La morte per complicazioni da Coronavirus dell’ambasciatore iraniano in Yemen, Hassan Irloo, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la drammatica situazione umanitaria imposta dal regime saudita al paese più povero della penisola arabica. Allo stesso tempo, la vicenda ha rappresentato un caso esemplare di disinformazione, alimentata dai media ufficiali in Occidente, con l’obiettivo di colpire gli interessi di una Repubblica Islamica sempre più coinvolta e in grado di giocare un ruolo determinante nello scacchiere mediorientale.

 

Il governo di Teheran ha nei giorni scorsi attribuito apertamente all’Arabia Saudita buona parte delle responsabilità per la morte di Irloo, le cui condizioni di salute erano rapidamente deteriorate dopo avere contratto il COVID-19 in Yemen. Già affetto da patologie pregresse, l’ex membro delle forze Quds dei Guardiani della Rivoluzione avrebbe dovuto essere evacuato dal paese in guerra per ricevere le cure necessarie in Iran.

Le pratiche per il rimpatrio sono state però rallentate deliberatamente dal regime saudita, che impone dal 2015 un vero e proprio blocco dei porti e degli aeroporti yemeniti. Irloo ha potuto così lasciare il paese dove svolgeva il suo incarico solo nella giornata di domenica con un volo con scalo in Iraq. Il via libera tardivo di Riyadh sarebbe arrivato dopo la mediazione del governo dell’Oman e del primo ministro iracheno, Mustafa al-Khadimi. L’arrivo a Teheran non è stato però sufficiente a rimediare a un quadro clinico ormai compromesso e Irloo è alla fine deceduto nelle prime ore di martedì.

Sulle ragioni del comportamento saudita ci sono pochi dubbi. Gli ostacoli imposti all’evacuazione dell’inviato iraniano rappresentano una ritorsione per la crescente influenza iraniana in Yemen, dove Riyadh, con il sostegno di Stati Uniti e Gran Bretagna, sta conducendo una guerra criminale contro il movimento Ansarullah (“Houthis”) per reinsediare il governo-fantoccio dell’ex presidente, Abd Rabbou Mansour Hadi, rovesciato a sua volta dai “ribelli” sciiti nel 2015. Ansarullah controlla oggi gran parte dello Yemen settentrionale, inclusa la capitale Sana’a, e ha a poco a poco ribaltato gli equilibri del conflitto, infliggendo in più occasioni clamorose umiliazioni alle forze saudite e ai loro alleati.

Gli Houthis beneficiano con ogni probabilità dell’appoggio iraniano, anche se i legami si sono intensificati solo dopo l’inizio della guerra, e questa realtà ha aggiunto alla tragedia yemenita una dinamica strategica da ricondurre alla rivalità tra Teheran e Riyadh. Per quanto riguarda inoltre la figura dell’ambasciatore Irloo, il suo incarico in Yemen era visto con irritazione dalla casa regnante saudita, così come dagli Stati Uniti. L’ex ufficiale dei Guardiani della Rivoluzione era arrivato a Sana’a nell’autunno dello scorso anno e l’inizio della sua missione diplomatica era stato denunciato anche in un “tweet” dell’allora portavoce del dipartimento di Stato americano, Ned Price. A dicembre, poi, era stato colpito dalle consuete sanzioni del dipartimento del Tesoro con l’accusa di “terrorismo”.

Le condizioni di salute di Hassan Irloo e gli sforzi per consentirgli il rientro in Iran hanno offerto così la possibilità al regime saudita non solo di liberarsi fisicamente dell’ambasciatore della Repubblica Islamica, ma anche di sfruttare le circostanze per provare a introdurre un elemento di scontro tra Teheran e Ansarullah. Se Irloo ha dovuto alla fine soccombere al COVID-19, questo secondo obiettivo di Riyadh è invece naufragato in pochi giorni.

La campagna saudita di disinformazione era iniziata con una “esclusiva” pubblicata venerdì scorso dal Wall Street Journal. Il giornale americano, evidentemente su imbeccata saudita, aveva raccontato delle richieste pervenute a Riyadh per approvare il rientro di Irloo in patria. In particolare, il Journal rendeva conto dell’impegno degli stessi Houthis in questo senso per accelerare l’evacuazione di una figura la cui presenza non era più gradita in Yemen. Ciò rifletteva, secondo l’articolo, un peggioramento dei rapporti tra Ansarullah e Teheran, visto che, per le fonti anonime citate dal Journal, ancora venerdì Irloo non mostrava alcun segno di COVID-19.

