di Saverio Monno

Il Parlamento sarà anche diventato il luogo del "dialogo", ma l'informazione - e una rete Rai in partricolare, visto che il resto é di loro proprietà -sembra essere, ancora una volta, il test decisivo per la tolleranza del governo di destra verso ciò che li disturba. Come era già accaduto nel 2001, con il Satyricon di Luttazzi, le dichiarazioni del giornalista Marco Travaglio, intervenuto lo scorso sabato sera alla trasmissione Che tempo che fa, scatenano un putiferio. Il cronista torinese, abbandonatosi ad alcune considerazioni sullo stato dell’informazione in Italia e sulle pesanti ingerenze della politica nel mondo dei media, non lesina una strigliata al neoeletto presidente del Senato. “Schifani ha avuto frequentazioni con persone poi condannate per mafia - sostiene Travaglio -ma non si scrive che Schifani ha avuto amicizie con dei mafiosi, perché non lo vuole né la destra né la sinistra…” Poi aggiunge: “Una volta avevamo De Gasperi, Einaudi, De Nicola, Merzagora, Parri, Pertini, Nenni, Fanfani; uno passa tutta la trafila e poi vede Schifani! Mi domando chi sarà quello dopo, la muffa probabilmente, il lombrico. Dalla muffa si ricava la penicillina tra l’altro, era un esempio sbagliato.” Fazio resta di sasso. Quasi sprofonda nella seggiola, poi reagisce e prende le distanze da quello che liquiderà come “un incidente di percorso”, per il quale non c’è altro da fare che “scusarsi, per il rispetto dovuto all’istituzione che il presidente Schifani rappresenta.” Seguono a ruota il dg Cappon, rammaricato per “l’inescusabile” atteggiamento del giornalista, ed il direttore di Raitre, Ruffini, secondo il quale “Travaglio ha violato uno spazio che si caratterizza per l’equilibrio e la correttezza dei toni”.

Ma è tardi per le scuse, l’affaire Travaglio, ormai è esploso. Schifani concede la sua replica ai microfoni del Tg1. Parla di “fatti inconsistenti, manipolati, che non hanno nemmeno la dignità di generare sospetti. La verità è che qualcuno vuole minare il dialogo ed il confronto costruttivo che ha caratterizzato l’inizio della Legislatura.” Poi, attraverso una nota di palazzo Madama, si apprende dell’intenzione del presidente di querelare Travaglio. “Sarà la magistratura a stabilire se vi sono responsabilità”, tuonano i suoi avvocati.

Le affermazioni “incriminate”, in realtà, non propongono alcun elemento di novità. Si tratta, infatti, di una tesi che lo stesso Travaglio aveva già depositato, nero su bianco, nelle pagine del suo ultimo successo editoriale, “Se li conosci li eviti” (risalente ormai allo scorso 28 Marzo). Riprendendo, tra l’altro, una notizia pubblicata l’anno prima in un altro libro, “I complici”, di Lirio Abbate e Peter Gomez. Ma i “lanzichenecchi” del presidente, nell’enfasi di denunciare “quell’inammissibile attacco al cuore dello stato”, non ci han fatto troppo caso. Preferiscono emettere subito la sentenza. Lesa maestà. Non è tanto, quindi, il contenuto “sovversivo” del messaggio, la condizione che pone il giornalista in ginocchio sui ceci, quanto il mezzo adoperato per la sua diffusione. Come dire: si può fare informazione, ma non in televisione, di “muffa e lombrichi”, il signor Travaglio, parli nei suoi libri…

