di Domenico Melidoro

Il Senatore a vita Giorgio Napolitano è stato eletto Presidente della Repubblica al quarto scrutinio, ottenendo 543 preferenze. La sua elezione giunge dopo diversi giorni di duro confronto in cui l'Unione (tranne rarissime eccezioni) si è compattata prima attorno al nome di Massimo D'Alema e, dopo che sul Presidente dei DS erano piovute critiche che mettevano in dubbio la sua idoneità a ricoprire un ruolo di garanzia, su quello di Napolitano. Tuttavia bisogna rilevare che nemmeno Napolitano, nonostante i tanti giudizi positivi sulla sua persona espressi da esponenti della minoranza, è riuscito a ottenere i consensi della Casa delle libertà. L'atteggiamento di chiusura e di rifiuto del dialogo manifestato dal Centrodestra e in particolare da Berlusconi, che aveva proposto una rosa di nomi a partire dai quali pretendeva di impostare il dialogo con la maggioranza, non ha permesso di praticare quello che nel gergo giornalistico delle ultime settimane era stato definito "metodo Ciampi". Napolitano giunge al Quirinale dopo una lunga storia politica che lo ha visto militare per decenni nelle fila della Sinistra italiana, prima nel PCI, poi nel PDS e infine nei DS. Con la sua elezione si conclude definitivamente quella fase della politica italiana nella quale è stata in vigore la regola non scritta (ma assurda, visto il contributo dei comunisti nella Resistenza e nella successiva stesura della Costituzione Repubblicana) secondo la quale un personaggio che ha militato nella Sinistra comunista non può candidarsi alla carica più alta dello Stato e, fino a pochi anni fa, non poteva neppure pretendere di governare il Paese. Napolitano (pur non rinnegando il suo passato di comunista "migliorista") non è più comunista e, anzi, aderisce a un partito che, pur discendendo dalla nobile tradizione del movimento operaio e della sua organizzazione politica, sta avviandosi alla conclusione di un processo storico-politico il cui esito sarà quello di recidere definitivamente ogni legame col passato e con ciò che esso ha rappresentato. Tuttavia, non possiamo non notare la novità rappresentata dall'elezione di un Presidente della Repubblica la cui biografia è parte importante della vicenda collettiva del Partito Comunista Italiano e delle sue battaglie per la democrazia, la pace e il lavoro.

Le prevedibili reazioni contro l'elezione di un Presidente "comunista" non si sono fatte attendere. Stefania Craxi, eletta nelle file di Forza Italia e in preda a livore anti-comunista degno del Cavaliere, ha dichiarato che "i comunisti hanno raggiunto il loro obiettivo: hanno scalato il Quirinale. Manca la Rai, e l'occupazione dello Stato è completa". Berlusconi, da par suo, ha ribadito le minacce di sciopero fiscale e di non meglio precisate strategie di dura opposizione che farà ricorso agli strumenti utilizzati dal Centrosinistra quando era minoranza parlamentare. Se mettiamo da parte le avventate esternazioni del capo di Forza Italia (per decenza ci risparmiamo il solito Calderoli che non riconosce la legittimità dell'elezione di Napolitano) non possiamo non notare le tante tensioni presenti nella CDL, in particolare dell'UDC e del suo leader Casini che ha più volte espresso l'intenzione di votare per Napolitano ma ha dovuto desistere per rispettare la disciplina imposta ai sempre più riluttanti alleati dal Cavaliere.

Le reazioni nell'Unione sono ovviamente di segno diverso. Mastella, che della nostalgia per la prima repubblica e per le pratiche di potere che ad essa erano legate non ha mai fatto mistero, si è spinto fino a sostenere che con Napolitano al Quirinale "si chiude la storia della prima Repubblica". Tutti gli esponenti della Margherita hanno giudicato positivamente l'elezione dell'esponente dei DS. Dario Franceschini ha solennemente osservato che dopo l'elezione di Napolitano "se ne va anche un diversità antistorica che non esisteva più, se non nella fantasia di alcuni uomini politici di destra". Anche in casa DS i commenti sono stati del tutto positivi, ma, se si riflette bene, emergono tensioni soprattutto tra i dalemiani che vedono sconfitto (perché la bocciatura della candidatura di D'Alema è pur sempre una sconfitta per il Presidente dei DS) per la seconda volta il loro leader nel giro di poche settimane. Se si aggiunge che cominciano a circolare voci secondo le quali il numero dei ministri della Quercia sarà ridotto da 9 a 7 e che non è ancora chiaro se e in quali termini Fassino e lo stesso D'Alema entreranno a far parte dell'Esecutivo, ci si accorge che in casa DS il clima non è dei più sereni.

Ora tocca a Prodi che, a breve, riceverà l'incarico di costituire il Governo. Non ci resta che aspettare di conoscere la lista definitiva che il Professore sta elaborando con cura. Il referendum abrogativo delle riforme istituzionali volute dalla CDL sarà una delle prime questioni che domineranno il dibattito pubblico. Napolitano, quando ancora non si parlava della sua elezione al Quirinale, a proposito delle riforme del Centrodestra, aveva dichiarato: "Quel che anch'io giudico inaccettabile è il voler dilatare in modo abnorme i poteri del Primo Ministro, secondo uno schema che non trova l'eguale in altri modelli costituzionali europei e, più in generale, lo sfuggire ad ogni vincolo di pesi e contrappesi, di equilibri istituzionali, di limiti e di regole da condividere". Auspichiamo che frasi del genere facciano da monito ai parlamentari e ai cittadini che saranno chiamati a esprimersi nei referendum di giugno.

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