di Maura Cossutta

Ora persino la legge 40, quella votata e difesa dalla destra in nome della tutela dell’embrione, è nel mirino. Neanche la legge 40, quella piena di divieti e di sanzioni, va più bene. Benedetto XVI, parlando alla Congregazione per la dottrina della fede, ha apertamente condannato ogni forma di fecondazione assistita. Anche quella tra coniugi regolarmente sposati, anche davanti al sacramento della Chiesa. La condanna è senza appello: le tecniche “in vitro” – quelle cioè in cui l’unione dello spermatozoo e dell’ovocita avviene fuori dai corpi - sono contro “la dignità della persona”. La fecondazione assistita tout court “è immorale”: un dietrofront che ha spiazzato persino i più fedeli e schierati ginecologi cattolici. Le gerarchie della Chiesa sono pronte a buttare a mare la legge 40 e partono verso una nuova e ancora più agguerrita crociata. Il Papa ha addirittura annunciato un nuovo documento, forse persino una nuova Enciclica. Perché? Cosa sta succedendo? E’ evidente che le sentenze della Magistratura sono arrivate a destinazione. La Chiesa è impaurita perché gli argomenti giuridici e il richiamo esplicito ai principi costituzionali contenuti nelle sentenze, sono un duro colpo alla legge. La legge 40 rischia oggi di non essere più difendibile e, con essa, tutto il castello dottrinario e confessionale. Le gerarchie della Chiesa sanno che stanno perdendo egemonia e che proprio a partire dalla legge 40 si stanno smontando i “valori non negoziabili”. La partita è grossa. La Chiesa ha capito che sono le tecniche in sé ad aprire la strada al superamento della legge. Infatti, nel momento in cui si accetta come possibile la procreazione extracorporea, si entra necessariamente nel merito di alcune questioni che sono squisitamente tecniche, scientifiche e che nulla hanno a che vedere con i dogmi o con le verità aprioristiche della dottrina religiosa. Se una legge permette alle coppie sterili di procreare “in vitro”, risulta prima o poi evidente che l’efficacia di questa legge deve essere dimostrata; che il diritto alla salute delle donne non può essere sottomesso al rispetto astratto dell’intangibilità dell’embrione, che la diagnosi preimpianto non può essere vietata, che l’embrione non può avere maggiori tutele di quelle garantite al feto durante una gravidanza naturale che - siccome non si può costringere una donna ad un impianto coatto di un embrione - si deve prefigurare comunque la possibilità di congelare quell’embrione. I muri si sgretolano uno ad uno.

L’assolutezza dei principi ispiratori della legge non reggono, alla distanza, alla prova dell’evidenza e al richiamo esplicito ai principi costituzionalmente garantiti. Se la politica nostrana si è piegata ai diktat della Chiesa, non è così per la magistratura, che ha di fatto inaugurato “la via italiana alle sentenze”. La Chiesa corre allora ai ripari: vietare tutto, condannare tutte le tecniche, alla faccia di chi è sterile e che grazie alle scoperte della scienza potrebbe invece procreare.

La Chiesa ha utilizzato la scienza come “ancilla domini” (finanziando coerentemente e copiosamente il Movimento Scienza e vita) e ha usato persino il linguaggio del biologismo per difendere la sacralità dell’embrione, ma oggi comprende che deve buttarsi oltre. La dottrina religiosa rischia di non reggere di fronte all’espansione delle scoperte tecnologiche e scientifiche. Si apre quindi la nuova frontiera, quella della Verità, la verità naturalmente di Dio… Le regole etiche confessionali devono imporsi non solo sull’uomo, ma sulla natura. La natura è indisponibile all’opera dell’uomo, perché la natura esiste solo in quanto prodotta dal Creatore divino e così deve essere letta e studiata. Gli scienziati cattolici sono avvertiti: prima viene la dottrina, poi la competenza professionale. Lo avremmo sentito in anteprima all’Università “La Sapienza” di Roma?

Ma anche un altro è il motivo di questa svolta delle gerarchie vaticane. Di fronte alle difficoltà, la Chiesa gioca al “più uno”. E palesa quello che è stata ed è la vera sostanza della sua partita per l’egemonia: mantenere intatto il suo primato nella costruzione di un ordine sociale ispirato ai precetti religiosi. Che innanzitutto significa difendere la famiglia “naturale” che non è – come sarebbe logico – quella tra un uomo e una donna, ma quella tra una moglie e un marito; significa il controllo assoluto sul modello procreativo, sull’idea di sessualità finalizzata solo alla procreazione. Condannare la procreazione assistita vuol dire tornare alle regole “naturali”, all’unico atto procreativo possibile, quello sessuale tra coniugi. Se la legge traballa, occorre salvare comunque quello che in quella legge era sottinteso: il ruolo della Chiesa come esclusivo punto di riferimento nella costruzione della “morale pubblica”.

Ci aspettiamo una prossima Enciclica all’altezza del compito. Non dubitiamo che le destinatarie di questo messaggio saranno, un’altra volta - e come sempre - le donne. Sui loro corpi, in nome loro, contro di loro, contro il loro diritto ad una sessualità libera e consapevole, contro il loro diritto ad una procreazione scelta e responsabile, anche se sterili. In nome del Creatore. Garantisce lui.

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