La persecuzione decennale di Julian Assange si è arricchita qualche giorno fa di nuovi sconvolgenti particolari grazie a un’indagine pubblicata dal sito web Yahoo News. Sulla base delle informazioni fornite da una trentina di anonimi ex funzionari governativi, si è avuta la conferma di come la CIA e l’amministrazione Trump avessero preparato piani operativi per mettere in atto il rapimento o addirittura l’assassinio del fondatore di WikiLeaks mentre si trovava in qualità di rifugiato politico nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra.

 

Le rivelazioni, anche se tutt’altro che sorprendenti, chiariscono come il governo degli Stati Uniti, in collaborazione con quello britannico, abbia preso seriamente in considerazione e, anzi, si sia adoperato in modo concreto per uccidere un giornalista riconosciuto a livello internazionale, perché responsabile di avere diffuso documenti autentici e di estremo interesse pubblico che certificavano i crimini su scala planetaria dello stesso governo di Washington.

Le operazioni contro Assange erano iniziate significativamente durante l’amministrazione Obama, con la decisione di attivare procedure di sorveglianza ultra-invasive ai danni del giornalista australiano e dei membri del progetto WikiLeaks. L’obiettivo principale era quello di impedire ad Assange di lasciare il Regno Unito e trovare rifugio in un paese disposto a garantirgli asilo. A livello pubblico e in privato, esponenti di vertice dell’amministrazione democratica si erano d’altra parte lasciati andare a commenti inquietanti, che facevano intravedere una chiara volontà di liquidare drasticamente il “problema” Assange. Hillary Clinton aveva ad esempio chiesto al suo staff se, semplicemente, fosse stato possibile ucciderlo con un drone, mentre l’allora vice-presidente Joe Biden lo aveva definito un “terrorista hi-tech”.

Fu però nella primavera del 2017 che le cose ebbero una drastica accelerazione. La pubblicazione da parte di WikiLeaks di documenti esplosivi sulle operazioni della CIA e la presenza di falchi di estrema destra alla Casa Bianca (Trump) e alla direzione della stessa agenzia di Langley (Mike Pompeo) furono decisivi nel mettere in moto un meccanismo criminale diretto contro Assange.

Le informazioni messe a disposizione da WikiLeaks sotto il nome di “Vault 7” rivelavano una lunga serie di attività illegali e oggettivamente criminali in cui la CIA era impegnata. Oltre a documentare come l’intelligence USA sfruttava le proprie capacità informatiche per penetrare, tra l’altro, i sistemi computerizzati delle automobili o delle “smart TV”, WikiLeaks dimostrava che la CIA conduceva cyber attacchi contro determinati obiettivi lasciando tracce tali che avrebbero invece condotto a governi rivali, come Russia, Cina, Iran o Corea del Nord.

Soprattutto quest’ultimo aspetto di “Vault 7” rischiava di far crollare uno dei pilastri della propaganda di Washington contro i propri nemici, che garantiva cioè una giustificazione davanti all’opinione pubblica delle politiche aggressive messe in atto nei loro confronti perché appunto impegnati in attività di terrorismo informatico. Questa e le altre rivelazioni avevano quindi fatto ancor più di Assange un nemico giurato del governo americano, tanto che nell’aprile dello stesso anno Pompeo tenne un discorso presso la sede della CIA per annunciare la designazione ufficiale di WikiLeaks come “entità ostile non statale di intelligence”, con tutte le implicazioni del caso.

Gli ex agenti della CIA sentiti dai reporter di Yahoo News hanno raccontato come Pompeo avesse invitato i vertici dell’agenzia a fornire ipotesi “operative” su come contrastare WikiLeaks, senza preoccuparsi degli “avvocati di Washington” e ricordando loro che nulla era “off-limits” né dovevano “auto-censurarsi” nel proporre iniziative per questo obiettivo. Le “stazioni” della CIA in tutto il mondo vennero così sollecitate a intensificare le attività contro WikiLeaks, incluse operazioni di sorveglianza illegali in paesi europei e al fine di provocare divisioni all’interno dell’organizzazione giornalistica.

