“L’allargamento a est della Nato è il peccato originale che ha alimentato una tensione crescente tra Russia e Occidente, fino alla guerra in Ucraina? È una questione controversa e non così scontata come viene raccontata”. Marco Carnelos, ex consigliere dei presidenti Prodi e Berlusconi, ex ambasciatore in Iraq ed ex inviato speciale per la Siria, affida a Dagospia le sue considerazioni sulla guerra In Ucraina.

L’Occidente promise alla Russia di non allargare la Nato a est?

Alcune promesse verbali furono fatte. Ci sono anche alcuni documenti, prodotti da riunioni di alto livello, in cui si evidenzia come l’assunzione che c’era in quel momento storico fosse che la Nato non sarebbe andata oltre il confine della Germania, riunificata a ottobre 1990. 

Chi si intestò questa rassicurazione?

L’allora Segretario di stato americano, James Baker. La sua promessa fu: “Not one inch eastward”, ovvero “non un centimetro più a est”. Dopodiché la storia è evoluta. Il Patto di Varsavia, l’alleanza militare che si contrapponeva alla Nato, nel 1991 s’è sciolto. Da quel momento Putin ha fatto presente in più di un’occasione: “Ma senza il Patto di Varsavia contro chi allargate a est la Nato?”.

Putin vuole ricreare una Grande Russia sul modello imperiale o sovietico?

Putin ha vissuto in Germania est nel 1989 e non sappiamo quanto il crollo del suo mondo abbia inciso psicologicamente su di lui. Nessuno può sapere se effettivamente la fine dell’Urss lo abbia segnato. Lo sa il suo analista, ammesso ne frequenti uno. 

L’ambasciatore Massolo è convinto che a muovere Putin sia la voglia di rivincita, il bisogno di vendicare i torti che lui crede che la Russia abbia subìto…

Lo dice perché da capo dell’Intelligence ha avuto dei resoconti specifici in tal senso o è una semplice speculazione, come la fanno tanti? Io non credo che Putin sia pazzo. Le sue prese di posizione pubbliche mi sembrano coerenti, benché a tratti inaccettabili. Denotava problemi psichiatrici più seri Donald Trump, se vogliamo…

In Occidete fa comodo pensare che Putin abbia perso il senno per non dover riconoscere le sue ragioni?

È un tipico atteggiamento occidentale: chi non la pensa in un determinato modo, o ha altre categorie mentali, viene marchiato. “L’eccezionalismo americano” non contempla una diversità. È un riflesso culturale, che manca di “empatia cognitiva”: l’incapacità di mettersi nei panni degli altri. E poi ci sono schematismi tipicamente occidentali, fondati su valori diversi: “Quello è un dittatore”, “in quel paese manca la libertà”, o cose del genere.

Saranno anche assunzioni veritiere ma vanno contestualizzate, inserite in un disegno storico più ampio. Ad esempio, è difficile comprendere l’autocrazia di Putin se non si considera che la Russia non ha praticamente mai conosciuto la democrazia. La norma nella cultura politica russa è l’autoritarismo. Ma se guardiamo gli ultimi vent’anni anche noi in Occidente abbiamo qualche problema con l’esercizio della forza e la gestione del dissenso. Basti pensare a come sono stati talvolta repressi i “gilet gialli” in Francia. La brutalità, spesso gratuita, della polizia americana, sovente in assetto anti-sommossa, è documentata dai migliaia di fatti di cronaca. La complessità del mondo non può essere ricondotta a uno schema mentale binario e manicheo di buoni-cattivi. 

Vale anche nel caso della guerra all’Ucraina?

La vicenda Ucraina non si può ridurre alle vicende iniziate il 24 febbraio 2022. Bisogna tornare al 3 ottobre 1990, giorno della riunificazione della Germania, e provare a capire come si sono sviluppati gli eventi da allora. In Italia chi opera i distinguo, provando a capire la realtà, anche nelle sue pieghe meno rassicuranti, viene troppo sommariamente etichettato come “putiniano”. È assurdo.

Partendo dal 1990, allora, quali eventi hanno portato all’attacco all’Ucraina?

Ci sono state azioni e omissioni da parte dell’Occidente, affiancate da responsabilità anche russe beninteso, che hanno alimentato le incomprensioni. Se si fosse provato a intavolare un dialogo serio non sarebbe mai scoppiato questo conflitto.