L’ambasciatore è invece deceduto quattro giorni dopo e i rappresentati della Repubblica Islamica e del governo degli Houthis hanno subito smentito la propaganda di Riyadh e del Wall Street Journal. Lunedì, il portavoce del ministero degli Esteri di Teheran, Saeed Khatibzadeh, in una conferenza stampa ha assicurato che “i rapporti tra l’Iran e il governo di Salvezza Nazionale dello Yemen [Ansarullah] sono più forti e stretti che mai”. In un’intervista all’agenzia di stampa iraniana IRNA, anche l’ambasciatore yemenita a Teheran, Ibrahim al-Dailami, ha confermato lo stesso concetto, aggiungendo che le relazioni bilaterali “stanno evolvendo rapidamente”. Dailami ha definito “spazzatura” l’articolo del Journal, a suo dire pubblicato per “trarre vantaggio dalla situazione e avvelenare l’atmosfera”.

La pessima figura fatta dall’Arabia Saudita, ma anche dal giornale del gruppo Murdoch, è un altro segnale della disperazione del regime wahhabita, precipitato in una spirale senza via d’uscita con la guerra in Yemen. Non solo l’avventura lanciata dal principe ereditario, Mohammad bin Salman (MBS), si è trasformata in un incubo umanitario e di immagine per il suo paese, ma ha anche dato un impulso considerevole al fronte della “resistenza” sciita che, in Medio Oriente, rappresenta il principale rivale strategico di Riyadh.

Il tragico fallimento dello Yemen ha prodotto, tra l’altro, più di una frizione nei rapporti tra l’Arabia Saudita e gli Stati Uniti, nonché costretto il regime a sondare il terreno per una possibile riconciliazione proprio con la Repubblica Islamica. Il percorso è stato finora piuttosto accidentato e non ha ancora dato alcun risultato concreto, anche se nei mesi scorsi si sono tenuti almeno quattro round di negoziati tra i rappresentanti di Teheran e di Riyadh.

Proprio nel pieno della vicenda dell’ambasciatore Irloo, il governo iraniano ha sollevato la questione dei colloqui tra le due parti. Sempre il portavoce del ministero degli Esteri ha spiegato che il suo paese è in attesa di conoscere le decisioni che prenderanno i sauditi per verificare la “serietà” delle loro intenzioni. La prossima sessione dei negoziati non è stata ancora fissata, ma il livello di “serietà” del regime wahhabita nel perseguire la distensione con l’Iran è apparso chiaro dal caso dell’ambasciatore Hassan Irloo.

Il ritardo con cui quest’ultimo ha lasciato lo Yemen e che gli è costato la vita ha fatto emergere nuovamente le conseguenze disastrose delle restrizioni ai voli che l’Arabia Saudita impone da e per questo paese. Gli effetti sulla situazione umanitaria sono facilmente immaginabili se nemmeno un diplomatico di una delle principali potenze mediorientali ha potuto prendere per tempo un volo dallo Yemen che gli avrebbe forse salvato la vita. Le difficoltà causate dalla guerra determinano anche un’estrema carenza di beni di prima necessità, dal momento che Riyadh esercita il controllo sulle vie di comunicazioni yemenite come un’arma di guerra.

Dalla chiusura di fatto dell’aeroporto di Sana’a nell’estate del 2016, le forze saudite hanno consentito tutt’al più il transito di voli delle Nazioni Unite con aiuti umanitari, ma le necessità primarie della popolazione yemenita non sono nemmeno lontanamente soddisfatte. Milioni di civili continuano a essere esposti al rischio di carestie e malattie con il persistere del blocco imposto dai sauditi. Lo Yemen, d’altra parte, prima della guerra importava circa il 70% dei beni di prima necessità.

La situazione è se possibile anche peggiorata negli ultimi tempi, in seguito all’escalation di bombardamenti sauditi su Sana’a e, in particolare, proprio sull’aeroporto della capitale yemenita. Le incursioni dei giorni scorsi hanno costretto così allo stop i voli dell’ONU e delle organizzazioni umanitarie internazionali. Un rappresentante della ONG Norwegian Refugee Council ha confermato all’agenzia di stampa AFP che dopo i bombardamenti del 21 dicembre l’aeroporto di Sana’a non è di fatto più utilizzabile e quest’ultimo assalto saudita “dovrebbe fare aprire gli occhi a tutto il mondo sulla follia” che sta causando nuove sofferenze a una popolazione già allo stremo dopo oltre sei anni di guerra. Secondo un rapporto ONU pubblicato a novembre, entro la fine dell’anno l’aggressione saudita avrà provocato, direttamente e indirettamente, qualcosa come 377 mila morti tra la popolazione dello Yemen.

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