L’atterraggio forzato in Bielorussia del volo Ryanair che doveva portare in Lituania il giornalista “dissidente” Roman Protasevich ha prevedibilmente scatenato un’ondata di condanne e di reazioni indignate in Occidente, assieme a rinnovati appelli per imporre altre sanzioni contro il regime di Alexandr Lukashenko. La decisione, presa in prima persona dal presidente bielorusso, conferma in effetti la mano pesante del governo di Minsk nella repressione dei suoi oppositori. Le grida isteriche sollevatesi da Washington ai paesi baltici sono tuttavia ancora una volta ipocrite e l’indignazione altamente selettiva, avendo a che fare, come tutta la campagna messa in atto dopo le discusse elezione dell’agosto 2020, con ragioni di natura politica e strategica piuttosto che con un qualche scrupolo genuinamente democratico.

 

La stampa ufficiale europea e americana non si è fatta scrupoli nel definire l’operazione di domenica come un vero e proprio “dirottamento”, che avrebbe messo in pericolo la vita dei 170 passeggeri del volo della low-cost irlandese decollato da Atene. Un MiG-29 dell’aviazione bielorussa ha scortato il Boeing 737-800 verso l’aeroporto di Minsk, costringendolo a una modifica della rotta quando mancavano un paio di minuti al suo ingresso nello spazio aereo lituano.

Le autorità bielorusse hanno citato la possibile presenza di esplosivo a bordo dell’aereo come giustificazione per l’atterraggio forzato. Il volo è ripartito sette ore più tardi in direzione Vilnius al termine di controlli che non hanno fatto emergere alcuna minaccia. A terra è rimasto però il 26enne Roman Protasevich. Nei suoi confronti pendeva un mandato di arresto in Bielorussia perché accusato di avere fomentato le proteste anti-governative seguite alle elezioni dello scorso anno tramite l’organizzazione giornalistica NEXTA, il cui canale Telegram è diventato il più popolare tra le forze anti-Lukashenko. A novembre, nel suo paese di origine era stato messo anche sulla lista dei ricercati per terrorismo.

Secondo la testimonianza di un passeggero lituano raccolta dalla Reuters, alla notizia dell’atterraggio imprevisto a Minsk, Protasevich avrebbe estratto dal suo bagaglio un computer portatile e un telefono cellulare per consegnarli alla findanzata che viaggiava con lui. Nemmeno quest’ultima, come ha rivelato in seguito il presidente lituano Gitanas Nauseda, si è imbarcata per Vilnius dopo lo stop forzato. Un’altra passeggera dello stesso volo ha inoltre riferito alla Agence France-Presse che Protasevich, appena saputo del “dirottamento”, avrebbe affermato che in Bielorussia lo attendeva “la pena di morte”.

Protasevich si era recato in Grecia per partecipare a una conferenza assieme a una delle leader dell’opposizione, Sviatlana Tikhanovskaya, candidata sconfitta da Lukashenko nelle ultime presidenziali. Come la Tikhanovskaya e Protasevich, svariati esponenti di spicco dell’opposizione filo-occidentale hanno trovato rifugio all’estero, soprattutto in Polonia e Lituania, dopo la repressione del governo di Minsk e sono diventati il punto di riferimento della campagna occidentale per fare pressioni su Lukashenko e favorirne la rimozione.

NEXTA viene generalmente descritto come un organo indipendente, anzi l’unica fonte obiettiva di notizie non legata al regime rimasta in Bielorussia. In realtà, NEXTA è stato fondato da Stepan Putila, già collaboratore del canale polacco-bielorusso con sede a Varsavia Belsat TV, finanziato dal ministero degli Esteri polacco e, secondo alcune ricostruzioni, beneficiario anche di denaro riconducibile ai governi di Stati Uniti e Gran Bretagna. Queste testate hanno inoltre collegamenti con Radio Free Europe/Radio Libery (RFE/RL), che è sostanzialmente un organo di propaganda di Washington. Con RFE/RL ha collaborato lo stesso Protasevich e Putila. Il primo, secondo quanto riportato dalla stampa ucraina, avrebbe anche posizioni politiche non proprio edificanti, avendo collaborato con il cosiddetto battaglione Azov, l’organizzazione paramilitare neo-nazista coinvolta nel conflitto del Donbass.

Gli organi di informazione collegati a Protasevich costituiscono una delle armi principali della penetrazione occidentale in Bielorussia per destabilizzare l’alleanza con Mosca. Dietro alla promozione della democrazia si nascondono manovre per fomentare le cosiddette “rivoluzioni colorate”, mentre la trasformazione auspicata dei paesi bersaglio di queste campagne è sempre in un “paradiso” neo-liberista, sul modello non esattamente rassicurante della Russia nei primi anni seguiti alla fine dell’Unione Sovietica o, più recentemente, dell’Ucraina.

Quanto alle reazioni dei governi occidentali e di quelli ferocemente anti-russi dell’Europa orientale, è utile ricordare che esse si attivano solo quando ci sono in gioco interessi che nulla hanno a che vedere con diritti umani, democrazia e libertà di stampa. L’indignazione, le denunce e le minacce scattano cioè in difesa di “giornalisti” o “attivisti”, come Protasevich o Alexei Navalny, che servono esclusivamente a delegittimare regimi sgraditi o a raccogliere consensi attorno alle campagne per rovesciare questi ultimi.