Quali sono le omissioni dell’Occidente?

Non voler capire che l’allargamento a est della Nato creava un problema alla Russia.

Per vent’anni, dal 2001, il paradigma di sicurezza americano si è basato nel contrasto al terrorismo islamico. L’ascesa della Cina e quella della Russia da un punto di vista militare hanno riorientato il dibattito strategico americano. A Washington si è preso atto che nuovi attori stavano minacciando la centralità statunitense: stava ripartendo una competizione tra grandi potenze. E queste grandi potenze, è evidente, si muovono per far valere i loro interessi sullo scacchiere internazionale. 

Vale per gli Stati Uniti ma anche per Russia e Cina…

Certo. Pechino ha mostrato le sue “linee rosse”, da cui non intende indietreggiare (Taiwan, Hong Kong, lo Xinjiang), Mosca aveva i suoi imperativi: no all’allargamento della Nato a est e in particolare all’Ucraina. E per una ragione, anche storica: tutte le invasioni della Russia sono passate dall’Ucraina, da Napoleone a Hitler. Quel paese è una porta d’ingresso.

Sta dicendo che verso i russi l’Occidente si è comportato da “Marchese del Grillo”: io so’ io e voi…

Per quanto questo accostamento strida con la semantica propria della diplomazia debbo riconoscere che è corretto. Washington poteva farlo nel 1991 con la Russia a pezzi e la Cina che non aveva consolidato la sua forza economica e tecnologica. Ma dal 2012 le cose sono iniziate a cambiare. Pechino è cresciuta esponenzialmente e Mosca ha mostrato la sua insofferenza dopo il primo allargamento della Nato a est nel 1999. Eltsin comunicò a Clinton, vero responsabile del progetto, la sua contrarietà e fu ignorato. L’allargamento fu fatto senza alcuna ragione perché la Russia non minacciava più nessuno! Sì, era scoppiata la guerra in Cecenia ma abbiamo visto contro chi si combatteva: un gruppo di integralisti islamici che a Mosca hanno fatto saltare interi palazzi. 

La Russia ha reso nota la propria frustrazione?

Altroché! Il 10 febbraio 2007 alla conferenza della sicurezza di Monaco Putin tenne un discorso durissimo, mostrando chiaramente la sua insofferenza verso gli allargamenti a est della Nato ma promettendo opposizione durissima agli allora ventilati ingressi di Ucraina e Georgia. Reiterò questa posizione al Vertice NATO di Bucarest dell’Aprile del 2008 dove potei constatare personalmente il suo livore. Per gli occidentali non si può limitare la sovranità degli stati imponendo loro di non entrare in un’alleanza. Bisognerebbe però prima spiegare l’alleanza Nato contro chi agisce. E poi esiste la realpolitik: prima della sovranità degli stati, talvolta, esiste l’inevitabile stabilità del sistema internazionale. 

Cosa intende dire?

Ospite a “DiMartedì” Alessandro Di Battista ha provocato i suoi interlocutori dicendo: “Ma se domani il Messico, magari con un presidente filo-cinese, decidesse di installare sul suo territorio dei missili della Cina, gli americani cosa farebbero? Glielo permetterebbero?”. Nessuno ha risposto.

Nel 1959 Cuba era diventata comunista dopo la rivoluzione con cui Fidel Castro aveva deposto Batista. Gli americani provarono a contrastarlo e non ci riuscirono. Fallirono innumerevoli tentativi di avvelenarlo. Nel 1961 andò male l’assalto alla Baia dei porci, organizzato dagli americani. Fino a quando nel 1962 Castro chiese aiuto all’Unione Sovietica. Decise di installare missili nucleari sul territorio cubano, gli americani reagirono con il blocco navale, minacciando la guerra nucleare, e a quel punto le navi sovietiche tornarono indietro.

E quindi?

La narrativa storica su questa vicenda, dal 1962 al 2012, è stata: Kennedy eroico ha sconfitto i sovietici. La realtà storica è diversa. Sì, i russi hanno fatto dietrofront e non hanno installato i missili. Ma ci fu un accordo segreto che obbligò gli americani a togliere i loro missili nucleari dalla Turchia, che allora confinava con l’Unione sovietica. Se guardiamo quella crisi, così come è stata raccontata, hanno vinto gli americani. Invece furono costretti a due concessioni: togliere i missili dal territorio turco e impegnarsi a non invadere Cuba. Ai sovietici bastò restare fermi, cioè non piazzare postazioni missilistiche all’Avana. 

