbe pugnalato alle spalle chiunque pur di ottenere favori e denaro in cambio. Le medicine psicotrope prima o poi gli sarebbe tornate utili e lui la sapeva. Molti pensano che simulasse la follia quando voleva indurre un avversario a dimettersi.

Ogni essere umano ha delle nevrosi ma Nixon aveva una  nevrosi per convenienza che curava con farmaci pesanti. Aveva uno psicanalista pronto a correre alla Casa Bianca ad ogni minimo allarme. Quando fu cacciato, a causa del Watergate, era quasi in preda al delirio. Strappò con i denti il sigillo di un flacone di Valium e se lo scolò davanti alle guardie che dovevano scortarlo fuori con tutta la famiglia. Nixon aveva tradito la patria ma il suo successore Gerald Ford lo perdonò, Tricky Dick visse ancora una ventina d'anni con una pensione di quattromila dollari al mese.

Il primo aprile del 1992 la NPR annunciò per radio che Nixon si sarebbe candidato alle successive presidenziali. Uno scherzo ben riuscito ma che gettò nell'angoscia centinaia di ascoltatori. Due anni dopo, proprio ad aprile, l'ex presidente ebbe un infarto e morì dopo quattro giorni. Non avrebbe avuto diritto a funerali di Stato, ma Bill Clinton decise che Nixon doveva avere un posto nella storia.

Prima di spedire il corpo in California, ci fu una cerimonia alla presenza di tutti i presidenti che si erano succeduti dal 1974. Non fu una cerimonia sfarzosa ma Clinton ordinò che fossero sparati ventuno colpi di cannone. Le cannonate produssero un rumore simile ad un tuono durante i temporali che disorientò gli uccelli che caddero al suolo in uno svolazzare di penne. I bambini terrorizzati e smarriti scoppiarono a piangere nei passeggini, iniziò a cadere una pioggia sottile mentre in Florida un uomo di 38 anni, di nome Roy Allen Stewart, fu ucciso sulla sedia elettrica.

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