Le agenzie di stampa affastellano decine e decine di dichiarazioni. Non c’è politico italiano che non abbia detto la sua sull’accaduto. “Uso improprio del servizio pubblico”. L’accusa sarà poco originale, ma è quasi unanime. La prima nerbata giunge da “sinistra” ed arriva da Anna Finocchiaro. Il capogruppo del PD al Senato trova “inaccettabile che si possano lanciare accuse di collusione mafiosa in diretta su una rete pubblica, senza contraddittorio”. Le fa eco Merlo, ancora PD, deluso “dall’impotente vertice di una Rai sempre più megafono della cultura dell’insulto e del linciaggio”. L’appoggio a Schifani arriva anche dall’Udc, con Luca Volontè che allarga il tiro: “Dopo lo show di Santoro e Grillo contro il presidente della Repubblica, ecco Travaglio. Non solo pubblicizza il suo libro-inchiesta, ma pure attacca la seconda carica dello Stato. Cosa fa la Rai?”. Ma c’è spazio anche per Mastella, che dalle pagine del suo blog, si scaglia contro “i soliti telepredicatori, in tv senza contraddittorio”.

A destra invece, a suonare la carica è il solito Gasparri. “Ancora una volta il cosiddetto servizio pubblico della Rai viene messo a disposizione, senza contraddittorio, dalla condotta diffamatoria di Marco Travaglio. Un problema che investe anche i vertici della Rai e in particolare il direttore generale il cui mandato, per fortuna, cessa tra venti giorni per scadenza di legge. Di Fabio Fazio, megafono della calunnia, non vale nemmeno la pena parlare”. “Intervenga il garante con sanzioni” invoca il suo vice Bocchino. Neanche il tempo di incassare la fiducia che il manganello è già caldo e pronto a colpire, con l’opposizione sempre più disposta ad “aiutare”. Non c’è di che stupirsi però, quella di ripulire la stalla è una “fissa” dura a morire. “Ci si scaglia contro le solite trasmissioni e le solite reti, crocifiggendo i soliti giornalisti, mentre si legittimano i peggiori prodotti della tv spazzatura”, sostiene Giuseppe Giulietti, portavoce di Articolo21.

L’unico a cantare fuori del coro è il solito Di Pietro. L’ex ministro non solo difende Travaglio, ma ne ripropone gli spunti, pubblicando sul suo sito una sorta di “curriculum vitae” di Schifani, che arriva dritto dritto dal libro del giornalista. “Travaglio ha fatto il suo dovere, ha raccontato i fatti - sostiene l’ex pm - il passato non si cancella con un colpo di spugna”. E poi, “parlare di contraddittorio non ha senso. Vorrebbe dire che ogni qualvolta si scrive di una rapina, si dovrebbe ascoltare anche la versione del rapinatore”. E conclude “Schifani spieghi come stanno le cose e la Casta non faccia quadrato.”

Ieri, intanto, si sono espressi sul caso, il consiglio d’amministrazione di Viale Mazzini e l’Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni. Il Cda della Rai ha inviato a Marco Travaglio un richiamo a un “rigoroso rispetto” delle regole “secondo i termini contrattualmente previsti”. Il consiglio ha anche annunciato che “eventuali danni all’azienda” provocati da quelle affermazioni “saranno oggetto di rivalsa economica nei confronti del giornalista”.

L'Agcom, dal canto suo, “ha deciso, a maggioranza, di aprire un'istruttoria” nei confronti della televisione pubblica non solo per “Che tempo che fa”, ma anche per “Annozero” (la puntata incriminata è quella del primo maggio, dedicata al V2-Day di Beppe Grillo). In una nota diffusa nel primo pomeriggio, la stessa Authority “contesta alla Concessionaria pubblica la presunta violazione dell'articolo 4 (diritti fondamentali della persona) e dell'articolo 48 (compiti del servizio pubblico) del Testo unico della radiotelevisione”.

Niente “pollice verso” dunque. Al momento sembra sia stata accordata la “grazia”. Decisione che finisce per incanalarsi sul solco della nuova filosofia di pensiero dei berluscones. “Niente martiri”, come annunciava baldanzoso lo stesso Gasparri, ospite l’altra sera della trasmissione televisiva Matrix. Salvi dunque, i “mestatori”. Ma sapranno piegare il capo al giogo del regime?

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