Nel 2012, Leslie Gelb, il presidente emerito del “Council of foreign relations”, il sancta sanctorum dei think tank americani, scrisse un articolo su Foreign Policy in cui disse: “E’ ora che sfatiamo il mito della crisi dei missili a Cuba”.

Sta dicendo che ognuno racconta la storia come vuole?

Pensi alla crisi di Monaco del 1938, quando Francia e Germania, per cercare di salvare la pace, siglarono un accordo con Hitler cedendogli la regione cecoslovacca dei Sudeti. Daladier e Chamberlain passarono per imbelli, incapaci di reagire alle pretese tedesche. Invece molti non sanno che la Gran Bretagna, nel ’38, non era pronta alla guerra contro la Germania.

Quell’accordo diede a Londra un ulteriore anno di tempo per armarsi, soprattutto con la costruzione di aeroplani, che le permise nel 1940 di vincere la battaglia d’Inghilterra sopra i cieli della Manica. La storia della Seconda guerra mondiale è cambiata nella primavera- estate del ’40 e leggendo i libri di Andreas Hillgruber, grande storico tedesco di quel periodo, si capisce che Hitler dopo la sconfitta nella battaglia d’Inghilterra era già convinto che la guerra fosse in qualche modo perduta. Quindi decise l’azione più folle di tutte, l’invasione dell’Unione sovietica. E senza l’Urss non avremmo mai vinto la guerra al nazi-fascismo. Sul fronte russo la Wermacht impiegò 500 divisioni corazzate. Contro gli alleati sbarcati nel ’44 ne impiegò 150. Chi ha retto l’urto tedesco, sul piano militare e delle vittime (20 milioni) è stata l’Unione sovietica. E queste cose Putin le sa, le ha studiate… 

Le pretese di “Mad Vlad” non possono legittimarsi nei successi dell’Armata Rossa…

No. Ma va precisato che il Cremlino ha una sua visione su quello che dovrebbe essere l’assetto russo. Nel 2004 mentre l’Occidente applaudì alla “Rivoluzione arancione” in Ucraina in nome della democrazia, Putin ci vide una minaccia alla sicurezza russa. Nel 2008, al già citato Vertice NATO di Bucarest, Francia e Germania si opposero fermamente a far entrare Ucraina e Georgia nella Nato perché sapevano che la reazione di Mosca sarebbe stata durissima. 

L’Europa conosceva da tempo i “cahiers de doleances” di Putin?

Quando nel 2013-2014 è emersa la volontà di Kiev di entrare nell’Unione europea, la Russia ha posto più di un problema. Ad esempio, l’Ucraina era legata alla Russia e al Kazakhistan da un accordo doganale, che prevedeva libera circolazione delle merci. Se l’Ucraina fosse entrata nell’Ue automaticamente dal confine ucraino sarebbero entrate merci nel mercato russo senza dazi né controlli, con un enorme danno economico per il Cremlino. E questo aspetto fu ignorato e furono minimizzate le riserve di Putin.

Senza contare i mal di pancia a Mosca per la cacciata del presidente filorusso Yanukovich. Gli storici un giorno diranno se quella del 2014 fu una rivolta popolare o un colpo di stato. Quel che è certo, è che ci sono le registrazioni portate dai russi dell’Assistance Secretary of State americana, Victoria Nuland, che davanti alle perplessità degli europei per la rivolta a Kiev diceva: “Che si fottano gli europei”.

Come reagì la Russia?

Invase la Crimea e incoraggiò le due repubbliche separatiste nel Donbass.

È il periodo in cui il Cremlino si lagnava della “russofobia” occidentale.

Non solo gli americani ma anche i polacchi, i bulgari, i romeni, le repubbliche baltiche hanno continuato a vedere la Russia come una minaccia, proprio mentre Mosca ribadiva la necessità di non allargare a est la Nato. In questa storia nessuno è innocente. Tranne la povera popolazione ucraina.

