È un paese, l'Honduras, dove si uccide per occultare soprusi e violenze lunghe secoli. Dove si uccide per nascondere la verità. L'assassinio di Berta Cáceres, nella notte tra il due e il tre marzo del 2016, avviene dopo un crescendo di minacce e intimidazioni. Da parte di chi? Di uno Stato diretta filiazione del golpe del 2009. Estromesso, e costretto all'esilio, Manuel Zelaya, che aveva consentito l'ingresso dell'Honduras nell'ALBA, il paese rientra nell'orbita di controllo degli Stati Uniti.

 

Al colpo di stato del 29 giugno del 2009 infatti, è ampiamente documentata la partecipazione attiva di Hilary Clinton, all'epoca Segretario di Stato.

 

L'allontanamento, sancito con un referendum, dagli interessi di Washington, scatena quindi la voracità del potente vicino e quella degli eterni esecutori interni. Banchieri, latifondisti, le solite aristocrazie, insomma tutto l'ordinamento socio-economico che da sempre tiene le redini di un paese eternamente condannato alla povertà, riprende violentemente il controllo.

 

L'ondata repressiva seguita al golpe lascia morti e atrocità, nelle città come nelle campagne. Non si sono ravvisate voci di indignazione e protesta nei tempi sacri della informazione, che invece si sollevano con sorprendente prontezza quando si tratta di alimentare e sostenere campagne di diffamazione nei confronti del Venezuela della Bolivia o del Nicaragua, solo per citarne alcune.

 

In ogni caso, il tentativo di arginare la svendita di risorse umane e naturali del paese ai grandi trattati commerciali, come avvenuto in tante altre realtà del sub-continente, viene frustrato con il sangue. Il Plan Puebla Panama, permette la privatizzazione dei fiumi per la costruzione di dighe.

 

Grandi opere che fanno la felicità delle imprese che le realizzano, che nessun beneficio però portano alla popolazione. Nello specifico, violano l'equilibrio naturale di intere zone nelle quali da secoli risiedono comunità che di quelle ricchezze naturali si nutrono. E che curano e conservano. Un attacco dunque, sferrato alla biodiversità per soddisfare la insaziabilità del capitalismo. Una storia vecchia come la umanità, che in questo angolo di pianeta si ripropone in forma di tragedia.

La comunità Lenca si oppone da subito alla ennesima espropriazione e all'ennesimo saccheggio da parte di multinazionali che nulla hanno a che vedere con lo sviluppo, ma molto con il profitto.

 

Nasce il COPINH - Consejo Cívico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras; Berta ne diventa militante e ben presto leader riconosciuta. “Noi siamo discendenti dei popoli indigeni che hanno compiuto la più grande resistenza alla conquista. Questo non è mai stato riconosciuto, mai compreso, neppure dalla sinistra. L’imperialismo e la destra non si riposano. Li abbiamo sopravalutati e siamo rimasti come in letargo. Nella crisi generale del capitalismo, loro hanno bisogno delle nostre risorse, la biodiversità, il petrolio, la nostra cultura, i nostri saperi ancestrali. Perciò non rinunceranno. Ed è questo il tempo in cui il movimento sociale di sinistra, antimperialista, deve consolidare e rafforzare il suo processo di emancipazione. Deve essere una risposta non solo locale o regionale, ma internazionale, globale, contro il capitalismo”. Questo diceva Berta, questo gli valse nel 2015 il Golden Environmental Prize, considerato un Nobel dell'ambientalismo. Per questo, Berta fu assassinata.

 

La sua lotta contro il patriarcato, il colonialismo, il capitalismo, ha messo a dura prova la sua stessa esistenza, fino alle conseguenze più estreme. Il patto di ferro tra lo stato golpista e la DESA, l'impresa designata per la realizzazione delle dighe, ha perseguitato Berta e il COPINH per seminare morte e paura; per far desistere la popolazione da qualsiasi anelito di resistenza. E lo fa tuttora, a tre anni dall'omicidio, lasciando sostanzialmente impuniti i mandanti e gli autori materiali del delitto.

 

“Giustizia per Berta” non è dunque solo uno slogan, un lema per non dimenticare, per combattere l'oblio, questa malattia letale in America Latina come in tutto il pianeta. È un impegno costante per ristabilire in Honduras, ma dall'estrinseco valore universale, imprescindibili principi di democrazia. E lo è ora più che mai, in questi complicati tempi in cui tornano a tuonare i tamburi di guerra e a far mostra  di muscoli per preparare un'aggressione, alle porte di paesi poco graditi alle oligarchie occidentali. Sembrano cronache del secolo passato, eppure raccontano questi nostri giorni. Berta ne è la drammatica testimonianza.

 

I suoi assassini l'hanno sorpresa nel sonno, violentando la sua indifesa intimità come solo la bestia fascista è capace di fare. Avrà avuto il tempo di stampare i suoi occhi negli occhi di chi nella maniera più vile avrebbe messo fine alla sua vita.

 

Per quanto sia stata una esecuzione, e condotta quindi con tutti i “crismi” che una operazione simile richiede, è la paura che ha fatto premere il grilletto.

La paura di trovarsi davanti una donna disarmata che con la sola forza delle parole, dei gesti esemplari, rendeva disarmante la bieca pratica della sopraffazione. L'avrà guardato fisso negli occhi per raccontargli in una frazione di secondo l'atroce inutilità di quel gesto. Come se uccidere e assassinare a sangue freddo fosse una prova di impareggiabile coraggio.

 

Berta, è molto più di un'idea, di un esempio. È molto più di un cuore che smette di battere. È un fiume che scorre tra le montagne, è la montagna che lo accompagna tra le valli sacre che la bestialità del profitto vorrebbe stuprare per insediarcisi con tutto il suo carico di morte e devastazione. È la dignità che prende parola.

Ed è un fiume in piena, proprio come quello che avrebbero voluto distruggere con una sproposito di dighe. E che lei ha tanto strenuamente difeso, fino all'ultimo respiro. L'avevano minacciata di morte più e più volte, per aver commesso l'atroce delitto di denunciare i padroni del vapore. Per aver commesso l'atroce delitto di aver preso la vita sul serio, come Leonel Rugama, crivellato di colpi dalla Guardia Nacional somozista nel Nicaragua della insurrezione sandinista.

 

Gli squadroni della morte non conoscono latitudini e congiunture storiche. Attraversano impunemente qualsiasi società e qualsiasi giusta causa. Svolgono diligentemente il loro lavoro grazie alla compiacenza di governi mascherati da democrazia e al disinteresse dei cosiddetti mezzi d'informazione. Il loro disinteresse però non impiega molto a tramutarsi in complicità. E più precisamente in quella comoda complicità che rende comodi le vite di chi trova conforto nel volgere lo sguardo sempre dall'altra parte. Dove regna il soporifero piacere di trovare nelle disperazioni altrui il proprio benessere.

 

 

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