La notizia del ritrovamento di documenti riservati in un paio di uffici occupati nel recente passato dal presidente americano Biden ha gettato benzina sul fuoco dello scontro politico in corso a Washington. Il materiale classificato risale al periodo in cui l’attuale inquilino della Casa Bianca ricopriva l’incarico di vice-presidente. La vicenda ricorda da vicino quella in cui è invischiato Donald Trump, anche se le circostanze appaiono in parte diverse. Il Partito Repubblicano ha comunque già chiesto e ottenuto la nomina di un procuratore speciale per indagare sui fatti, esattamente come è avvenuto con lo stesso Trump.

 

Una prima tranche di documenti era stata rinvenuta ai primi di novembre dagli avvocati personali di Biden durante lo svuotamento di un ufficio di Washington del “Penn Biden Center for Diplomacy and Global Engagement” dell’Università della Pennsylvania, dove l’attuale presidente aveva insegnato tra il 2017 e il 2020. La notizia era stata data in esclusiva dalla CBS News, che spiegava come i legali di Biden avessero tempestivamente notificato il ritrovamento agli Archivi Nazionali e si fossero messi a disposizione del dipartimento di Giustizia.

Il presidente si trovava in Messico al momento della diffusione della notizia e, da parte sua, si è detto sorpreso dell’accaduto, sostenendo di non avere idea di come i documenti riservati fossero finiti nell’ufficio messo a sua disposizione. Già queste circostanze hanno infiammato i repubblicani, soprattutto l’ala ultra-conservatrice che fa capo a Trump. Sia l’ex presidente sia i suoi sostenitori si sono scagliati contro Biden accusandolo di ipocrisia, viste le accuse pubbliche rivolte a Trump dopo che l’FBI nei mesi scorsi aveva sequestrato centinaia di documenti riservati nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida.

Le acque sono diventate ancora più agitate martedì, quando la CNN ha parlato di un secondo blocco di documenti riservati dei tempi della vice-presidenza in un'altra località collegata a Biden. Il contenuto del materiale reperito non è ancora chiaro, ma secondo lo stesso network avrebbe a che fare con alcuni paesi stranieri, come Iran, Ucraina e Regno Unito.

Il ministro della Giustizia, Merrick Garland, ha ricevuto un rapporto dettagliato sui fatti e ha assegnato al procuratore federale di Chicago John Lausch, nominato a suo tempo da Trump, il compito di prendere in carico l’indagine sui documenti. Per i repubblicani questa iniziativa non sarebbe però abbastanza e in molti hanno chiesto appunto un provvedimento di più ampia portata che metta di fatto al centro anche del dibattito politico il caso che coinvolge il presidente democratico.

Giovedì è così arrivato l’annuncio di Garland della nomina di un cosiddetto “special counsel” per fare luce sulla gestione dei documenti riservati da parte di Biden durante il mandato di Obama. La scelta è ricaduta sull’ex procuratore Robert Hur, a cui il ministro della Giustizia ha chiesto di agire “con urgenza”, anche perché sempre giovedì è arrivata la notizia di un terzo ritrovamento di documenti “top secret”, questa volta in una delle abitazioni del presidente Biden nello stato del Delaware.

La vicenda rappresenta chiaramente un’occasione per allentare le pressioni su Trump, come già anticipato anch’egli sotto indagine per avere trattenuto documenti riservati dopo l’addio alla Casa Bianca. L’ex presidente si era difeso sostenendo che il materiale in questione era stato da lui “declassificato” prima della scadenza del mandato e che non era quindi più da considerare come riservato. Di questa decisione non sembra esserci tuttavia traccia. Va detto inoltre che Trump e i suoi legali avevano mentito sui documenti e si erano in un primo momento rifiutati di consegnarli all’FBI. Trump, infine, dopo un primo sequestro aveva assicurato di non detenere altro materiale classificato, ma in seguito è emerso che un altro centinaio di documenti si trovava ancora nella sua residenza.

Biden sembra invece avere rispettato scrupolosamente la procedura prevista in questi casi, anche se il fatto rappresenta comunque un atto illegale di una certa gravità. Il caso avrà con ogni probabilità ripercussioni politiche sull’amministrazione democratica, soprattutto in presenza di un’agguerrita maggioranza repubblicana alla Camera del Congresso di Washington che già aveva promesso di aprire indagini in vari ambiti su Joe Biden e la sua famiglia.

Anche senza sconfinare nel complottismo, qualcuno nel Partito Democratico potrebbe alla fine vedere di buon grado l’indagine sui documenti riservati, come dimostra forse la tempestività con cui il ministro della Giustizia Garland ha acconsentito alle richieste di nominare un procuratore speciale che si occupi dell’indagine. I contraccolpi che si prevedono potrebbero infatti spingere Biden a rinunciare alla ricandidatura nel 2024, ipotesi che in molti tra i democratici considerano come un rischio eccessivo per il partito, vista l’impopolarità del presidente, nonché la sua età e il suo stato di salute.

Non sono da escludere ad ogni modo ulteriori sviluppi e rivelazioni, ma fin da ora ci sono almeno due aspetti da rilevare e a cui la stampa ufficiale non ha dato in pratica nessuno spazio. A farlo è stato invece Edward Snowden dal suo account Twitter. L’ex “contractor” della CIA, ora in esilio a Mosca, ha fatto notare come il primo ritrovamento dei documenti fosse avvenuto il 2 novembre scorso, ma la notizia è diventata di dominio pubblico solo questa settimana. La circostanza non può essere casuale, visto che l’8 novembre erano in programma le elezioni di “metà mandato”, che Biden e i democratici affrontavano con il timore di incassare una pesantissima sconfitta.

Snowden ha ricordato inoltre che è pratica comune per ex presidenti, ex membri del governo o ex alti ufficiali ed ex esponenti di vertice dell’intelligence USA conservare o trafugare documenti riservati una volta terminati i loro incarichi. Biden è dunque in buona compagnia e, come quelli che lo hanno preceduto in questa pratica, non subirà quasi certamente nessuna conseguenza legale.

Al contrario, ricorda ancora Snowden, la giustizia americana ha sempre agito con la mano pesante quando a macchiarsi di questi “reati” sono stati funzionari di medio o basso livello, come appunto nel suo caso. In un “tweet”, Snowden ha citato la vicenda della giovane ex agente della NSA Reality Winner, condannata a cinque anni e tre mesi di carcere per avere passato alla testata on-line The Intercept un singolo rapporto di intelligence sulle inesistenti interferenze russe nelle elezioni presidenziali americane del 2016.

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