di Cinzia Frassi

Approvato lo scorso gennaio ed entrato in vigore il successivo 9 febbraio, il regolamento targato Formigoni sulle attività cimiteriali vede la ribalta della carta stampata, anche se forse non abbastanza per le aspettative di qualcuno. "Per la prima volta in Italia si riconosce al feto il rispetto che merita" commentava il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. Niente meno. Peccato che risalga al '90 il decreto del Presidente della Repubblica n. 285 con il quale all'art. 7 c. 3 si prevedeva che "a richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere raccolti con la stessa procedura anche prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane." Nessuna novità se non l'introduzione di una procedura di informazione in odore di speculazione in stile moralizzatore quanto rampante. Il regolamento stabilisce infatti che tutti i feti, in caso di interruzione volontaria di gravidanza entro le 20 settimane, hanno diritto a sepoltura e che le spese saranno a carico della famiglia (quando c’é ndr,) oppure della struttura sanitaria dove è avvenuta l'interruzione volontaria di gravidanza. Inoltre, in mancanza di richieste in questo senso si dovrà provvedere "in analogia a quanto disposto per le parti anatomiche riconoscibili". Prima del regolamento i feti sotto le 20 settimane seguivano il destino dei rifiuti ospedalieri. Le previsioni del regolamento tuttavia trasformano quel diritto "dei genitori" comunque contemplato dal decreto citato, in una deplorevole deriva restauratrice strumentale quanto subdola, stabilendone l’alternativa di una sepoltura a carico della famiglia o in mancanza in tal senso, a carico della struttura ospedaliera. Va detto che il regolamento ha visto la luce grazie ad un'approvazione all'unanimità, salvo in seguito, una volta scoppiata la polemica, accampare varie scuse da parte di consiglieri regionali cui sarebbe lecito attendersi la giusta attenzione verso norme aberranti di questo tipo: qualcuno disse che si era trattato di una furbata approvata per sbaglio, altri sembrano non rendersi ancora ben conto della gravità della situazione e tentano di minimizzare sull’onda shakespeariana in stile “molto rumore per nulla”.

Nemmeno un mese dopo l'entrata in vigore del regolamento del Pirellone, gli ospedali lombardi si trovavano già spiazzati dalla novella: a Milano come nel resto della Lombardia ci sono liste di attesa per la necessaria sepoltura, in assenza di una procedura in tal senso. Una soluzione venne ipotizzata dall'assessore ai Servizi cimiteriali del comune di Milano, Stefano Pillitteri, che proponeva di realizzare un’area nel "giardino dei ricordi" dove disperdere le ceneri dei “bimbi mai nati”.

La sconvolgente e aberrante novità di questi giorni è che a quella donna verrà consegnato un modulo sul quale troverà scritto sostanzialmente una domanda esplicita sul destino che intende dare al feto una volta abortito: lo seppelisce lei il bimbo mai nato o ci pensiamo noi? Questo é quanto accaduto - sembra - in tre ospedali i milanesi, il San Paolo, la Melloni e il Niguarda, che pare abbiano imposto alla donne di firmare un modulo e scegliere se provvedere personalmente alla sepoltura del feto oppure delegare l'ospedale. Immediate le smentite che invece negano questa pratica ma che spingono il direttore generale dell’assessorato regionale della Sanità, Carlo Lucchina, a dire che “hanno male interpretato” rassicurando che comunque sia "il modulo è fuori norma".

Per chi minimizza tale pratica o chi sarebbe icto oculi propenso nel liquidare la faccenda con l'etichetta di speculazione strumentale, è necessario ricordare il critico momento storico che attraversano i laici tutti, gruppi o singoli, istituzionalizzati e non. L'onda restauratrice vaticana non ha visto un abbassamento dei toni e il post Ruini vede in Bagnasco un erede con finalità di continua invasione della sfera pubblica dello Stato italiano, indipendente da quello Vaticano, che tuona contro interruzione volontaria di gravidanza, eutanasia, DICO, testamento biologico e molto altro ancora. Dopo gli attacchi recenti e le occasioni che mai si perdono di bollare come omicidio il diritto conquistato con la legge 194, si arriva anche a questa manovra per spalleggiare chi evidentemente crede che, mettendo in estrema difficoltà emotiva la donna e la sua decisione di interrompere la gravidanza, possa riportare indietro l’orologio della storia, fatto peraltro di battaglie già vinte. A sostegno della stumentalità della questione va sottolineato che, secondo le indagini Istat, il tasso di abortività della popolazione femminile di età compresa tra i 15 e i 49 anni presenta nel 2004 un decremento di oltre il 40% rispetto al 1982.

Sta di fatto che in Lombardia una donna (non genitori o famiglia), che si trova nella necessità di vivere una scelta difficilissima come quella di dover interrompere una gravidanza, avrà a che fare probabilmente con un consultorio di moralizzatori del movimento per la vita. Sarà facile che incontri anche un medico obiettore di coscienza - in Lombardia sette ginecologi su dieci si rifiutano di praticare l’aborto – e, pensando alla fatto che non le sarebbe necessario neppure subire un intervento, si ricordi che in Italia non è possibile la somministrazione della Ru486 come invece accade in molti paesi europei. Ad influenza vaticana ridotta.

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