di Laura Bruzzaniti

Riso. Il tesoro dell’Asia, cibo principale per milioni di persone e simbolo dell’Asian way of life, è oggi in pericolo. Un’intera cultura contadina, fatta di coltivazioni tradizionali e semi tramandati di generazione in generazione, rischia di estinguersi in India come nelle Filippine o in Malesia. Per portare l’attenzione sul problema, le associazioni e organizzazioni non governative di tredici stati asiatici hanno indetto la Week of Rice Action – Settimana di Azione per il Riso: sette giorni dedicati al riso, dal 29 marzo al 4 aprile, con iniziative diverse per parlare di quello che sta accadendo alla coltivazione del riso in Asia. Inaugurata in Bangladesh con un evento a cui hanno preso parte molte delle comunità di agricoltori locali, la Settimana del Riso si è svolta anche in India, Pakistan, Corea, Nepal, Malesia, Filippine con seminari, dimostrazioni e feste. Il tema principale è che il riso asiatico è in pericolo e va difeso. Ma difeso da chi? Il nemico numero uno sono le multinazionali dell’agro-business che, appoggiate dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO), si vanno appropriando della produzione del riso sottraendola al controllo delle comunità di contadini locali. “Attraverso gli accordi commerciali e di protezione dei diritti di proprietà intellettuale, il controllo sui semi del riso passa dalle mani dei contadini a quello delle multinazionali (..) rendendo i Paesi dell’Asia più dipendenti dalle importazioni, mettendo a rischio la sovranità alimentare e la biodiversità”, si legge nella Petizione per la salvaguardia del riso, promossa dall’organizzazione PAN AP ( Pesticide Action Network-Asia and the Pacific) e già firmata da un milione di persone.

Qualche dato per capire la portata del problema: il numero dei coltivatori di riso diminuisce in tutta l’Asia (in Malesia sono passati da quasi 300.000 nel 1999 a poco più di 155.000 nel 2005 - dati riportati dalla "Federation of Malaysian Consumers Association"). Paesi tradizionalmente esportatori di riso come le Filippine sono oggi costretti ad importare, e delle oltre 4.000 varietà di riso presenti nel Punjab fino ad alcuni decenni fa ne rimangono ormai solo cinque.
Oltre alle multinazionali e all’Organizzazione mondiale del commercio, l’altro grande responsabile della distruzione della cultura del riso additato dai firmatari della petizione è l’Istituto Internazionale per la Ricerca sul Riso (International Rice Research Institute).

Fu proprio l’IRRI ad introdurre, negli anni ‘60 la “rivoluzione verde”in Asia, basata sulla diffusione di particolari varietà di riso ad alta resa che si diceva avrebbero aumentato la produzione e risolto il problema fame. Dopo i successi dei primi anni, adesso l’introduzione di queste varietà ha di fatto diminuito la resa delle coltivazioni, oltre a rendere necessario l’uso massiccio di pesticidi e fertilizzanti, rovinando interi ecosistemi, e minando la sicurezza alimentare del riso.

Per i firmatari della petizione l’Istituto, che dovrebbe proteggere gli interessi dei contadini, in realtà fa gli interessi delle multinazionali e dei Paesi occidentali.
Pesticidi che aumentano, multinazionali aggressive e varietà di riso che scompaiono. Come se questo non bastasse, dietro l’angolo c’è il pericolo del riso OGM, che già viene coltivato sperimentalmente in alcune zone dell’Asia, con relativo pericolo di contaminazione per le coltivazioni circostanti, e la cui coltivazione potrebbe essere autorizzata a breve in alcuni Stati asiatici ( Cina).
Oltre alle organizzazioni non governative, anche alcuni governi hanno dato il proprio supporto alla Settimana del riso. “In Pakistan il Department of Adaptive Research è stato coinvolto nell’organizzazione dei seminari e ha promesso di aiutare i contadini, in Nepal ottanta membri del Parlamento hanno firmato la Petizione per la salvaguardia del riso, mentre in Malesia verranno condotti a Kuala Lumpur due seminari sulla cultura del riso, patrocinati dal Ministero del Commercio e dei Consumatori” spiega ad Altrenotizie.org Anne Haslam di PAN AP.

Nessun supporto all’iniziativa è arrivato però dal governo dello stato indiano del West Bengala, dove si concluderà la Settimana del riso. È proprio nel West Bengala che lo scontro tra gli interessi dei contadini e quello delle multinazionali si è fatto evidente. “La terra dove si coltiva il riso viene convertita in terra per coltivare fiori, biocombustibili, gamberetti, mangimi, o per parchi divertimento” si legge nella Petizione e nel West Bengala gli esempi non mancano: a Nandigram il governo sta tentando di cacciare dalla terra 100.000 contadini per far posto ad un impianto chimico dell’indonesiano Salim Group. Nel corso delle proteste e degli scontri con la polizia il mese scorso quindici contadini sono stati uccisi e settanta sono rimasti feriti.

Simile la situazione a Singur, dove i coltivatori di riso sono stati mandati via per fare spazio ad una fabbrica di automobili (TATA). Le fabbriche che dovrebbero sorgere fanno parte di Accordi di sviluppo stipulati da governi e multinazionali. Ma per chi non ha acqua, lavoro, accesso alle cure mediche e non sa fare altro che coltivare la terra, una fabbrica di automobili non significa sviluppo.

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