di Giovanna Pavani

E' in corso una discreta mobilitazione mediatica per non far finire nel dimenticatoio l'incidente dell'apertura dell'anno accademico alla Sapienza di Roma dove – è bene ribadirlo – il Papa non è andato perchè non voleva essere contestato dagli studenti e anche da qualche professore. Con maggiore astuzia e conoscenza dell'utilizzazione dei media e delle coscienze, Benedetto XVI (e con lui soprattutto il cardinal Ruini) ha capito che il declinare l'invito del Rettore Guarini alla Sapienza lo avrebbe trasformato in un martire dell'intolleranza laicista, consentendogli di alzare ulteriormente l'asticella dello scontro contro la laicità dello Stato e le sue leggi. Il disegno è stato subito chiaro non appena il medesimo cardinal Ruini, manovratore di piazze al pari di un politico populista, ha immediatamente chiamato a raccolta le legioni dei cattolici integralisti ( e non solo) invitandoli a rendere omaggio al pontefice “oltraggiato” domenica prossima all'Angelus. L'intento è chiaro, fin troppo: portare un nuovo, pesante attacco al “contropotere” laico per riaffermare con grande forza che d'ora in poi, e sempre di più, la politica di questo Paese dovrà fare i conti con un nuovo, temibilissimo partito politico, di stampo reazionario, che strizza l'occhio alle frange più dure della destra e tende la mano ai fautori dell'integralismo a cui le aperture del Concilio Vaticano II non sono mai andate a genio. Dietro la convocazione plebiscitaria di domenica prossima si intravede nettamente il desiderio del Papa e delle più alte gerarchie vaticane a diventare artefici della partita politica giocata soprattutto su quei temi etici su cui la sinistra (e soprattutto il Pd) non riescono a controbattere se non balbettando fragili slogan d'altri tempi, tipo “la 194 non si tocca”, che davvero non possono considerarsi una risposta. E' indubbio che davanti all'aggressione di un Papa, intellettuale e filosofo di valore, su temi che più stanno a cuore ed entrano nella vita delle persone, il dare per acquisita e scontata la vittoria su temi sensibili come aborto, divorzio e laicità dello Stato, può rivelarsi un errore clamoroso per la sinistra italiana di ogni ordine e grado. E, dunque, per il Paese intero.

Il pericolo è straordinariamente evidente proprio in questi tentativi del Vaticano di radicalizzare lo scontro, vista anche la reazione eccessiva che si è creata rispetto a ciò che è avvenuto alla Sapienza. Stiamo assistendo, infatti, a cattolici moderati insieme a parte di laici (i cosiddetti teo-con o atei devoti) intenzionati a far leva sul caso Sapienza per serrare ulteriormente le fila e sentirsi sempre più estranei nella società pluralistica.

Il rischio è che un episodio increscioso e mal gestito da un'inadeguato rettore della principale università italiana, si trasformi in una questione politica capace di spaccare ulteriormente il Paese: è evidente che questa circostanza negativa diventa un motivo per rafforzare steccati tra aree culturali e politiche vitali per il Paese, alimentando a vari livelli divisioni e contrapposizioni. Proprio quello di cui non si sente il bisogno. E' bene ricordare, per coloro che non lo vedessero con chiarezza, che negli ambienti ecclesiali è diffusa da tempo l’idea che i temi cari al mondo cattolico (vita, bioetica, famiglia, scuola, ecc.) siano promossi e difesi molto più dalla destra politica che dalla sinistra, per la naturale propensione della prima a sottolineare le condizioni dell’integrazione sociale e la vocazione particolare della seconda a farsi carico delle istanze radical-libertarie. C’è dunque il rischio che la contestazione del Papa all’Università di Roma alimenti queste convinzioni, spingendo ulteriormente la Chiesa a una scelta di parte che non le compete.

Ma la realtà è che la Chiesa sta dando un’interpretazione politica dei fatti della Sapienza, nel tentativo, tutt'altro che maldestro, di accrescere il livello del conflitto: il tutto per essere sempre più soggetto politico capace di pesare nell'arco costituzionale più di qualsivoglia partito di ispirazione cattolica. Il Papa, insomma, non è affatto quel mite professore tedesco esperto di studi e libri che qualche facinoroso ha voluto tenere lontano da un tempio della cultura, cui lui è senz'altro più avvezzo del medesimo facinoroso sordo al suono di parole di “verità”.

Ratzinger è, oggi, un Papa-Re che ha tutte le intenzioni di infilare i piedi nel piatto della convivenza civile per imporre la sua verità in modo arrogante al pari dei suoi più stretti sodali: la chiamata di domenica prossima del gregge cattolico al soglio pontificio ha il sapore di un'antica adunata in cui il popolo, disobbediente, chiede perdono al proprio signore e padrone per averlo offeso. Una genuflessione collettiva non certo a Dio, solo a Ratzinger e alla sua insaziabile sete di potere.

E' quindi con sincera apprensione che guardiamo a questa nuova puntata domenicale della scalata al potere temporale di Benedetto XVI, a questo nuovo inizio di crociata che in sé non può avere nulla di buono, come una rapida lettura della storia può agevolmente insegnare senza sforzo. Ed è ancora con maggiore angoscia che assistiamo al silenzio della sinistra nel ribattere con altrettanto vigore intellettuale e filosofico a tesi che minano la propria storia e il proprio futuro politico.

E' stato raccapricciante osservare due dei principali esponenti dell'attuale sinistra, Mussi e Veltroni, cadere nella trappola di osannare, nell'Aula Magna della Sapienza, il grande assente d'Oltre Tevere, santificandone ulteriormente l'alta figura intellettuale e, contemporaneamente, benedicendolo come avversario politico o alleato da tenere in grande considerazione.

L'errore dei due esponenti della sinistra, pressati dalla gogna mediatica che li voleva corresponsabili di una contestazione inesistente sotto il profilo dei numeri e della logica politica, è stato quello di non aver voluto trovare argomenti per tracciare, nei loro discorsi, la doverosa rivendicazione della laicità dello Stato e della libertà della sua ricerca scientifica, che certo non merita di vedersi bloccata nel suo sviluppo da chi ha paura che venga dimostrata la fragilità del proprio credo.

Mussi e Veltroni, invece di chiedere scusa, avrebbero dovuto dire a Santa Romana Chiesa di mostrare rispetto per la Repubblica Italiana e per i suoi esponenti, per la Costituzione e le sue norme. Dove, all'articolo 21, si ribadisce la libertà di espressione. Che vale, certo, per il Papa, ma anche per chi intende contestare un dotto professore. Uno che, malgrado i proclami, non ama affatto i compromessi ed ha tutte le intenzione di imporre a tutti la sua verità.

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