di Mariavittoria Orsolato

Le proteste, i ricorsi e le sentenze non sono serviti a nulla: il consiglio d'amministrazione della Rai non sblocca i programmi di approfondimento politico e, sebbene il direttore generale Mauro Masi -  impegnato con devozione  ad “aggiustare” gli innumerevoli problemi della tv pubblica - abbia invitato la commissione di vigilanza a sondare eventuali strade alternative, pare ormai chiaro che fino al 30 marzo non potremo più assistere a programmi come Annozero, Ballarò e, si, anche Porta a porta.

Il continuo rimpallo di colpe, responsabilità e giurisdizione, oltre a dare l’ennesima prova (se mai ce ne fosse ancora bisogno) di come a viale Mazzini l’abbonato non conti un bel niente, ha finito col privare gli elettori di quella finestra sull’Italia apparentemente in grado di mostrare una realtà diversa da quella confezionata dai proclami elettorali. Per sopperire a questa mancanza, il regolamento sulla par condicio affida l’informazione alle tribune elettorali - di per sé inguardabili - e ai telegiornali, da sempre considerati il medium più efficace e diretto per arrivare in modo incisivo nelle case degli italiani. Tutto questo avrebbe un senso se i diretti interessati, ovvero gli spettatori, considerassero autorevoli i mezzobusti che a pranzo e a cena li ragguagliano sul quotidiano: pare infatti che l’opinione che i cittadini hanno dei tg non sia delle migliori, anzi.

Secondo l’indagine condotta dalla società indipendente di ricerche, Simulation Intelligence, la stragrande maggioranza degli italiani considera i telegiornali alla stregua di organi di partito e non riesce a fidarsi del taglio dato alle notizie, troppo parziali per poter rendere appieno la verità. Si scopre così che notiziari intoccabili sotto il punto di vista dello share, come Tg1 e Tg5, sono ritenuti obiettivi da meno di un italiano su quattro e non va meglio agli altri, attestati tutti (con l’eccezione del 21% concesso al Tg3) su percentuali inferiori al 20%. Nel dettaglio possiamo vedere come Sky Tg24 riscuota solo il 19%, il Tg2 arrivi a malapena la 18% e il TgLa7 si piazzi male con il 15%, non ci sono sorprese invece per i due fanalini di coda, Studio Aperto e Tg4, attestati rispettivamente al 14% e al 13% della credibilità.

La spietatezza dei telespettatori non si esaurisce però solo nel giudizio di merito: secondo il campione intervistato dai sondaggisti, il 58% ritiene i telegiornali per nulla interessanti, il 79% non li reputa accurati e completi e, come sopraccitato, l’82 per cento non li considera imparziali e obiettivi. Quella che si profila agli occhi del giornalismo televisivo è quindi praticamente un ecatombe professionale e, dati i risultati del sondaggio, pare che agli elettori non mancheranno poi così tanto i volti di Santoro, Floris e Bruno Vespa.

Il monito all’informazione è chiaro ed evidente, ma forse la colpa non è proprio tutta dei giornalisti: nel regno catodico e politico del Caimano, i tentativi di obiettività si sono tramutati per proclama in attacchi ad personam, in iettature da sibille dark e in faziosi contro-altari, atti solo a dimostrare come il re e la sua corte siano nudi. L’esempio più lampante è proprio quel Marco Travaglio che, seppur esecrabile nei suoi modi altezzosi, è sempre stato tacciato di comunismo pur essendo dichiaratamente un uomo di destra. Non che qui si voglia fare l’apologia del buon giornalismo, ma è evidente che la percezione delle notizie ha subìto in questi 15 anni una forte distorsione, un’alterazione che tinge necessariamente di rosso o nero la fattualità di una notizia e che spinge i telespettatori ad orientarsi solo in base all’appartenenza partitica di questa o quella testata.

Certo, “colleghi” come Fede o Minzolini, con il loro lampante servilismo, non aiutano la causa e se teniamo conto che ben il 92,8% dell’approvvigionamento informativo ha sede nel tubo catodico, non possiamo biasimare gli italiani in merito al loro giudizio sulle news televisive. Che il web sia una soluzione lo pensano già in molti ed anche gli “epurati temporanei” come Santoro e Floris hanno deciso di sfruttarne le potenzialità per aggirare il divieto di messa in onda posto dalla Rai: se il primo ha organizzato per il 25 marzo a Bologna “Rai per una notte” - un evento da trasmettere in streaming e sulle piattaforme satellitari - il secondo è partito lo scorso 17 marzo con una trasmissione itinerante in 4 tappe “calde” come Torino, L'Aquila, Roma e Cosenza, visualizzabile sul sito della FNSI. Che però i rischi connessi al medium siano tanti lo dimostrano i continui allarmi su Facebook - ormai microcosmo designato - e i suoi gruppi virulenti.

La scelta dell’informazione “fai da te” non implica solo il desiderio di conoscere per giudicare; sottintende un giudizio negativo e senz’appello nei confronti dell’informazione di regime. Vedova del giornalismo d’inchiesta, orfana di editori coraggiosi e vittima di verità confezionate sulla pelle della realtà, l’aspirazione ad una informazione libera in quanto indipendente - e indipendente perché libera - giace sotto i faccioni del minzolinismo.

Il giornalismo italiano - diversamente da quanto sarebbe auspicabile e da ciò che la deontologia prevederebbe - non svolge da quasi 30 anni il ruolo di cane da guardia del potere; né, tanto meno, difende gli utenti dalle menzogne dello stesso. Inevitabile quindi, la crisi di credibilità. I fatti, come diceva qualcuno, hanno la testa dura.

 

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