di Luca Mazzucato

PRINCETON, NEW JERSEY. Il nucleare civile e militare è da sempre argomento scottante di politica internazionale. Eppure, pochissimi sono gli esperti che negli Stati Uniti se ne occupano con cognizione di causa, nonostante ogni politico abbia un'opinione in proposito e se ne parli ogni giorno in televisione: le centrifughe di Natanz e la corsa al nucleare in Medioriente, l'energia nucleare pulita e lo stoccaggio delle scorie letali, il disarmo delle superpotenze, l'accordo Berlusconi-Sarkozy per il nucleare italiano. Per districarsi tra le forze titaniche della propaganda e delle lobby, abbiamo chiesto una mano a Scott Kemp, ricercatore di Scienza e Sicurezza Globale dell'Università di Princeton. Astrofisico di formazione, Kemp lavora da anni al problema del controllo delle centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, portando in dote la sua conoscenza scientifica alla passione per la politica. “Stiamo entrando in un'epoca in cui l'arricchimento dell'uranio è ormai economico e alla portata di tutti: dobbiamo capire come affrontare questa sfida a livello globale.”

di Mariavittoria Orsolato

La notizia è datata 29 settembre 2008, ma grazie alla nostra cosiddetta informazione lo veniamo a sapere solo ora. Il protagonista è Gianni Chiodi, neopresidente della Regione Abruzzo, in quota Pdl. Lo scenario è Poggio Cono, brulla località di Teramo, dove il 17 febbraio del 2006 la discarica comunale “La Torre” è rovinosamente franata su stessa, rovesciando nel sottostante fiume Vomano tonnellate di rifiuti non trattati ed inquinando così la falda acquifera irrimediabilmente. Già da tempo le associazioni ambientaliste avevano denunciato le irregolarità che si perpetravano nel sito di raccolta rifiuti, una su tutte l’instabilità dell’area scelta per la discarica: secondo il “Piano stralcio di bacino per l’assetto idrogeologico” ordinato dalla Regione Abruzzo, il luogo deputato all’insediamento era etichettato come P3, ovvero a pericolosità molto elevata e già nel 2004 la capienza limite del sito era stata superata.

di Rosa Ana De Santis

Il Pd riparte a poca distanza dal guado delle elezioni europee, il 6 e il 7 giugno prossimi e Franceschini invita a lavorare a “testa bassa” e si prodiga a mostrare i segni di un cambiamento radicale del partito rispetto al battesimo veltroniano. Su tutto l’attenzione costante a superare quel metodo, rivelatosi fallimentare, di fredda fusione piovuta dai vertici alla base con cui è nato il progetto del partito democratico. Nozze forzate e frettolose per storie politiche lontane, separate per natura. La consapevolezza generale è che se le europee dovessero confermare la sequela di sconfitte finora consegnate dall’elettorato, il progetto naufragherà. Per implosione, per mancanza d’identità politica e culturale, per conseguente rammendo in emergenza di fronti mai uniti e in assetto di continua belligeranza intestina e, non da ultimo, per l’assenza di un leader. O, per meglio dire, la guerra carbonara dei vari candidati ad esserlo. Quello che il Pdl per assetti proprietari e limiti di libertà da non invidiare non può permettersi.

di Mariavittoria Orsolato

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano fa un altro passo e, dopo il “no” alla legge express sul caso Englaro, si cimenta in un secondo sgambetto all’esecutivo della libertà. Nel discorso tenuto ieri a Perugia, in occasione delle celebrazioni per i 700 anni dell’Università, il capo dello Stato ha rimesso il dito nella piaga dei tagli all’istruzione pubblica, invitando il governo a rivedere i piani di spesa oramai approvati della riforma Gelmini-Tremonti. Sottolineando il contesto nazionale, che è “di straordinaria difficoltà per via della crisi e dei pesi che l'Italia si porta, tra cui l'ingente debito pubblico”, Napolitano ha espresso l’esigenza di salvaguardare il nostro capitale umano evitando “la dispersione di talenti e risultati del nostro sistema scolastico e universitario, che troppo spesso non sono tradotti in occasioni di lavoro e di sviluppo”.

di Matteo Selva

La scena è questa: dopo il disastro delle elezioni in Sardegna, Veltroni, assumendosene tutta la responsabilità, lascia la guida del Partito Democratico per dedicarsi alla famiglia. Il coordinamento del partito, anche per l’imminenza di due importanti appuntamenti elettorali, si trova nella condizione di dover decidere se eleggere immediatamente un segretario e fare le primarie ad ottobre, oppure fare le primarie subito. Naturalmente, un partito coeso, di prodiana creazione, sa come affrontare la questione, anche se, come è giusto che sia, al suo interno risulta ancora qualche divergenza: i dalemiani, i rutelliani, i popolari, i bindiani, i lettiani e la parte più a sinistra del Pd vogliono eleggere un segretario subito. Veltroniani, i parisiani e buona parte della base, invece, vogliono fare subito le primarie. “Certo che un partito chiamato a decidere il leader tra Franceschini e Parisi rasenta il ridicolo”, dice Massimo Cacciari, sintetizzando la decisione che l’Assemblea costituente del Pd avrebbe dovuto prendere per il futuro del Partito Democratico. Ma Cacciari, si sa, lo ascoltano in pochi ormai. Alla fine, la votazione dei delegati non sembra proprio una scelta tra i due leader.


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