Negli ultimi 8 anni, dal 2014 quando furono siglati gli accordi di Minsk, poco o nulla si è fatto. L’Ucraina doveva riformare la Costituzione, garantire il bilinguismo ai russi e riconoscere autonomia alle repubbliche del Donbass e invece, apparentemente, non ne ha voluto sapere. E poi la Crimea è sempre stata russa: la diede Kruscev all’Ucraina negli anni ’50. E poi non si è voluto capire il significato storico-culturale-identitario che quel paese ha per i russi: l’identità russa è nata mille anni fa proprio in Ucraina. Si chiamava “Rus’ di Kiev” lo stato slavo nato nel 1054 che comprendeva territori che oggi fanno parte di Ucraina, Russia occidentale, Bielorussia, Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia orientali. L’identità russa non è nata a Mosca ma a Kiev. 

Gli Stati uniti hanno voluto l’allargamento a est della Nato e hanno scientemente fatto in modo che le tensioni successive, dal 2008 a oggi, restassero senza soluzione?

Lo stesso hanno fatto alcuni leader europei, che avrebbero dovuto essere i primi a preoccuparsi della questione Russia-Ucraina. Avrebbero dovuto operare per pervenire alla neutralità dell’Ucraina, impedendone l’ingresso nella Nato. In cambio avrebbero potuto aprire alla sua entrata nell’Unione europea, processo che avrebbe richiesto comunque anni, per il rispetto dei parametri necessari. A quel punto, forse, un negoziato con la Russia si poteva intavolare.

Senza dimenticare che l’Ucraina è un paese pieno di contraddizioni politiche, dove la presenza di formazioni neonaziste è accertata. Non è una fake news. E non è da escludere che Zelensky possa aver subìto pressioni da queste formazioni. Quando fu eletto, avrebbe dovuto essere il presidente del dialogo con la Russia. E invece… 

L’anglo-sfera (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna) ha una linea durissima contro Mosca, nonostante le sue contraddizioni. Negli Stati uniti, poi, negli ultimi dieci anni, la Russia è tornata a essere una minaccia con i democratici americani convinti che le elezioni, nel 2016, Trump le abbia vinte perché è stato aiutato da Putin. Che appare inverosimile. La Gran Bretagna, che spinge per la linea dura contro il Cremlino, per anni ha fatto ponti d’oro agli oligarchi russi che portavano soldi e investimenti a Londra drogandone il mercato immobiliare. E le sanzioni economiche imposte alla Russia hanno come unico obiettivo far collassare l’economia per aizzare una rivolta interna contro Putin. 

Con le tensioni tenute latenti per anni, Washington ha spinto Putin a commettere un errore fatale. Era un trappolone?

E ci è cascato con tutte le scarpe. Ma nella mente di Putin le cose funzionano diversamente. A lui non interessa più mantenere un rapporto con l’Occidente, di cui non si fida più. A lui preme la Russia profonda, che è ancora con lui. E non confondiamo il punto di vista dei cittadini di Mosca e San Pietroburgo con il resto del paese. E come se un giornalista tentasse di spiegare l’America soltanto da New York o Los Angeles. L’Occidente andrebbe in crisi isterica senza Netflix o McDonald’s, la Russia probabilmente no.

Putin, che da anni credo abbia maturato questa diffidenza verso Ue e Usa, deve aver pensato che fosse questo il momento storico giusto per l’invasione. Ha visto gli americani battere in ritirata dall’Afghanistan, il presidente Biden in crisi di consenso, un’Europa divisa. Se abbia fatto bene i suoi calcoli, lo vedremo.

Che errori ha commesso Putin negli ultimi 30 anni?

Non ha varato riforme significative per fare della Russia un paese moderno, sottraendo l’economia alle grinfie degli oligarchi. Anche dal punto di vista delle libertà fondamentali: l’Occidente si aspettava molto più coraggio. Certo, sono cambiamenti che sarebbero andati contro il dna russo, così abituato all’autoritarismo. Sicuramente Putin avrebbe potuto dovuto offrire un’immagine di una Russia democratica, più rassicurante e tranquillizzante per i suoi vicini di casa. Soprattutto i paesi ex sovietici. E non lo ha fatto, anzi. Dagli omicidi di giornalisti e dissidenti, alle svolte repressive: la Russia non ha fatto niente per farsi amare. Poi certo, si è innestata la nostra solita ipocrisia: abbiamo tenuto un occhio chiuso visto che Mosca ci riforniva di gas e le nostre aziende esportavano. 

