L’Unione Europa e il Regno Unito sono nuovamente in rotta di collisione attorno alla Brexit dopo che il governo di Boris Johnson ha presentato una controversa proposta di legge per risolvere unilateralmente la sempre più complicata questione del cosiddetto “protocollo nordirlandese”. Questo meccanismo era stato il frutto di un’intesa post-Brexit raggiunta tra Londra e Bruxelles con l’intento di salvaguardare gli accordi di pace del “Venerdì Santo”, stabilendo una frontiera per le merci in transito tra la Gran Bretagna e l’Irlanda del Nord in modo da garantirne la libera circolazione lungo il confine che separa l’isola d’Irlanda.

 

Questa misura aveva da subito scontentato gli estremisti della Brexit e i partiti unionisti a Belfast, dal momento che ha creato una sorta di unificazione di fatto tra le due irlande. Con il moltiplicarsi dei problemi per il governo Johnson, la vicenda ha man mano assunto contorni sempre più preoccupanti, fino a diventare un nodo forse cruciale sia per la sopravvivenza politica dello stesso primo ministro sia per il futuro dei rapporti tra Regno Unito e Unione Europea.

Il primo problema è legato allo stallo politico a Belfast. Il principale partito unionista nordirlandese (DUP) non intende partecipare alla formazione del nuovo governo fino a che non verrà cancellato il “protocollo” nella sua forma attuale. Le recenti elezioni in Irlanda del Nord avevano visto lo storico successo dei nazionalisti del Sinn Féin, ma i già ricordati accordi del “Venerdì Santo”, che avevano messo fine alla guerra civile, prevedono che l’esecutivo nelle sei contee settentrionali dell’isola d’Irlanda sia formato obbligatoriamente dai principali partiti delle due comunità (cattolica e protestante).

A questo fattore si aggiungono le frustrazioni dei fautori della Brexit “dura” dentro il Partito Conservatore, i quali non tollerano l’imposizione di norme UE dopo l’uscita del loro paese dall’Unione. La necessità di fare qualcosa in merito al “protocollo” ha acquistato per Johnson ancora maggiore urgenza dopo il voto di sfiducia di settimana scorsa, chiesto e ottenuto da un numero consistente di parlamentari del Partito Conservatore, che il primo ministro ha superato a malapena.

La coperta per l’ex sindaco di Londra è però molto corta e il disegno di legge introdotto lunedì per cancellare buona parte del “protocollo” rischia di non accontentare nessuno. Di certo, se approvata, la legislazione porterà allo scontro con Bruxelles, da dove l’iniziativa del governo britannico è già stata bollata come una violazione del diritto internazionale, visto che il “protocollo nordirlandese” ha valore di trattato internazionale, e determinerà quasi certamente l’avvio di un’azione legale.

Johnson ha cercato da parte sua di minimizzare la portata della legge che dovrebbe correggere il “protocollo”, ma le misure in essa contenute potrebbero in realtà modificare alcuni punti fondamentali. Per molti osservatori, la decisione del governo sarebbe una manovra che punta non tanto all’approvazione del provvedimento appena presentato, quanto un espediente per prendere tempo, così da convincere gli unionisti nordirlandesi a entrare nel governo di Belfast e l’Europa a riaprire i negoziati per trovare un accordo bilaterale sulla modifica del “protocollo”.

Nella bozza di legge ci sono almeno quattro elementi che delineano cambiamenti di rilievo. Il primo riguarda la frontiera doganale introdotta lungo il mare d’Irlanda che, al momento, richiede controlli sulle merci esportate dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord, indifferentemente dal fatto che la loro destinazione siano le sei contee, la Repubblica d’Irlanda o altri paesi UE. Esportatori e importatori lamentano tempi troppo lunghi per il transito dei prodotti. Il governo Johnson intende perciò creare una “corsia verde”, ovvero senza controlli, per le merci che restano in Irlanda del Nord e una “corsia rossa”, con l’applicazione dei controlli finora previsti, per quelle che proseguiranno per la Repubblica d’Irlanda o altri paesi UE.

Un altro punto prevede che gli esercizi che vendono beni in Irlanda abbiano libertà di scelta tra le norme britanniche e quelle europee. Un esempio concreto è quello dei caricatori di batteria per telefoni cellulari. L’UE si sta muovendo verso l’obbligatorietà di dispositivi universali, mentre Londra ha fatto sapere che probabilmente non seguirà l’esempio europeo. I venditori nordirlandesi potranno perciò optare per qualsiasi delle due modalità. I contorni e le modalità di implementazione di questa seconda modifica al “protocollo”, così come della prima, non sono ad ogni modo ancora stati chiariti dal governo britannico.

