di Michele Paris

Tra i rari articoli dedicati nelle ultime settimane dai giornali americani alla scoraggiante campagna elettorale nel nostro paese, spicca quello proposto qualche giorno fa dal New York Times a firma Rachel Donadio, dedicato all’ultima crociata dell’ex sessantottino, ex comunista, ex socialista, ex ministro berlusconiano, nonché presunto ex confidente della CIA ed ora adepto neo-con Giuliano Ferrara, per il diritto alla vita. Ben lontano dall’incoronare il direttore de Il Foglio come una delle voci più originali della scena politica italiana, come qualche quotidiano del nostro paese ha scritto (La Stampa), il profilo delineato dall’autorevole testata newyorchese, pur sottolineando le relative diversità delle posizioni sostenute da Ferrara rispetto ai due principali candidati premier, sembra piuttosto farne il simbolo del degrado di una politica ormai diventata “incomprensibile” e “assurda” per quanti la osservano da fuori, e non solo. Dopo aver percorso brevemente i momenti cardine dell’attività politica, giornalistica e di spettacolo di Giuliano Ferrara, sottolineandone la metamorfosi con accostamenti a Abbie Hoffman, famoso contestatore e attivista politico americano degli anni ’60 e ’70, e a William F. Buckley, editorialista e commentatore conservatore già membro della CIA e recentemente scomparso, la giornalista del New York Times cerca di spiegare ai lettori d’oltreoceano come la sua discesa in campo nasca non da ragioni di “realpolitik”, ma dalle idee. “Mi piacerebbe vincere le elezioni, sarebbe una cosa straordinaria”, commenta un Ferrara sprofondato nella sua poltrona di pelle e con i postumi di una fastidiosa influenza ancora visibili. “Ma il punto non è vincere. Sono un uomo in cerca d’idee e non di voti. Questi sono solo un mezzo”.

Considerato come un barometro della situazione italiana, “sintonizzato sull’umore nazionale tendente alla disperazione”, il tentativo di colui che potrebbe essere scambiato per “il quarto tenore” converge intorno ad un unico vago tema: la battaglia per la difesa della vita. Mettendo in evidenza il suo dichiarato ateismo e l’essersi sempre definito non credente, l’autrice ricorda poi la sua recente richiesta di una moratoria - non dell’abolizione - dell’aborto per richiamare l’attenzione generale sul valore della vita. Pur avendo raccolto un certo incoraggiamento da più parti, molte sono state però le proteste suscitate dalla sua apparizione nei vari comizi elettorali a cui ha partecipato; le più accese, ricorda il New York Times, si sono verificate a Bologna dove le forze di Polizia sono state costrette ad intervenire per interrompere il lancio di pomodori al suo indirizzo e per arginare le contestazioni della folla.

Escluso dalla coalizione di centro-destra da Silvio Berlusconi, Ferrara ha dovuto incassare recentemente anche qualche critica proveniente dai tanto corteggiati ambienti vaticani, da dove è giunto l’avvertimento che le questioni di fede dovrebbero rimanere nella sfera del privato. Con tutti i problemi ai quali il nostro paese deve fare fronte, dall’economia in fase stagnante al costo della vita in costante crescita, per non parlare della criminalità, le preoccupazioni legate all’aborto sembrano poi essere ben lontane dall’interesse della gente. Ma, secondo l’autrice dell’articolo, le manovre a sorpresa, messe in atto per puri fini propagandistici, sono all’ordine del giorno nella campagna elettorale in corso nel Belpaese.

Una volta entrato nello specifico del variegato curriculum di Giuliano Ferrara, dall’infanzia trascorsa a Mosca dove il padre era corrispondente per L’Unità agli anni trascorsi alla FIAT a Torino; dalla rottura con il Partito Comunista all’avvicinamento alla filosofia politica di uno dei padri del pensiero neo-con (Leo Strauss) passando attraverso il periodo craxiano e berlusconiano fino ad arrivare alla creazione del suo giornale, definito insolitamente eclettico nel panorama editoriale italiano, l’articolo spiega come una tale traiettoria, il cui ultimo sviluppo è appunto la battaglia senza quartiere intrapresa contro ogni pratica abortiva, sia possibile solo in un paese come il nostro dove “le linee di confine tra politica e giornalismo, tra idee ed esibizionismo, tra apparenza e realtà, si sovrappongono”.