Dall’omicidio di Anna Politkovskaja agli avvelenamenti al polonio, tutti sapevano cosa stesse accadendo in Russia. Eppure, nessuno s’è mai sognato di chiudere i rapporti con Putin…

In Italia, nessuno. In Germania, idem. In Gran Bretagna e Stati uniti il sentimento era diverso. Negli anni si è evoluto in modo sempre più negativo.

Putin non si è mosso solo “in casa”. È intervenuto in Libia e in Siria.

Sono stato inviato speciale per la Siria e ricordo bene che Putin sosteneva che a Damasco fosse in corso un tentativo di rovesciare un regime per portare al potere gli integralisti islamici. Era convinto che dalla Siria sarebbe partito un “contagio” fondamentalista verso il Caucaso che avrebbe infiammato le minoranze musulmane in Russia. L’Occidente invece ha visto solo l’inaccettabile sostegno al dittatore sanguinario Assad. Purtroppo il contesto era molto più complicato, anche se questo non assolve nessuno dai crimini che non stati commessi anche in quel Paese. 

Su questo punto, l’Occidente alimenta le sue ipocrisie. Ad esempio, di quello che stanno facendo l’Arabia saudita e gli Emirati nello Yemen non si parla mai: una vera catastrofe umanitaria. Che non è narrata dai media, forse perché Washington e Londra sono alleate di Riad a cui vendono armi. E poi i profughi ucraini, biondi con gli occhi azzurri, forse appaiono “biologicamente più gradevoli” di quelli yemeniti che hanno la pelle scura.

Trovano più consenso e copertura mediatica. Eppure, i profughi sono tutti uguali. Con queste distinzioni si fatto le democrazie occidentali non ci fanno una bella figura. I nostri conclamati valori devono essere rispettati sempre, non solo quando conviene. Rimproveriamo a Putin la censura del dissenso e poi le grandi corporation, tipo Youtube, Twitter o Facebook, censurano allo stesso modo. È il doppio standard. Non è sostenibile un sistema internazionale stabile dove ci sono delle regole che per alcuni valgono e per altri no. 

Se si considera necessaria la neutralità dell’Ucraina (mai nella Nato) per il bene dell’Europa e della sua sicurezza, implicitamente si riconosce che l’autodeterminazione dei popoli debba essere subordinata a esigenze di politica internazionale più ampie…

Alcuni fattori, ahimé, finiscono per incidere sulla stabilità complessiva del sistema internazionale. Bisogna tenerne conto. Questo purtroppo vale per i tibetani in Cina, per i Palestinesi in Terra Santa e per i Curdi in Turchia, Siria, Iraq e Iran.

E chi lo decide?

Teoricamente il Consiglio di sicurezza dell’Onu, sulla base di quello che è stato stabilito nel 1945.

Con il meccanismo del diritto di veto, il Consiglio è sempre ingessato…

È questo l’ordine che si è creato dopo la Seconda guerra mondiale. Non va più bene? Lo si cambi. Ci sono state anche situazioni in cui il Consiglio ha votato all’unanimità. Come nel 1990, quando si doveva decidere se intervenire contro l’Iraq dopo la decisione di Saddam Hussein di invadere il Kuwait. Nel 2003, quando gli americani hanno invaso l’Iraq quella risoluzione unanime non l’hanno avuta. Hanno provato in tutti i modi a farsela dare ma Russia e Francia si opposero. Dissero chiaramente che se fosse stata portata la risoluzione in Consiglio avrebbero posto il veto. E gli americani attaccarono lo stesso.

Con Colin Powell che il 5 febbraio 2003 sventolò all’Onu una provetta con le presunte “armi chimiche” nelle mani del regime di Saddam Hussein. Il 20 marzo gli americani invasero l’Iraq.

A dimostrazione che, quando serve, una legittimazione alla guerra si trova. Ma bisogna distinguere tra legittimità e legalità. Ci sono guerre che appaiono “legittime” senza copertura legale. Viceversa, altre che hanno la copertura legale ma sono percepite come illegittime.

Per la Russia la guerra in Ucraina è legittima.

