di Mario Braconi

“La crisi economica attuale si deve soprattutto a un'eclissi etico-culturale che ha inciso in modo determinante sull'economia e sulla finanza mondiale”. Così Ettore Gotti Tedeschi, presidente dello IOR, a margine di un convegno su “La questione economica come questione culturale e morale”, organizzato dalla Fondazione Lepanto lo scorso 23 novembre. Parole forse condivisibili, ma a patto di non andare ad approfondirle troppo.

Preludono, infatti, ad un insensato peana alla crescita demografica incontrollata) ma che, alla luce dei recenti incidenti giudiziari occorsi al brillante finanziere “di Dio”, si rivelano fastidiosamente moralistiche. Dal 21 settembre scorso Gotti Tedeschi, assieme al Direttore Generale dello IOR Paolo Cipriani, è indagato per violazione delle leggi antiriciclaggio della Repubblica Italiana.

La pietra dello scandalo è una doppia transazione, del valore complessivo di 23 milioni di euro, che lo IOR avrebbe disposto verso la banca JP Morgan di Francoforte e la banca del Fucino tramite il Credito Artigiano (controllato dal Credito Valtellinese, il cui presidente, Giovanni De Censi, siede anche nel Consiglio di Sovrintendenza dello IOR).

Ironicamente, sembra che la denuncia che ha messo nei guai i due alti dirigenti dello IOR sia stata effettuata proprio da De Censis, mentre è verosimile che l’operazione, fortissimamente voluta da Cipriani a dispetto della sua evidente pericolosità, potrebbe essere stata veicolata attraverso una banca “amica” proprio nella speranza di poter beneficiare di un’interpretazione blanda della legge.

Il danno per la banca vaticana è stato doppio: al gravissimo colpo all’immagine subìto (Gotti Tedeschi avrebbe dovuto far dimenticare tutte le malefatte di Marcinkus e soci, ma sembra che la Banca del Vaticano non riesca a tenersi lontana da corruzione e malaffare), si aggiunge il sequestro dell’intera somma da parte delle autorità giudiziarie.

Il 20 dicembre il procuratore aggiunto di Roma Nello Rossi ed il PM Stefano Rocco Fava, argomentano il loro reciso “niet” alla richiesta di dissequestro dei 23 milioni, presentata dagli avvocati della banca del Vaticano: sono parole precise ed attente, le loro, come si conviene in questi casi, ma che gettano una seria ipoteca sulla buona fede dell’Istituto. Secondo i legali dello IOR il denaro che affluisce sui conti di corrispondenza dello IOR è per definizione di proprietà dello IOR stesso: questa interpretazione giustificherebbe la mancata segnalazione in Banca d’Italia delle transazioni rilevanti. Non a caso Gotti Tedeschi si è difeso sin dall’inizio sostenendo che le operazioni incriminate fossero semplici girofondi, ovvero trasferimenti in cui ordinante e beneficiario coincidono.

Secondo gli inquirenti, è proprio il modo in cui lo IOR intende la natura dei conti di corrispondenza a creare condizioni favorevoli al loro impiego per veicolare “operazioni di assai dubbia liceità”. Come ogni altra banca, lo IOR intrattiene infatti con le varie banche italiane rapporti di conto corrente di corrispondenza; conti tecnici, cioè, che vengono impiegati per regolare le transazioni intercorse giornalmente tra un istituto e l’altro.

Il fatto è che lo IOR utilizzerebbe detti conti in modo libero, per non dire spregiudicato: secondo la Guardia di Finanza, essi, oltre ad accogliere il riflesso contabile delle operazioni effettivamente concluse dai clienti dello IOR, vengono spesso usati per “parcheggiare” giacenze provenienti da assegni, bonifici eccetera, per periodi di tempo indeterminato, circostanza che cozza con “la transitorietà che dovrebbe caratterizzare i conti di corrispondenza”. Insomma, sembra che i conti di corrispondenza dello IOR siano uno strano ibrido, a metà tra il conto corrente di corrispondenza classico e un normale conto corrente ordinario.

La questione potrà anche apparire eccessivamente tecnica, ma è d’importanza essenziale: è infatti l’incredibile interpretazione che l’alta dirigenza dello IOR ha creduto di dare al funzionamento dei suoi conti di corrispondenza dell’Istituto che potrebbe consentire una situazione come quella che segue: se dalla filiale di Al-Quaeda di Piazza Mazzini di Roma parte un bonifico da un milione di euro destinato ad un conto presso lo IOR, a Dio piacendo, quel milione potrebbe diventare “formalmente” di proprietà dello IOR, che non sarebbe tenuto a spiegare da dove provenga e potrebbe disporne come meglio crede.

Ed in effetti, la transazione da 23 milioni su cui sono inciampati Gotti Tedeschi e Cipriani, alla luce dei dati snocciolati dalla Guardia di Finanza, rischia di essere la proverbiale punta dell’iceberg: sembra infatti che in due anni (dal dicembre 2007 al novembre 2009) siano ben 116 i milioni “senza padrone” transitati attraverso Banca del Vaticano in spregio alla legge (e anche al buonsenso). Insomma, ancora una volta le parole pronunciate da Gotti Tedeschi al convegno citato in apertura si rivelano (involontariamente) profetiche: “(...) non esiste in sé una “finanza etica” [...]: è soltanto l’uomo che la rende tale.” Appunto.

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