Della rabbia e dell’intensità degli attacchi rivolti contro Lukashenko per la detenzione di Roman Protasevich non vi è invece mai traccia quando si tratta della sorte del vero e più importante detenuto politico odierno, vale a dire Julian Assange, ospite di un carcere di massima sicurezza, per avere svolto il lavoro di giornalista, non in un regime dittatoriale ma alla periferia di Londra.

Anche lo sdegno ostentato per l’atterraggio forzato del volo Ryanair che trasportava Protasevich suscita parecchie riserve se si considerano i precedenti. Tra le prese di posizione più dure si può citare quella della presidente della Commissione Europea Ursula von der Layen, per la quale la decisione di Minsk è “totalmente inaccettabile”. Per il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki si è trattato addirittura di “un atto di terrorismo di stato”, mentre per il ministero degli Esteri greco di “un dirottamento di stato”. I capi della diplomazia di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno a loro volta condannato l’episodio di domenica e prospettato iniziative per colpire Lukashenko. I leader europei si sono riuniti lunedì a Bruxelles per discutere di una serie di misure da adottare contro la Bielorussia.

Il governo della Lituania ha infine parlato di un “attacco senza precedenti alla comunità internazionale”, ma l’affermazione è quanto meno azzardata, poiché esisto in realtà numerosi precedenti più o meno recenti che hanno riguardato eventi simili pianificati o appoggiati questa volta dai governi occidentali. Anche senza risalire agli anni Cinquanta del secolo scorso, che videro casi clamorosi come quello del leader indipendentista e primo presidente algerino Ahmed Ben Bella, arrestato dai francesi nel 1956, ci sono stati svariati episodi di “dirottamenti di stato” nell’ultimo decennio. Nel 2010, ad esempio, gli Stati Uniti chiesero al governo canadese di fermare un volo dalla Francia al Messico per arrestare un passeggero a bordo del velivolo della compagnia Aeromexico.

Un caso molto recente ha a che fare proprio con la Bielorussia. Lo scorso anno, prima delle elezioni e dell’esplosione delle proteste, era stata rivelata un’operazione dei servizi segreti ucraini, in collaborazione con la CIA, per far precipitare i rapporti tra Putin e Lukashenko simulando un colpo di stato contro il presidente bielorusso. I servizi di Kiev avevano assoldato mercenari russi con la promessa di un incarico ben remunerato in Siria. Il piano prevedeva l’intercettazione nello spazio aereo ucraino del volo civile che doveva trasportare questi uomini dalla Russia alla Siria dopo uno scalo a Minsk. L’atterraggio forzato in Ucraina sarebbe stato poi seguito dalla denuncia di una spedizione che, su ordine del Cremlino, aveva l’incarico di dare la spallata a Lukashenko. La cospirazione è alla fine fallita in seguito a un errore dei servizi ucraini.

Decisamente più clamoroso fu quanto accadde nel 2013 all’allora presidente della Bolivia, Evo Morales. Durante una visita a Mosca, Morales aveva ipotizzato la concessione dell’asilo politico all’ex contractor della CIA, Edward Snowden, ricercato dagli USA dopo le rivelazioni dei programmi di sorveglianza dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale (NSA). La presa di posizione di Morales aveva fatto circolare i sospetti che sul suo volo di ritorno verso la Bolivia ci fosse lo stesso Snowden. Francia, Spagna, Portogallo e Italia, su ordine di Washington, chiusero il loro spazio aereo al velivolo di Morales, che fu costretto ad atterrare in Austria e, anche se smentita dal presidente boliviano, probabilmente a subire un’umiliante perquisizione.

Nonostante i toni delle denunce occidentali, è ad ogni modo improbabile che eventuali ulteriori sanzioni possano creare particolari problemi alla stabilità del regime di Lukashenko. Il presidente bielorusso era uscito dalla crisi dello scorso anno grazie soprattutto all’appoggio della Russia. Di fronte alla minaccia dell’ennesima “rivoluzione colorata” guidata dall’Occidente, Putin e Lukashenko avevano messo da parte le frizioni degli ultimi anni e le proteste di piazza erano andate a poco a poco scemando.

Resta comunque da valutare se l’operazione di domenica sia stata presa autonomamente da Lukashenko o abbia per lo meno avuto il via libera del Cremlino. La Russia ha continuato a manifestare forti riserve per la leadership di Lukashenko in questi mesi e, sia pure non vedendo alternative nel breve periodo a un cambio di regime in favore dell’Occidente, sta cercando di preparare il terreno a una transizione in Bielorussia, in primo luogo attraverso la scrittura di una nuova costituzione.

Lukashenko, da parte sua, sembra però intenzionato a rimandare il più possibile questo processo e, nel caso l’atterraggio forzato del volo Ryanair sia stato deciso senza consultare Mosca, è probabile che l’episodio possa incrinare ancora di più i rapporti tra Russia e Bielorussia e aumentare l’impazienza di Putin nei confronti di quello che in Occidente continua a essere identificato come “l’ultimo dittatore d’Europa”.

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