Putin ha invocato l’articolo 51 della Carta, quello che riguarda l’autodifesa. Sostiene di avere cittadini russi nel Donbass minacciati dai bombardamenti di artiglieria ucraini. Dal suo punto di vista ha invaso per difendere i suoi cittadini. Negli ultimi 8 anni, nelle repubbliche separatiste del Donbass, ci sono stati 16 mila morti. Non ne ha parlato nessuno. E la maggioranza dei morti, sembra, siano russi. Bisogna allargare un po’ il quadro per avere un giudizio più equilibrato.

Per Kiev è uno scenario da incubo: deve subìre e non fiatare?

Se a eccepire sullo status dell’Ucraina fosse stato l’Azerbaijan, non sarebbe fregato a nessuno. Diventa un problema perché c’è di mezzo la Russia, potenza nucleare e membro permanente del Consiglio di sicurezza. Perché l’autodeterminazione di Cuba nel decidere di installare sul suo territorio missili nucleari sovietici non poteva essere accettata? Perché gli Stati uniti d’America non l’avrebbero permesso. Perché l’autodeterminazione dei palestinesi non può essere accolta, ancorché riconosciuta da un’infinità di risoluzioni Onu? Perché c’è di mezzo Israele, che ha le sue esigenze di sicurezza. 

E se la Cina decidesse di dare seguito militare alle sue pretese su Taiwan?

È una situazione ancora più delicata di quella esistente tra Russia e Ucraina. Fino al 24 febbraio 2022, Mosca non ha mai messo in discussione l’esistenza di uno stato indipendente ucraino. Semmai si è opposta al suo ingresso nella Nato. La Cina considera Taiwan parte integrante del proprio territorio e, dal punto di vista internazionale, nessuno ha formali relazioni diplomatiche con l’isola (nemmeno gli Stati Uniti!) che non è neanche membro delle Nazioni Unite.

Fino agli anni 70’ il seggio della Cina all’Onu era occupato da Taiwan. Poi il disgelo sino-americano, ispirato da Nixon, ha ribaltato lo scenario: gli americani hanno buttato fuori Taiwan e ci hanno messo la Cina, concedendole anche il diritto di veto. Poi Pechino è cresciuta fino a diventare una potenza economica, tecnologica e commerciale e questo a Washington non è piaciuto perché metteva in discussione la sua leadership o egemonia.

La Nato è a tutti gli effetti una sfera d’influenza…

Certo. Con l’errore, commesso spesso in Occidente, di considerare la Nato un organismo di legittimazione giuridica internazionale. Quando è invece l’Onu, con le sue risoluzioni votate dal Consiglio di sicurezza, ai sensi del capitolo 7 della Carta riguardante le minacce all’ordine e alla sicurezza internazionale, a rendere la guerra “legale”. La Nato è un’alleanza militare occidentale e quello che stabilisce non è diritto internazionale. Non “produce” diritto come l’Onu né dirime sulle controversie come fanno le Alte Corti internazionali, salvo se i 5 membri permanenti del CdS concordano. 

Quindi, cosa bisognerebbe fare con l’Ucraina?

Uno stato a sovranità limitata, purtroppo, per salvaguardare la sua popolazione e le sue infrastrutture risparmiandogli ulteriori sofferenze e distruzioni. Come d’altronde sono, per certi versi (inutile che ce lo nascondiamo) l’Italia e altri paesi europei. Putin ha sollevato il problema ucraino da quasi un ventennio ma tutti se ne sono infischiati. O hanno ritenuto che la situazione non potesse essere affrontata nei termini richiesti da Mosca. E siamo arrivati alla guerra. Ora l’Ucraina potrebbe essere addirittura smembrata. 

Bisognava accettare le prepotenze russe?

È una prepotenza che, nel corso degli ultimi 30 anni, si è alimentata per tutta una serie di omissioni che forse andavano messe sul tavolo e risolte. Ma la “prepotenza” in politica internazionale ricorre costantemente. Pensi agli Stati Uniti: in 250 anni di storia hanno fatto guerre ovunque. Hanno salvato l’Europa dal nazifascismo ma hanno condotto pure guerre imperiali che potevano essere evitate. La “Brown University” di Providence ha un programma che permette di censire i danni delle guerre americane nel mondo. Dal 2001, si stima, che le guerre americane in Medioriente e Afghanistan abbiano provocato quasi un milione di morti e 38 milioni di profughi. Senza contare le conseguenze politiche e gli 8 mila miliardi di dollari spesi. Magari parliamone.

 

fonte: Dagospia.com

 

 

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