La questione dello status di Taiwan rappresenta uno dei fronti più caldi in assoluto della rivalità tra Cina e Stati Uniti. Sia durante la presidenza Trump sia con l’attuale amministrazione democratica, Washington ha scelto di intensificare le provocazioni nei confronti di Pechino in questo ambito, alimentando in primo luogo e in maniera deliberata l’incertezza sulla sovranità dell’isola. A queste manovre sta partecipando recentemente anche il Giappone, il cui governo, nonostante il brutale passato coloniale, intende utilizzare la partnership con Taiwan per fare pressioni sulla Cina e allineare sempre più i propri interessi strategici a quelli americani in Estremo Oriente.

 

L’ultima provocazione è andata in scena lo scorso fine settimana con il vertice virtuale a quattro tra esponenti di primissimo piano dei partiti di governo di Tokyo e Taipei. A partecipare alla discussione sono stati i responsabili per gli affari esteri e la difesa del Partito Liberal Democratico giapponese (LDP), rispettivamente Masahisa Sato e Taku Otsuka, e i presidenti delle commissioni esteri e difesa dell’assemblea legislativa taiwanese (Yuan), Lo Chih-cheng e Ysai Shih-ying, del Partito Democratico Progressista (DPP).

Se l’evento non ha formalmente coinvolto i due governi, sia la forma che la sostanza hanno lasciato pochi dubbi sulle intenzioni delle due parti. L’isola è stata infatti apertamente descritta come un “paese” e i deputati del DPP hanno parlato di un “paese sovrano e indipendente” che ha “diritto di promuovere rapporti bilaterali e multilaterali”.

Simili dichiarazioni sono un attacco diretto contro Pechino e la dottrina di “un’unica Cina”, che riconosce l’unità della madrepatria con l’isola di Taiwan, ufficialmente adottata dal Giappone, così come dagli USA e dalla grandissima maggioranza dei paesi. La portata di prese di posizione simili è facilmente comprensibile se si pensa che il governo cinese ha più volte avvertito senza equivoci che qualsiasi iniziativa indipendentista provocherà l’uso della forza per riunire l’isola alla madrepatria.

Oltre che a fattori storici, la posizione intransigente di Pechino è dettata anche da altri di natura militare e strategica. L’eventuale dichiarazione di indipendenza di Taiwan rafforzerebbe considerevolmente i legami con gli Stati Uniti e i loro alleati, fino a fare dell’isola una sorta di base militare con una posizione ultra-privilegiata in caso di guerra con la Cina. Questi fattori sono evidentemente noti a Washington, così come a Tokyo e Taipei, ma l’amministrazione Biden non solo insiste nel riproporre le politiche provocatorie di Trump ma continua a incoraggiare il Giappone a fare lo stesso.

Per quanto riguarda i colloqui di venerdì, i particolari che sono stati resi pubblici confermano, come hanno spiegato i rappresentanti del partito al potere a Taiwan, che le discussioni avranno un peso sulle politiche del governo. Anche se la stampa non ha avuto accesso ai contenuti specifici del vertice, i deputati taiwanesi hanno assicurato che si è parlato soprattutto di una possibile cooperazione in ambito militare tra Tokyo e Taipei. Addirittura, sembrerebbe essere emersa una possibile futura partnership militare trilaterale che dovrebbe includere gli Stati Uniti.

L’atteggiamento sempre più intraprendente attorno alla questione di Taiwan da parte del governo di Tokyo viene giustificato ufficialmente con necessità legate alla sicurezza nazionale del Giappone, vista soprattutto la collocazione geografica dell’isola. In realtà, il rischio di un conflitto armato nell’area, nel quale potrebbe essere in effetti trascinato il Giappone, dipende dalla crescente aggressività americana ed è aggravato precisamente dalla partecipazione di Tokyo alle provocazioni di Washington.

In parallelo a queste dinamiche, i governi di Tokyo e Taipei stanno attuando politiche revisioniste nel tentativo di ridimensionare i crimini del colonialismo giapponese, durato sull’isola dal 1895 al 1945. Per contro, il fatto di minimizzare questa fase della storia di Taiwan va collegata in qualche modo all’imporsi di tendenze indipendentiste, utilizzate soprattutto dopo la fine della dittatura anche come strumento per continuare a garantire il controllo sociale sull’isola.

Il crescente sostegno garantito al governo di Taipei da parte degli Stati Uniti e dai loro alleati asiatici viene propagandata in primo luogo come una campagna a difesa della democrazia, che sull’isola sarebbe minacciata dall’autoritarismo della madrepatria. In realtà, l’aggravamento delle tensioni riguardo Taiwan è la conseguenza del riassetto strategico americano, indirizzato da qualche anno verso il tentativo di contenimento della “minaccia” cinese. A questo scopo, tutti i fronti di crisi, spesso latenti fino al recente passato, che coinvolgono la Cina sono stati reinnescati, come le dispute territoriali nel Mar Cinese, le condizioni della minoranza musulmana nella regione dello Xinjiang e, appunto, lo status di Taiwan.

La reazione cinese al vertice di venerdì tra Giappone e Taiwan è stata prevedibilmente molto dura. Il ministero degli Esteri di Pechino ha ribadito che l’isola è parte “irrinunciabile” della Cina, che si oppone perciò a “ogni forma ufficiale di interazioni tra Taiwan e i paesi che intrattengono relazioni diplomatiche con la Cina”. La dichiarazione ha anche incluso un chiaro avvertimento al governo di Tokyo, invitato alla “prudenza nelle parole e nelle azioni”, a conferma del pericolo crescente di un conflitto armato in parallelo alla promozione delle spinte indipendentiste alimentate dall’esterno in questi ultimi anni.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy