di Fabrizio Casari

Dopo oltre ventisei mesi di dibattimento, 50 sedute e sette ore di camera di consiglio, il verdetto è durissimo: condanna a sette anni per concussione (in costrizione) e prostituzione minorile, interdizione perpetua dai pubblici uffici e interdizione legale durante tutto il tempo previsto dalla pena. La sentenza emessa dalla quarta sezione del tribunale di Milano nei confronti di Silvio Berlusconi è entrata come un treno in corsa nella galleria del sistema politico italiano.

Assurda, dicono i peones berlusconiani, giusta ribadiscono dal M5S e altri. Certo è pesantissima, superando persino le richieste dei pm. Alla fine di un dibattimento nel quale ogni trucco difensivo è stato messo in atto, la Corte ha evidentemente deciso di fidarsi molto delle intercettazioni e molto meno delle dichiarazioni ad orologeria che hanno contraddistinto le testimonianze delle olgettine.

Sono state centinaia le dichiarazioni dei suoi dipendenti a vario titolo allocati che hanno gridato di tutto e di più: dal “colpo di stato” “all’assurdità”, dalla “sentenza già scritta” a “sentenza vergognosa”, mentre la linea che la difesa ha ribadito è sostanzialmente racchiudibile nella mancata imparzialità del Tribunale di Milano. Una conferma alla richiesta sempre reiterata di “legittima suspicione”, argomentata con una presunta incompatibilità ambientale tra la Procura di Milano e l’imputato. In realtà la “legittima suspicione” è sostenibile solo di fronte ad una situazione socio-ambientale compromessa, mentre è meno credibile un’ipotetica ostilità di una Procura e di una magistratura giudicante di un’intera circoscrizione verso un singolo imputato.

I reati per i quali Silvio Berlusconi è stato ritenuto responsabili sono gravissimi nella sostanza e penosi esteticamente; nemmeno nell’ultima delle repubblica delle banane un premier avrebbe avuto i comportamenti pubblici e privati, la sovrapposizione grave e continuata tra i suoi pessimi gusti personali e l’autorità delle sue cariche istituzionali come è avvenuto in Italia.

Del dispositivo della sentenza, però, la parte più densa di ripercussioni sullo scenario politico italiano si riferisce all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Partirà ora il ricorso e, fino a sentenza definitiva, l’imputato Berlusconi sarà comunque innocente avendo solo contro di lui una sentenza di primo grado, ma le implicazioni politiche e giuridiche sono incontestabili.

E non ci si può dimenticare poi che i sette anni di ieri si sommano ai quattro anni ai quali è stato condannato per il processo per i diritti Mediaset oltre alle altre vicende processuali già note. La sentenza di Milano è destinata a ripercuotersi pesantemente sulla durata del governo Letta. Non è un caso che Cicchitto, uno dei pochi che insieme ad una scarsa dose di vergogna dispone comunque di sufficiente cultura politica, ha denunciato la sentenza come un atto da “tribunale speciale” destinato a destabilizzare la politica italiana e lo stesso governo delle larghe intese.

Quali saranno i temi e i tempi sui quali il governo Letta dovrà misurarsi con la rottura del PDL è però presto per dirlo. I senatori che hanno abbandonato il M5S ed altri che potrebbero farlo nei prossimi giorni, determineranno un equilibrio di forze al Senato diverso da quello nel quale è nato il governo delle larghe intese e non è impossibile ipotizzare che, nel caso il PDL dovesse uscire dalla compagine governativa, nuove maggioranze potrebbero comporre un nuovo governo.

Berlusconi, che vede più lungo dei suoi caporali, ha ovviamente reagito alla sentenza affermando la sua volontà di “non cedere”, ma non c’è dubbio che dopo la scontata fine di ogni ipotesi quirinalizia, per lui la sentenza significa l’abbandono definitivo di ogni ipotesi di elezione a senatore a vita. Napolitano si è così tolto dall’imbarazzo. Anche nell’ipotesi (difficile) che il secondo grado di giudizio possa vedere un ribaltamento completo della sentenza di ieri, passeranno anni nei quali sarà politicamente e giuridicamente impossibile anche solo pensare alla nomina di senatore a vita.

Nomina che corrispondeva da un lato all’ambizione politica e dall’altro ( e soprattutto) all’intenzione di guadagnarsi una sorte di amnistia di fatto che chiudesse definitivamente ogni percorso della giustizia italiana verso di lui. Sembra chiudersi invece il cerchio: le donne hanno rappresentato l’ossessione del suo ego malato e tre donne lo hanno ripiombato nella realtà. Sette ore di camera di consiglio lo hanno trasformato da aspirante statista a condannato a vita.


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