di Betta Bertozzi

Mediaset ha comprato Endemol. È come se Fiat comprasse i motori da Volkswagen. Ma è più grave. Anche a rifletterci, creando strane metafore in cui Coca Cola è costretta a comprare l’acqua gasata per fare le sue bibite da Pepsi, anche a struggercisi sopra a lungo, trovare un paragone è faticoso. Allora, ecco i fatti. Rai, da qualche anno sempre più spesso, non ricorre più alle sue risorse interne per inventare i programmi. Per avere nuovi formati da mandare in onda, si rivolge a società esterne che, essendo multinazionali, hanno continue acquisizioni di idee che vengono adattate, di paese in paese, ai gusti dei telespettatori. Questo significa che esiste un mercato piuttosto variegato e popoloso dei formati televisivi, in cui dovrebbe essere vincente chi sforna le idee più originali che fanno raggiungere alle reti i risultati migliori. Già, i risultati. Dai risultati di share, dai dati di ascolto, dipende il valore degli spazi pubblicitari. Perché i cachet di chi presenta il Festival di San Remo sono ogni anno in prima pagina? Perché sono lauti, sono polposi perché sono il frutto della contrattazione pubblicitaria. E’ facile capire come possa sorgere una bagarre, per accaparrarsi gli spazi pubblicitari immediatamente successivi e immediatamente precedenti alla messa in onda di un evento tanto seguito, che catalizza, in un modo o nell’altro, per una ragione o per l’altra, l’attenzione dei telespettatori. Ora, questo ragionamento porta a capire quanto sia importante essere proprietarie dei propri format, per le reti televisive. Perché questo non rappresenta un costo, e se il programma è ben fatto non solo renderà per l’Italia, ma sarà facile piazzarlo all’estero.

Ora, torniamo al paragone della Coca Cola e chiediamoci come sia possibile che un imprenditore sia così poco illuminato, così bestialmente votato al suicidio da mettere fra i propri costi quelli dell’ingrediente strategico, quello senza il quale non si arriva al prodotto finale. Mediaset ha acquistato Endemol. Questo significa che le bollicine dell’acqua frizzante necessarie alla Coca-Cola-Rai, sono di proprietà del signor Pepsi, cioè Berlusconi. Questo significa che a Mediaset potranno permettersi di scremare e decidere cosa vendere al diretto concorrente, a quale prezzo e quando e con quali vincoli. Questo significa portare un’azienda che non ha più investito nelle sue risorse interne, un’azienda che fa pochissima formazione, un’azienda che non cerca di investire sulle sue proprie strutture, alla canna del gas.

Prodi dichiara che il rafforzamento del suo diretto concorrente dovrebbe portare ad una reazione, da parte della Rai, ma che la Rai non ha le forze per questa reazione. Minoli dice che la Rai deve reagire o morire, e lo dice da uomo di televisione vero, da persona che la tv la scrive e che quando la compera lo fa con cognizione di causa e per offrire al pubblico qualcosa che vale la pena di vedere, come i servizi de “La storia siamo noi”.

Davanti al proliferare delle case di produzione, davanti al dilagare di un sistema di appalti che vede avvantaggiati gli esterni a tutto svantaggio degli interni, la Rai ha dimostrato in questi anni di essere un’azienda che stupisce i suoi stessi detrattori. Perché tutti in Rai, nonostante le bufere, nonostante i mezzi più scadenti, nonostante la burocratizzazione del sistema interno - frutto anch’essa di una sapiente complicazione della vita studiata a tavolino da personaggi appartenenti e provenienti dalla diretta concorrenza - tutte le maestranze hanno sempre trovato il modo di farlo, lo spettacolo, tanto più degno quanto più inaspettato.

Spiace vedere come molti fra gli autori e i produttori interni migliori siano progressivamente passati a lavorare per le case di produzione. Ma pecunia non olet Spiace notare come l’età media di chi scrive, di chi pensa la televisione, e quindi della componente autorale, sia diventata sempre più, alta. Spiace notare come sia aumentata l’idea che in Rai si entri solo per raccomandazione, anche quando ciò non accade. Spiace notare come il Paese tutto abbia preso a pensare che il canone è troppo elevato per ciò che l’azienda propina; laddove il “ciò” è sempre più frequentemente prodotto da aziende esterne, di ogni provenienza e colore politico, perché anche le case di produzione hanno la loro brava possibilità di essere “lette” politicamente” .

Una riflessione, su questo punto, non farebbe male. E’ vero, la Rai sembra sempre più spesso comportarsi come le sue concorrenti commerciali e abdicare al suo ruolo di televisione pubblica. Ma la Rai è anche ostaggio di una feroce e paralizzante lottizzazione, che ha fatto sì che la lettura politica delle case di produzione, la lettura e dei dati di ascolto e la gestione consortile di alcune reti, fosse la sola chiave di lettura. Dimenticando la componente umana. La tv, come il resto delle imprese, è fatta dalle persone. Le persone non contano nelle lottizzazioni, contano i voti. Le persone non contano nella spartizione delle reti, contano i voti. Viene da rifletterci.

E se anche dietro all’acquisto di Endemol non ci fosse altro che una questione politica? E se anche di questo avvenimento fosse giusto e possibile dare una lettura politica? E se l’acquisto del Grande Fratello ci legittimasse tutti a pensare che Berlusconi sia il nuovo Grande Fratello? La speranza è che da qualche parte, in Rai, ci sia un bosco, magari nascosto oltre il giardino zen che tutti fotografano a tutte le conferenze stampa. E che in quel bosco, per tutti questi anni, ci abbiano abitato persone che hanno imparato a memoria i copioni delle grandi trasmissioni di un tempo, anche di quelle vendute e poi riacquistate come “Portobello” o “Il Musichiere”, gente che la comicità l’ha imparata sugli sketch di Vianello e Tognazzi, e non fra le tette e i culi di “La sai l’ultima?” o di “Paperissima”.
Questa gente è il futuro della Rai, messa al bando dalla politica che tutto brucia.

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