Due ulteriori ambiti nei quali le cose cambierebbero sono quelli del fisco e dei sussidi statali. I vincoli e le limitazioni previste dall’UE potrebbero essere cancellate dall’intervento del governo di Londra. La Corte di Giustizia Europea, infine, non sarebbe più l’organo deputato a risolvere le dispute tra Londra e Bruxelles attorno all’interpretazione del “protocollo nordirlandese”. A farlo dovrebbe essere invece un non meglio definito “arbitrato indipendente”, con il coinvolgimento di entrambe le parti. Quest’ultima questione aveva incontrato particolare opposizione da parte europea, poiché l’UE ritiene che il ruolo della Corte sia fondamentale per la salvaguardia del mercato unico.

L’introduzione della proposta di legge sulla modifica unilaterale al “protocollo” è stata accolta dunque con reazioni molto negative nell’ambito UE. Il primo ministro irlandese, Micheál Martin, ha ad esempio definito “deplorevole” per un paese come il Regno Unito ripudiare un trattato internazionale. In linea di massima, i leader europei avevano più volte avvertito il governo Johnson che non ci sarebbero state concessioni sul “protocollo” se Londra avesse deciso di muoversi autonomamente.

Il responsabile UE per i rapporti con Londra sulla Brexit, Maros Sefcovic, ha a sua volta minacciato la riesumazione di una procedura d’infrazione aperta nel marzo del 2021 per altre violazioni del “protocollo” e poi sospesa il successivo mese di settembre. Nella peggiore delle ipotesi, la contesa rischia di esplodere in una guerra doganale tra Regno Unito ed Europa, anche se lo scambio di minacce di questi giorni sembra per il momento annunciare soltanto un riposizionamento reciproco in vista di una possibile riapertura delle trattative sullo stesso “protocollo nordirlandese”. Una risposta ufficiale da parte europea all’iniziativa britannica dovrebbe arrivare nella giornata di mercoledì.

L’approvazione al parlamento di Londra della bozza di legge è comunque tutt’altro che certa. La maggior parte dei deputati conservatori, quasi la metà dei quali ha appena votato per la rimozione di Boris Johnson, sembra essere in attesa di maggiori dettagli per esprimere la propria posizione. L’ala più radicale del partito ritiene invece troppo moderata la proposta di modifica del “protocollo” nei termini ipotizzati dal governo, mentre altri ancora non sono disposti ad appoggiare quella che ritengono una violazione del diritto internazionale. A questo proposito, è lo stesso governo ad avere agito in maniera contraddittoria, offrendo un assist ai suoi critici. Per la prima volta, l’esecutivo ha ammesso che la proposta di legge sulla modifica del “protocollo” andrebbe contro il diritto internazionale, ma ciò si rende necessario per via della “situazione eccezionale” dell’Irlanda del Nord.

Più o meno generalizzato è inoltre il timore che il precipitare dello scontro con Bruxelles sulle questioni doganali precluda la stipula di un trattato di libero scambio con gli Stati Uniti. Proprio la posizione del governo americano sarà da valutare con attenzione, non solo per le prospettive dell’accordo doganale con Londra. Da Washington sono arrivati finora quasi esclusivamente inviti alla cautela al governo Johnson. La soluzione preferita dall’amministrazione Biden resta infatti il negoziato con Bruxelles e la salvaguardia degli accordi del “Venerdì Santo” per evitare una destabilizzazione dell’Irlanda del Nord o della stessa repubblica d’Irlanda.

Le pressioni americane avranno verosimilmente un peso nell’evoluzione delle vicende legate al “protocollo” e il sostanziale appoggio all’UE minaccia ulteriori grattacapi per Downing Street. Dal punto di vista di Washington, in ogni caso, la questione decisiva è il mantenimento di un clima disteso tra Londra e Bruxelles. Dopo il relativo compattamento dell’Europa, ottenuto grazie al trascinamento della Russia nella guerra ucraina, col conseguente ancoraggio della struttura della sicurezza europea alla NATO e la futura possibile dipendenza dal gas e petrolio americano, l’ultima cosa che gli USA desiderano è l’esplosione di un conflitto tra alleati che possa scatenare impreviste forze centrifughe nel vecchio continente.

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