Imprenditore e leader politico, al servizio del suo personale successo e della sua personale ricchezza ma sempre sostenuto da mani amiche e politicamente interessate al suo affermarsi, Silvio Berlusconi è stato un autentico terremoto nella vita politica italiana. A seguito della scomparsa della Democrazia Cristiana, azzerata da mani Pulite e seppellita da un fax del suo ultimo segretario nazionale, Mino Martinazzoli, in vista della dipartita del fu Partito Socialista, ridotto dal craxismo a organizzazione delinquenziale, i poteri forti di ispirazione atlantista decidono di tentare la carta dell’outsider, di operare un tentativo importante per evitare che la sinistra arrivi al governo del Paese.

Berlusconi appare l’unico in grado di portare a termine la missione, per difficile che sia, data la sua indubbia qualità di imbonitore con una rete nazionale mediatica a disposizione ed una struttura aziendale in grado di offrire supporto operativo.

 

Del resto, le disponibilità finanziarie (Monte dei Paschi di Siena) e gli aiuti legislativi (decreto Craxi e legge Mammì) messi a disposizione del cavaliere per permetterne la sua evoluzione da palazzinaro di successo a padrone di un impero mediatico, obbligavano il leader brianzolo ad aderire all’offerta che non si poteva rifiutare. Peraltro, il suo ego smisurato vide con entusiasmo la possibilità di erigersi a leader politico nazionale.

Non è questa però la sede per ricostruire strade e personaggi che hanno costituito il passaggio da una organizzazione aziendale di successo alla formazione di un impero mediatico prima e poi politico; certo è che nel caso di Berlusconi l’osmosi e la sinergia tra i due livelli furono la cifra del suo successo. Con l’impero mediatico condizionava la politica, con la forza politica sostenne il suo impero mediatico ed imprenditoriale.

L’arrivo di Berlusconi sullo scenario politico fu dirompente: involgarì il linguaggio e trascinò il senso comune in una deriva di maschilismo e qualunquismo. Attraverso le sue televisioni cambiò la politica e rese il liberalismo da materia elitaria a ideologia di massa e lo fece proponendo modelli sociali insopportabili per volgarità. Rese dicibile l’indicibile, azzerando l’etica del linguaggio a merce tra le altre. Sostituì l’idea di popolo con quella di consumatori e l’idea di eguaglianza con il darwinismo sociale.

Intriso di mentalità padronale, utilizzò un linguaggio inusuale, estraneo sia al ceto politico che alla comunicazione paludosa del sistema; un modo di fare decisamente sopra le righe; una struttura di partito che dal simbolo alla formazione quadri rese evidente il modello aziendale, saltando ogni ritualità ed assemblearismo, ogni elaborazione teorica ed ogni programma politico. C’era solo il Capo, la versione pubblica e pubblicizzata del padrone, che disponeva di tutto e tutti e che costituì la vera benzina per la macchina da guerra.

La sua discesa in campo, come la chiamò, presentò una comunicazione che, apparentemente antica nei suoi riferimenti conservatori, era invece straordinariamente moderna. Mutuava il linguaggio della comunicazione commerciale e del marketing, portando fino all’inverosimile la banalizzazione dei concetti, la semplificazione dei messaggi e diede vita ad una autentica campagna mediatico-politica che finì per lobotomizzare il cervello di milioni e milioni di italiani. D’altra parte Tangentopoli aveva trascinato nel più totale discredito le forze politiche e le smanie maggioritarie che agitavano il PDS di Occhetto e del nefasto Veltroni, facilitarono la costruzione di un fronte politico unitario di destra che tenne dentro i conservatori e i reazionari con lo strumento del plebeismo televisivo, corrente unica del verbo vista la scomparsa di ogni intellettualità diversa.

L’operazione più importante sotto il profilo della comunicazione politica venne condotta con uno strappo deciso dai meccanismi fino a quel momento conosciuti. La costruzione del consenso a Forza Italia non avveniva più, come nei partiti, per affinità ideologiche o programmatiche, per identificazione con gli interessi dei diversi ceti sociali di riferimento. Berlusconi non ebbe un target sociale sul quale costruire il suo zoccolo duro elettorale; la sua missione non fu quella di insediare un partito per fare politica, ma di vincere le elezioni e fermare l’ascesa elettorale della sinistra.