Sempre secondo le fonti di Yahoo News, Pompeo iniziò a considerare l’ipotesi del rapimento di Assange nel corso di una riunione tra esponenti dell’amministrazione Trump poco dopo la pubblicazione di “Vault 7”. Nella stessa primavera del 2017 emerse anche la possibilità di un assassinio mirato contro il numero uno di WikiLeaks. A testimoniarlo è un anonimo ex funzionario della CIA che venne informato della richiesta del presidente Trump di avere dall’agenzia di intelligence una serie di “opzioni” sulle modalità con cui portare a termine l’omicidio.

I piani e le discussioni in questo senso diventarono ancora più urgenti dopo che il governo ecuadoriano aveva iniziato a considerare l’evacuazione di Assange dall’ambasciata di Londra, prima verso la Russia e, dopo il rifiuto del giornalista australiano, in un altro paese ancora da individuare. Di queste discussioni il governo USA venne tempestivamente a conoscenza, sia attraverso le attività di sorveglianza della CIA sia tramite il lavoro della compagnia di “sicurezza privata” spagnola UC Global, reclutata da Langley per questo scopo e oggi al centro di un procedimento legale nel paese iberico.

Le idee che circolavano a Washington per impedire ad Assange di lasciare il Regno Unito sconfinavano nell’assurdo e includevano la possibilità di speronare l’auto diplomatica russa che avrebbe portato il giornalista australiano all’aeroporto, così come una sparatoria nelle strade di Londra e colpi di arma da fuoco diretti contro le ruote dell’aeromobile russo su cui si sarebbe imbarcato per raggiungere Mosca.

Il governo americano aveva anche discusso con le autorità britanniche l’ipotesi di un’irruzione pura e semplice nell’edificio dell’ambasciata ecuadoriana per prelevare Assange e spedirlo negli Stati Uniti. Londra, tuttavia, bocciò un’operazione che, evidentemente, avrebbe messo in serio imbarazzo il governo di sua maestà.

Sconvolgenti almeno quanto i progetti di rapimento e assassinio sono anche le ragioni che portarono ad abbandonare queste ipotesi. Non ci fu in sostanza alcun ripensamento dovuto alla presa d’atto della natura criminale delle operazioni allo studio. Piuttosto, a risultare determinanti furono le considerazioni sulle conseguenze in termini di immagine per gli USA, visto che, nelle parole di una delle fonti di Yahoo News, azioni di questo genere erano più consone a paesi come “Pakistan o Egitto”.

Soprattutto, dentro l’amministrazione Trump prevalsero le voci che fecero notare come l’eventuale fallimento di un’operazione palesemente illegale contro Assange avrebbe compromesso in maniera irreparabile il caso costruito contro il fondatore di WikiLeaks. Nell’articolo di Yahoo News si legge a questo proposito: “Allarmato all’idea che i piani della CIA avrebbero messo a rischio un potenziale procedimento criminale, il dipartimento di Giustizia accelerò la formulazione delle accuse contro Assange, così da garantire che tutto risultasse pronto nel caso fosse stato trasferito negli Stati Uniti”.

In altre parole, l’intero caso non è altro che il tentativo di operare una “rendition” nei confronti di Assange e il procedimento di estradizione in corso a Londra rappresenta l’altra faccia della medaglia dei piani commissionati da Trump e Pompeo per rapirlo o assassinarlo. La richiesta di estradizione, viste le gigantesche violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale che hanno caratterizzato la vicenda Assange, è in definitiva il tentativo di ottenere tramite un procedimento pseudo-legale quanto non è riuscito con la violenza. Per questa ragione, ciò che sta accadendo a Londra è un’autentica farsa o, più precisamente, un complotto che coinvolge governi e magistrature di vari paesi, così come la gran parte dei media ufficiali, totalmente insostenibile e destinato a crollare istantaneamente se solo fossero rispettati i più basilari principi democratici.

Queste ultime rivelazioni e l’indifferenza quasi generale con cui la stampa “mainstream” le ha accolte soprattutto negli USA portano nuovamente alla luce anche la condotta criminale dei governi occidentali e la normalizzazione di essa, diretta conseguenza dell’avanzato stato di deterioramento delle strutture democratiche.

Se assassinii e operazioni clandestine illegali in genere non sono merce inedita per la CIA e le altre agenzie di intelligence, ciò che fa oggi la differenza è appunto il ricorso sempre più aperto a simili pratiche per la promozione di determinati interessi strategici e, in parallelo, il silenzio della stampa o, quanto meno, il considerare questi fatti gravissimi come un normale strumento per la conduzione della politica estera di un determinato governo, soprattutto quando si tratta di quello americano.

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