Le immagini del tribunale di Budapest, con Ilaria Salis in ceppi e manette, come nemmeno il peggiore dei serial killer, offendono la dignità dell’imputata, la civiltà giuridica internazionale e mancano di rispetto all’Italia, Paese che con l’Ungheria condivide la presenza nell’Unione Europea e dunque l’adesione ai principi della giurisprudenza comunitaria.

Due sono gli aspetti da considerare nella vicenda giudiziaria, collocata per metà nell’assurdo giuridico e nell’assenza di equilibrio nell’operato della polizia giudiziaria e magistratura ungheresi, e l’altro di carattere normativo, afferente alle modalità della detenzione della professoressa italiana.

E’ bene dire subito che Ilaria Salis, professoressa milanese di 39 anni, è accusata di aver partecipato, insieme ad altri, alle contestazioni che vi furono contro un’adunata nazista nel centro di Budapest dell’11 Febbraio, quando i nazi festeggiano l’attacco suicida della Wehrmacht e delle SS contro l’Armata Rossa Sovietica.

 

Ilaria venne arrestata ed oggi rischia 24 anni di carcere per un reato che dovrebbe essere derubricato come lesioni lievi, vista la ridicola entità della prognosi (5-8 giorni) di dimissione degli sfortunati nazi, che infatti non hanno sporto denuncia. Non c’è codice penale, ovunque nel mondo, che non misuri sull’entità dell’offesa arrecata l’imputazione ad essa relativa. Se una prognosi di 5-8 giorni, riscontrabile anche come conseguenza di un ceffone, dovesse vedere regolarmente l’imputazione di tentato omicidio, saremmo alla follia planetaria. Quella riferita alla vicenda di Ilaria è una relazione abnorme e dunque infondata tra reato e pena prevista, che si spiega solo con l’intenzione da parte della autorità ungheresi, particolarmente sensibili alle ragioni dei nazisti, di politicizzare detenzione e sentenza.

La sua detenzione, come denunciato dal padre e dai suoi amici, è vissuta in condizioni disumane e degradanti, in aperta violazione di tutte le norme sulla detenzione presenti nella giurisprudenza internazionale. Non solo né lei né il collegio di difesa hanno avuto accesso agli atti debitamente tradotti che mettono in condizioni di predisporre una difesa efficace e non rituale, ma le stesse condizioni della detenzione di Ilaria sono uno scandalo giuridico ed umanitario.

Il modello di detenzione riservato a Ilaria Salis rientra infatti nella fattispecie di reato propria della tortura e ciò proprio in forza del trattamento disumano e degradante che le viene arrecato. Il tutto in totale violazione dell’articolo 3 della CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), il trattato internazionale istituito dal Consiglio d'Europa nel 1950 per proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali delle persone, dei diritti individuali del detenuto. Detto trattato, a cui l’Unione Europea (della quale l’Ungheria fa parte) ha aderito, difende i detenuti dalla tortura, dai trattamenti inumani o degradanti, dal lavoro forzato, dalla detenzione arbitraria e illegale, dagli abusi e dalla discriminazione.

E’ evidente che l’eventuale commutazione della pena dovrebbe essere scontata in Italia ma è altrettanto evidente di come solo una richiesta formale di estradizione da parte dell’Italia possa aprire il cammino al ritorno di Ilaria Salis. Richiesta che, fino ad adesso, non c’è stata e che senza il clamore che le immagini del processo stanno sollevando non sarebbe mai stata approntata. Il governo italiano, infatti, che con Orban ha rapporti strettissimi essendo uno dei partner politici prediletti oltre che amico personale di Giorgia Meloni, ha tentato fino a pochi giorni orsono di rimuovere la questione. Pesano evidentemente tanto l’amicizia con Orban come la militanza antifascista di Ilaria e il risultato è che la nostra ambasciata a Budapest ha brillato per la sua assenza.

Ma la potenza delle immagini e ciò che esse evocano nell’opinione pubblica non permette al governo di ultradestra italiano di proseguire nella melina, a maggior ragione in vista della campagna elettorale per le europee e le regionali. A definire come poco seri i tentativi di Palazzo Chigi e della Farnesina fatti fino ad adesso spiccano il monarchico Tajani, ministro degli Esteri (per modo di dire), e l’ineffabile cognato d’Italia, Lollobrigida.

Il ministro-cognato ha dichiarato di non poter commentare perché “non ho visto le immagini”, era impegnato con i fusilli della Rummo nello spazio. Tajani invece, dichiara che Orban non può essere chiamato a rispondere della vergogna ungherese perché non ha nulla a che vedere con la magistratura, come se l’Ungheria si giovasse dell’autonomia tra i poteri. Sarebbe bene che Tajani, che ha ricoperto il ruolo di Presidente del Parlamento Europeo, sia avvertito dei possibili procedimenti in corso della UE contro l’Ungheria e la Polonia proprio per la mancata indipendenza della magistratura dall’Esecutivo. La Meloni, che fiuta l’aria, si è mossa con Orban per la ricerca di una soluzione. Che l’interessamento sia voluto o obbligato poco importa. Ilaria Salis va riportata in Italia, senza se, senza ma e con discreta fretta.

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