Del resto l’insediamento territoriale è inutile quando ogni giorno attraverso giornali, radio e tv si parla a milioni di italiani. Berlusconi si rivolse a tutto il paese, in forma trasversale, e costruì il consenso attraverso la manipolazione della realtà, chiamando volti noti e popolari dell’intrattenimento a sostenerne l’affidabilità. Nacque una idea di verità strettamente vincolata all’essere famoso di chi la divulga e non più agli argomenti e ai fatti che la determinano e la spiegano. Nacque una idea della comunicazione a senso unico, dove nonostante l’esistenza di un codice condiviso tra emittente (media) e ricevente (pubblico) non c’è ritorno, non c’è interazione: la verità la si ascolta e non sono previste repliche, la dialettica politica è ridotta all’imbonimento.

Gli italiani meno avvertiti vedevano in lui un personaggio nuovo, estraneo ai circuiti della politica e portatore di uno straordinario successo imprenditoriale, ampiamente esagerato nei livelli e mistificato nelle sue origini dalle sue reti tv e radiofoniche, dai suoi giornali e dalla sua iniziativa politica. Forza Italia fu il principale ramo d’azienda su cui costruì il suo successo. E riuscì a corrompere il Parlamento italiano, luogo sacro della rappresentanza e della democrazia, a votare sulla parentela di Ruby con il presidente egiziano Mubarak. Una manifestazione padronale che da sola racconta il dettaglio e il tutto del berlusconismo.

Ma sarebbe oltremodo ingeneroso non riconoscerne la genialità comunicativa, la sua capacità di imbonitore e divulgatore, le sue abilità nell’organizzazione del consenso, la sua eccellenza organizzativa e la gestione furba degli anfratti meno raccontabili della sua avventura imprenditoriale e politica. Costituì l’identificazione dei poveri con i ricchi e convinse gli ultimi a incolpare delle loro povertà chi è più povero di loro. Chiamò persecuzione giudiziaria la raffica di inchieste che coinvolsero le sue aziende e lui personalmente. Il che, se da un lato ne limitarono il raggio d’azione, dall’altro finirono per rafforzarlo, perché poté agevolmente utilizzare il ruolo di vittima dei poteri forti occultando la banale verità, ovvero che lui rappresentava una parte di questi in lotta con altre parti. L’idea della via giudiziaria al socialismo, come veniva ironicamente definita l’attività senza freni e controllo di una magistratura che si sentiva supplente della politica, si dimostrò una delle tante idiozie con cui i post berlingueriani annegarono la sinistra in un diluvio di errori.

Sul piano squisitamente politico Berlusconi sdoganò la destra e ne consentì l’ingresso nell’agorà politico dal quale era rimasta emarginata sin dal dopo guerra, avendo svolto solo una funzione di supporto alla DC. Gli mise a disposizione la sua forza mediatica e finanziaria e gli aprì porte che mai gli eredi del fascismo avrebbero sognato di valicare.

Intuì con il senso pratico dell’imprenditore la necessità di una linea di politica estera diversa e questo gli costò l’ostracismo politico atlantista ed europeista che ne decretò l’ultima caduta. Oggi, come in una lite tra eredi dinanzi a un notaio, tenteranno di spolparsi l’eredità politica, visto che quella finanziaria è a totale disposizione della famiglia ed è protetta da un sistema di intrecci societari che la pone al riparo di interventi esterni. Si disputeranno allora lo scalpo politico, nella speranza infondata che l’elettorato sia trasmettibile da un corpo all’altro come un virus.

In politica, come nella vita, le risposte semplificate ai problemi complessi sono sempre risposte di destra. Ed è questo modo di essere di destra, del suo lato simbolico che tenne insieme nostalgia e futurismo, che l’avventura di Berlusconi fu la grande novità della storia della Repubblica. L’aggancio al Quirinale non gli riuscì, perché venne tentato troppo tardi, quando ormai anche il vincente Berlusconi aveva conosciuto, nel 1996, la sconfitta.

A maggior ragione dopo venti anni di governo, che aprì gli occhi sulle fandonie e gli impegni mai rispettati che lo resero un politico come gli altri. Finì il tocco magico, divenne declinante il racconto del self made man, venne meno l’innamoramento istintivo di chi credette all’iperbole narrativa dell’uomo solo al comando. Persino la Meloni, che a Berlusconi deve tutto o quasi, ne ha disinvoltamente fatto a meno in ogni tappa della sua marcia su Roma. Perché in politica la riconoscenza è nulla e perché niente è più violento della sconfitta di chi appariva invincibile.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy