Come ampiamente previsto dai sondaggi e dal buon senso, Emmanuelle Macron è stato confermato presidente della Francia dal secondo turno delle elezioni presidenziali. Il Presidente ha staccato nettamente la sua sfidante, la fascista Marine Le Pen, che al netto delle sue proposte programmatiche evidentemente non riesce a convincere i francesi della sua ripulitura ideologica.

Con il 28% degli astenuti, Macron ha ottenuto il 58,54 dei consensi contrariamente alla sua prima vittoria dove superò il 66,1. Rispetto alle precedenti elezioni, Macron ha perso circa due milioni di voti, che corrispondono a quanti si erano illusi che avrebbe avuto attenzione alla crisi sociale della Francia. Dal canto suo Marine Le Pen ha ottenuto circa due milioni e mezzo di voti in più, che corrispondono a quanti hanno deciso che la questione prioritaria era far uscire Macron dall’Eliseo.

 

Il livello così alto dell’astensione corrisponde all’assenza dei voti della sinistra, che tranquillizzata da tutti i sondaggi che davano per certa la sconfitta della Le Pen, hanno disertato le urne, anche per non dare a Macron una forza eccessiva grazie alla quale poter ulteriormente affondare il coltello delle elites nelle carni della marginalità sociale francese. Quella delle banlieu e nei quartieri poveri, della crescente disoccupazione, della perdita di ruolo sociale e peso politico che ha trovato in Melenchon - e in parte purtroppo anche nella Le Pen - la sua rappresentanza.

Gravissima appare la responsabilità dei residui trotzkysti francesi e frattaglie varie, che con la presentazione di due liste in competizione con Melenchon hanno impedito che fosse il rappresentante della gauche a sfidare Macron. Nulla di nuovo, come sempre nella storia quando lo scontro tra destra e sinistra arriva al culmine, gli ultrasinistri sono sempre coincidenti con gli interessi imperiali; non possono vincere mai ma fanno in modo che la sinistra perda, per continuare così a sentirsi opposizione di tutto, persino di loro stessi.

L’esito di un confronto diretto tra il candidato delle banche e quello dei quartieri popolari non sarebbe stato affatto scontato, dal momento che l’assenza del rischio di una vittoria fascista avrebbe reso inutile la corsa al voto “meno peggio”. Privata dell’entrata in campo prepotente di quella che si chiama “disciplina repubblicana”, eredità democratica gollista che prevede l’unità nazionale contro il ritorno del fascismo in Francia, la competizione avrebbe visto un confronto duro sui contenuti e sui programmi ed è probabilissimo che la misura dell’astensione sarebbe stata minore.

Dal lato opposto dello scenario politico francese, risulta evidente come la destra non sia in grado di proporsi con un’immagine accettabile per i paesi economicamente forti e culturalmente indipendenti come lo è la Francia. Per quanto si sforzi, sebbene i sondaggi risultino incoraggianti, non rappresenterà per lungo tempo ancora un’alternativa credibile di governo. Il fatto che gli USA abbiano eletto Trump non è di per sé una indicazione sulla fattibilità del percorso: l’assenza di una tradizione antifascista e di una dominazione criminale nazista, così come un bagaglio culturale che va ben oltre alla logica binaria ed elementare del discorso politico statunitense, richiede una complessità ed una immagine completamente diverse. In Francia come in Italia, in Germania e in Spagna, benché la spinta delle organizzazioni apertamente neofasciste sia politicamente considerevole, non risulta sufficiente all’apertura di scenari elettoralmente devastanti.

Esulta ovviamente Bruxelles, che aveva rimandato al prossimo martedì la riunione per decidere nuove, ulteriori ed impotenti sanzioni contro Mosca. La prudenza sul voto era necessaria, tenuto conto anche del ruolo della presidenza di turno francese della UE. Con Macron la UE si sente decisamente a suo agio. Può continuare a rappresentare, insieme al tedesco Sholz, la versione bonsai di quello che fu l’asse Bonn-Parigi dal quale prese forza il progetto dell’Unione. Il suo ripiegamento sugli Stati Uniti ha tolto ogni dimensione politica innovatrice, le colonie di ieri sono i colonizzati di oggi, ma questo è il quadro europeo, diviso tra il Gruppo di Visegrad (ultra destra) e quello iper atlantista.

Tra pochi mesi si svolgeranno le elezioni parlamentari e sarà l’occasione per misurare la tenuta di una Le Pen ormai ripetutamente sconfitta, del centro liberale di Macron, libero dall’ipoteca della rielezione, e della potenzialità innovativa di Jean Luc Melenchon. I sondaggi dicono che oltre il 40% dei francesi vorrebbe Melenchon come primo ministro. E sebbene le sue ricette di politica economica e internazionale siano decisamente diverse da quelle di Macron, questi potrebbe essere costretto dai numeri all’Assemblea nazionale a costruire obtorto collo un governo con i voti suoi e del partito di Melenchon, la France Insumisse. E proprio di ribellione ad un destino di sottomissione all’impero angloamericano è quello del quale avrebbero bisogno Parigi e l’Europa intera.

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