“So che può sembrare incoerenza, ma in fin dei conti si tratta di integrità”, tiene a precisare Ferrara a proposito della sua multiforme militanza politica. “In realtà sono una persona terribilmente noiosa. Le mie idee sono sostanzialmente le stesse a partire dagli anni della mia formazione come giovane comunista fino alla mia attuale trasformazione in Ratzingeriano”. Ma il dubbio di una manovra elettorale mirata a sottrarre i voti dei cattolici al centro-sinistra è forte anche per chi osserva l’arena politica italiana da lontano. Tanto più che la battaglia per il diritto alla vita di un ateo dichiarato, e che ha avuto, secondo quanto riportato dallo stesso New York Times, ben tre partners in gioventù che hanno praticato l’aborto, risulta quanto meno improbabile.

Una campagna che inoltre ha assunto aspetti surreali quando Ferrara ha espresso il suo parere a proposito di un’ispezione sanitaria circa un presunto aborto illegale che ha portato alla luce un intervento su di un feto affetto dalla Sindrome di Kinefelter. Una patologia, questa, determinata da un’anomalia del corredo cromosomico che colpisce i maschi e che si manifesta, tra l’altro, con una ridotta dimensione dei testicoli, sterilità, difficoltà verbali e, in alcuni casi, ritardo mentale. Anche in presenza di una tale situazione, Ferrara si è detto appunto contrario all’aborto, aggiungendo che egli stesso potrebbe essere affetto dalla Sindrome di Kinefelter e invitando, con la consueta sensibilità, quanti ne possano dubitare a verificare di persona.

Al di là dell’impressione che si può ricavare circa la nuova avventura politica del direttore de Il Foglio, tutto l’articolo della Donadio è pervaso da notazioni che rivelano quali siano le difficoltà a comprendere le dinamiche della politica e della società italiana per quanti le osservano da fuori. Ecco allora una campagna elettorale popolata dai soliti noti che scompaiono e riappaiono, promettendo riforme profonde per dare come risultato un’economia stagnante o addirittura in declino. Il tragicomico scenario del nostro paese sembra poi inevitabilmente personificato dal basso profilo sia di Veltroni, “l’ex comunista che ha adottato la formula ‘Yes We Can’ di Barack Obama ma del quale non ha lo stesso carisma” né la capacità di creare un seguito tale da consentirgli di percorrere un difficile cammino riformistico; sia a maggior ragione di un Berlusconi poco incline alle riforme e impegnato a mettere insieme una fantomatica cordata per rilevare la compagnia aerea di bandiera.

Difficile infine non condividere lo scoraggiamento provato nel vedere al centro della scena politica italiana un personaggio più volte condannato, e frequentemente assolto anche grazie a leggi ad personam, per corruzione ed altri reati. E che il cinismo impregni ormai il mondo politico e culturale italiano, a fronte di un risveglio del sentimento religioso, sia pure di facciata, è dimostrato dalla rassegnazione con cui si guarda ai privilegi della “casta” e alle manovre di gran parte di una classe politica attenta, agli occhi dei più, alla difesa dei propri interessi personali.

Emblematico, a questo proposito, l’ipotetico confronto con la vicenda legata alle recenti dimissioni del Governatore dello Stato di New York, Eliot Spitzer, a causa di un suo coinvolgimento in un giro di squillo d’alto bordo. Se ciò fosse accaduto ad una personalità politica di spicco in Italia, piuttosto che un coro di proteste volte a chiederne le dimissioni dal suo incarico, ci sarebbe stata più verosimilmente una convergenza bipartisan per una proposta di legge volta ad impedire le intercettazioni telefoniche in difesa della privacy di quanti ricoprono una carica politica.

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