Con il ritorno della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti di Washington, è probabile che nei prossimi mesi verrà definitivamente chiusa l’indagine in corso sull’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021 da parte di sostenitori dell’allora presidente uscente Trump. L’archiviazione con un nulla di fatto dei lavori della speciale commissione della Camera, composta quasi interamente da esponenti del Partito Democratico, potrebbe alla fine accontentare tutti, soprattutto in considerazione di un aspetto che sta emergendo anche a livello pubblico nelle ultime settimane, ovvero le prove della possibile complicità di elementi interni all’apparato della sicurezza degli Stati Uniti.

 

La questione più delicata dell’intera vicenda sembra essere quella degli informatori che l’FBI controllava tra le file delle organizzazioni di estrema destra che hanno guidato l’attacco all’edificio che ospita il Congresso. Basandosi su fonti processuali nel quadro dell’incriminazione di alcuni partecipanti all’attacco, il New York Times e altri giornali americani hanno confermato qualche giorno fa come la polizia federale avesse propri uomini dentro ai gruppi più noti, cioè i cosiddetti “Oath Keepers” e “Proud Boys”.

Almeno otto informatori si contavano tra questi ultimi, cinque dei quali andranno a processo il prossimo mese di dicembre per il loro coinvolgimento nei fatti. Uno di essi è l’ex leader, Henry “Enrique” Tarrio, i cui legami con l’FBI si conoscevano da tempo, mentre gli altri sono Joseph Biggs, Ethan Nordean, Zachary Rehl e Dominic Pezzola.

Inedita è inoltre la notizia che anche l’ex vice-presidente degli “Oath Keepers”, il 40enne Greg McWhirter, era un informatore dell’FBI da prima del 6 gennaio 2021. McWhirter ha ricoperto l’incarico di vice-sceriffo nell’Indiana e in Montana ed è proprietario in quest’ultimo stato di un negozio e centro di addestramento di armi da fuoco. Subito dopo la pubblicazione sul Times, la notizia è stata confermata dai procuratori del dipartimento di Giustizia. McWhirter sarebbe stato invece colpito da un attacco cardiaco lo stesso giorno, mentre si stava imbarcando su un volo diretto a Washington, dove era stato chiamato a testimoniare dai legali del fondatore degli “Oath Keepers”, Stewart Rhodes, sotto processo per “sedizione”.

Anche per lo stesso Rhodes e altri membri della milizia di estrema destra sono stati documentati legami con organi dello stato, in questo caso con il Servizio Segreto USA, che si occupa prevalentemente della sicurezza dei presidenti degli Stati Uniti. In merito invece all’FBI, McWhirter è almeno il secondo informatore tra gli appartenenti agli “Oath Keepers” la cui identità è diventata di dominio pubblico.

L’altro è il leader della sezione dello stato del West Virginia, l’ex “Marine” Abdullah Rasheed. Lo scorso ottobre, Rasheed aveva rilasciato una testimonianza clamorosa. Dopo essere venuto a conoscenza poco dopo le elezioni presidenziali del 2020 di un complotto, organizzato da Rhodes, per rovesciare il governo federale, ne aveva immediatamente informato l’FBI, fornendo al “Bureau” anche la registrazione della riunione on-line in cui era stato discusso questo progetto. Il dipartimento di Giustizia non aveva però mosso un dito per interrogare Rasheed. Un incontro con l’FBI sarebbe avvenuto solo a marzo 2021, dopo che Rasheed aveva inviato per la seconda volta agli agenti federali il file dell’incontro virtuale degli “Oath Keepers”.

La questione degli informatori negli ambienti dell’estrema destra trumpiana eversiva è evidentemente molto delicata, in quanto solleva l’interrogativo del ruolo – attivo o passivo – che possono avere svolto agenzie dello stato, come appunto l’FBI, o singoli funzionari appartenenti a esse nei fatti del 6 gennaio 2021. Queste implicazioni si possono dedurre anche dall’estrema segretezza con cui le informazioni sui militanti collegati all’FBI vengono trattate dai tribunali dove sono in corso i processi. Gli avvocati della difesa hanno recentemente sostenuto che il governo ha tenuto segrete per molto tempo centinaia di pagine di documenti che avrebbero potuto alleggerire la posizione dei loro assistiti, perché appunto impegnati a collaborare con l’FBI nelle settimane successive al voto di novembre 2020.

Secondo i sostenitori dell’ex presidente, il proliferare di informatori della polizia federale nelle milizie come i “Proud Boys” e gli “Oath Keepers” confermerebbe la tesi del complotto contro Trump. In altre parole, l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021 o, quanto meno, gli episodi violenti accaduti in quell’occasione avrebbero fatto parte di un’operazione organizzata dall’interno dello stato per colpire lo stesso Trump, verosimilmente al fine di consegnarlo alla giustizia e distruggerne la carriera politica.

Al di là delle ricostruzioni più o meno cospirazioniste, restano moltissimi i punti oscuri della vicenda, a cominciare appunto dal fatto che i preparativi per la mobilitazione, che puntava a impedire la certificazione della vittoria nelle presidenziali di Joe Biden, erano noti da molte settimane alle autorità, soprattutto all’FBI, e nulla fu fatto per ostacolarli. Sempre secondo quanto riportato dal New York Times, un informatore dei “Proud Boys” si sarebbe incontrato con il suo agente dell’FBI di riferimento la mattina del 6 gennaio 2021 e gli avrebbe inviato messaggi di testo in tempo reale durante l’irruzione dei rivoltosi a Capitol Hill.

A questo proposito, vanno ricordati altri elementi emersi in seguito all’assalto. Forse il più sconcertante è il silenzio di oltre tre ore del dipartimento della Difesa durante l’attacco al Campidoglio nonostante le richieste di inviare rinforzi per sedare la rivolta. Solo tardivamente, quasi di certo dopo trattative o veri e propri scontri interni al governo uscente, sarebbe stato dato il via libera al dispiegamento di uomini della Guardia Nazionale per stabilizzare la situazione al Congresso.

Questi aspetti della vicenda sono stati appena sfiorati dalle indagini della speciale commissione d’indagine della Camera dei Rappresentanti. La strategia del Partito Democratico e della Casa Bianca continua a basarsi sulla tesi della responsabilità nei fatti del gennaio 2021 del solo Tump o, al massimo, del suo entourage più stretto.

Questo modus operandi dei deputati/investigatori risponde a esigenze ben precise. In primo luogo serve a preservare la credibilità del Partito Repubblicano come caposaldo di un sistema ultra-screditato agli occhi della maggioranza degli americani. Inoltre, il coinvolgimento di organi della sicurezza nazionale nelle trame eversive seguite alle elezioni del 2020 o, prestando credito alle tesi “cospirazioniste”, nell’organizzazione di una finta rivolta per attribuirne la responsabilità a Trump, produrrebbe delle scosse gravissime negli equilibri consolidati del potere americano.

In sostanza, la messa in discussione di quei settori militari e dell’intelligence che potrebbero avere preso parte al tentato golpe rischierebbe di scardinare il legame inscindibile con la politica, col risultato di distogliere l’attenzione dagli obiettivi condivisi da tutta la classe dirigente americana, come l’offensiva diretta contro Russia e Cina. Per queste ragioni, è possibile che anche la Casa Bianca e i vertici del Partito Democratico, al di là delle apparenze, vedano tutto sommato con favore la chiusura definitiva delle indagini proprio mentre si stanno per aprire le prime crepe sulla questione delle responsabilità nei fatti del 6 gennaio al di fuori della cerchia di Donald Trump.

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